Pop Corn
«Ora siamo d’inverno, la mafia uccide solo d’estate»
Pif e il suo soffio leggero sulla rea indifferenza
venerdì 6 dicembre 2013
0.27
Dicono: la mafia esiste solo in Campania e in Calabria; la mafia aspetta l'estate per uccidere; la mafia è come i cani, basta non darle fastidio; la mafia ammazza solo gli uomini che si innamorano delle donne quindi se tuo padre non ama tua madre puoi stare tranquillo. Ed è qui che Arturo capisce di essere in pericolo, quando intercetta gli sguardi d'amore tra i suoi genitori, quando incontra Flora, la sua nuova compagna di classe, quando la scuola finisce.
La voce narrante di Pierfrancesco Diliberto, regista, autore e interprete di questo tristemente divertente film-documentario, è la linea del tempo sulla quale si sviluppano i fatti delle stragi mafiose a partire dagli anni '80. Le parole gettate nei dialoghi con la più agghiacciante schiettezza e l'ironia con la quale viene illustrato Totò riina formano un prosimetro filmico, fatto di poesia simbolica e scena reale. Un Andreotti intervistato da Costanzo su una vicenda amorosa fa scattare l'idolatria di Arturo nei confronti dell'allora presidente del consiglio: diventa la sua maschera al Carnevale dell'oratorio, il suo poster in cameretta, la sua fonte da giornalista in erba-premio ricevuto dal Giornale di Palermo-per intervistare Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ultima intervista data dal prefetto anti-mafia-morto il 3 settembre 1982-al cui funerale Giulio Andreotti mancò perché "preferiva andare ai battesimi". Arturo vuole diventare amico degli amici di tutti, vuole stare in mezzo, proprio come Giulio; senonché è il mito a far entrare il nemico in casa. Prima del generale Dalla Chiesa, è toccato al giornalista Mario Francese, al goloso di iris Boris Giuliano e a Pio la Torre, la cui notizia di morte interrompe la premiazione di Arturo.
C'è uno spostamento di senso in questo capolavoro, c'è che non si ha il punto di vista macro delle grandi ideologie; chi guarda, riflette e soffre è il singolo, un bambino che, una volta adulto, non ha smesso di pensare alla sua Flora, non ha smesso di pensare alla sua Palermo. Arturo si trova a fare il pianista in uno show tv in cui non si parla, ma si mostra. Salvo Lima assassinato da due ragazzi che lo avevano burlato due minuti prima, la bomba di Capaci esplosa pochi chilometri dietro al suo nemico delle medie, il tritolo di Via d'Amelio raggiunge la casa della mamma del presentatore dello show. Un senso uguale per tutti, un significato diverso per ognuno; il bersaglio è uno e preciso, i colpiti sono tanti. D'un tratto una nascita: alla luce di Palermo viene dato il figlio di Arturo e Flora ed è un viaggio retrospettivo che ripercorre tutto il sangue versato in questa città. Con un sorriso inumidito dai piani alti, è il principio di responsabilità a imporsi sulle tracce lasciate e a voler lasciarne altre all'innocenza coscienziosa del pensiero.
La voce narrante di Pierfrancesco Diliberto, regista, autore e interprete di questo tristemente divertente film-documentario, è la linea del tempo sulla quale si sviluppano i fatti delle stragi mafiose a partire dagli anni '80. Le parole gettate nei dialoghi con la più agghiacciante schiettezza e l'ironia con la quale viene illustrato Totò riina formano un prosimetro filmico, fatto di poesia simbolica e scena reale. Un Andreotti intervistato da Costanzo su una vicenda amorosa fa scattare l'idolatria di Arturo nei confronti dell'allora presidente del consiglio: diventa la sua maschera al Carnevale dell'oratorio, il suo poster in cameretta, la sua fonte da giornalista in erba-premio ricevuto dal Giornale di Palermo-per intervistare Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ultima intervista data dal prefetto anti-mafia-morto il 3 settembre 1982-al cui funerale Giulio Andreotti mancò perché "preferiva andare ai battesimi". Arturo vuole diventare amico degli amici di tutti, vuole stare in mezzo, proprio come Giulio; senonché è il mito a far entrare il nemico in casa. Prima del generale Dalla Chiesa, è toccato al giornalista Mario Francese, al goloso di iris Boris Giuliano e a Pio la Torre, la cui notizia di morte interrompe la premiazione di Arturo.
C'è uno spostamento di senso in questo capolavoro, c'è che non si ha il punto di vista macro delle grandi ideologie; chi guarda, riflette e soffre è il singolo, un bambino che, una volta adulto, non ha smesso di pensare alla sua Flora, non ha smesso di pensare alla sua Palermo. Arturo si trova a fare il pianista in uno show tv in cui non si parla, ma si mostra. Salvo Lima assassinato da due ragazzi che lo avevano burlato due minuti prima, la bomba di Capaci esplosa pochi chilometri dietro al suo nemico delle medie, il tritolo di Via d'Amelio raggiunge la casa della mamma del presentatore dello show. Un senso uguale per tutti, un significato diverso per ognuno; il bersaglio è uno e preciso, i colpiti sono tanti. D'un tratto una nascita: alla luce di Palermo viene dato il figlio di Arturo e Flora ed è un viaggio retrospettivo che ripercorre tutto il sangue versato in questa città. Con un sorriso inumidito dai piani alti, è il principio di responsabilità a imporsi sulle tracce lasciate e a voler lasciarne altre all'innocenza coscienziosa del pensiero.