La città
Horror vacui, horror pleni: la bellezza latente delle periferie di Barletta
Un viaggio tra fotografie e parole di Massimiliano Cafagna, Anna Maria Campese e Giuseppe Tupputi
Barletta - mercoledì 1 agosto 2018
Che tipo di estetica comunicano le nostre periferie? Spesso trascurate, abbandonate, tra terre incolte e speculazioni edilizie, le periferie di Barletta sono un oggetto misterioso e a ripercorrerle, tracciandone una descrizione complessiva, ci hanno pensato Massimiliano Cafagna, Anna Maria Campese (autori delle fotografie) e Giuseppe Tupputi (autore dei testi) che hanno deciso di condividere con noi questa riflessione.
«Horror vacui è una espressione latina che significa letteralmente "paura del vuoto". È una locuzione che sottende dunque la volontà di riempire, di saturare ogni spazio all'interno di un'opera d'arte. A questa espressione vorremmo qui contrapporre, invece, quella di horror pleni, esattamente antitetica alla prima. Ma cosa c'entra questo discorso con l'urbanistica della nostra città? Con la periferia? Con la crescita urbana? Osservando i grafici e le statistiche fornite dall'Istat sull'andamento demografico degli ultimi anni nel comune di Barletta si legge che, a partire dal 2010 circa, si è registrata una condizione di equilibrio più o meno stabile: un fenomeno di effettiva "crescita zero" della popolazione. Eppure, di fronte a questa stasi demografica, l'attività edilizia non sembra essersi fermata affatto. La periferia è anzi cresciuta ad un ritmo accelerato, producendo nuovi interi quartieri residenziali ed espandendo visibilmente i margini della sua edificazione. Inoltre, crescendo e dilatandosi, con il passare degli anni, la città ha anche inglobato alcuni spazi "vuoti": spazi di natura incontaminata, campagne coltivate o lotti incolti, aree dismesse o sottoutilizzate, grandi contenitori del secondario e del terziario abbandonati, oppure lasciti di operazioni edilizie speculative non andate a buon fine, ecc.
Questa è la storia. Questi sono i fatti. E questi sono anche i problemi che la città contemporanea deve prima o poi affrontare. Da un lato, ci sono gli edifici in cemento e mattoni forati, la cui principale negligenza è quella di essere stati imbellettati, ognuno a modo suo, con scintillanti quanto 'autistiche' facciate, tutte tra loro differenti, ognuna col suo linguaggio solitario e indecifrabile, incapaci di comunicare nulla se non un caotico rumore inespressivo. E dall'altro lato, ci sono anche molti spazi vuoti, piccoli o grandi, che, sfuggiti quasi per caso, o per errore all'edificazione dilagante, sono forse proprio l'esplicita conseguenza delle sue schizofreniche e irrazionali leggi di sviluppo, che ormai seguono principalmente ragioni di ordine economico: quanto costa o quanto frutta, in termini di investimenti, un terreno. E, anche, ci sono gli scheletri di edifici abbandonati, scorie espulse da tali processi speculativi, anch'essi considerabili come "vuoti urbani".
Ma la cosa peggiore è che, di fronte a questa situazione già abbastanza critica, c'è chi ancora propone di continuare ad edificare, di completare il tutto saturando anche questi ultimi vuoti rimasti, proponendo addirittura vere e proprie follie, quali la demolizione di alcune delle grandi ex-industrie barlettane per far fronte a nuova e banale edilizia residenziale, quando invece quegli stessi luoghi potrebbero trasformarsi in spazi pubblici fruibili liberamente da chiunque. Insomma, sulle carte dei costruttori, che progettano la forma della città con le calcolatrici, prevale un sentimento di horror vacui, di rifiuto, cancellazione/diniego/soppressione del vuoto.
Invece, al contrario, i racconti fotografici composti da Massimiliano Cafagna e Anna Maria Campese esplorano proprio questi vuoti urbani, disseminati soprattutto nelle aree urbane periferiche, riconoscendone l'importanza e provandone a metterne in luce le caratteristiche più positive o singolari. Le loro fotografie esprimono che, piuttosto che essere una 'patologia' da guarire o un 'errore' a cui rimediare, tali luoghi possono essere letti come un'imperdibile opportunità per ripensare il senso della nostra città, e per dotarla di nuovi spazi pubblici ampi e spaziosi, immersi il più possibile in contesti naturali.
Osservando le fotografie di Massimiliano Cafagna e Anna Maria Campese, si può riconoscere come, a Barletta, in realtà, esistano due distinte periferie di recente edificazione (in parte tuttora in corso): una è quella a ridosso del mare, da un lato e dall'altro rispetto alla città consolidata, e dunque sia verso Levante che verso Ponente; l'altra è invece la zona 167, che si sviluppa invece verso le campagne interne, avvicinandosi sempre più al tracciato definito dalla strada statale 16bis. Questi quartieri sono molto differenti nei loro caratteri che, similmente a quanto avviene per i nostri caratteri personali, definiscono l'identità dei luoghi. E queste differenze si evincono chiaramente dalle fotografie. Così, nella periferia a Levante, il carattere dominante è dato dall'emergenza degli enormi oggetti industriali "fuori scala", monumentali e affascinanti. La cementeria diventa un mondo intero e, con la sua presenza sullo sfondo, trasforma un banale scorcio che a tutti può tornare familiare, in un quadro futurista. La bellezza sublime e perturbante di queste architetture si stempera poi nella quiete dell'esteso orizzonte del mare, dove la Cartiera domina dall'alto un ampio tratto di spiaggia. Poi, ancora, spostandoci a Ponente, la città ci offre di sé un aspetto più romantico e, sempre sullo sfondo di un'ampia fascia di terreno "vergine", naturale, lasciata inedificata per proteggere le spiagge, emergono puntualmente elementi del passato rimasti come tracce, come frammenti della memoria storica cittadina (le teleferiche, per esempio).
Molto diversa è, invece, la zona 167, una periferia che potremmo forse definire "normale", senza caratteri eccezionali, senza monumenti o emergenze storiche, senza grosse eccezionalità urbane Qui il valore del vuoto si fa ancora più importante, poiché oltre a permettere di affacciarci su panorami ampi e dilatati, tanto da vedere addirittura, dai piani alti delle residenze, la sagoma di Castel del Monte in lontananza, ci consente, data la maggiore presenza dei vuoti stessi, di pensare ad un progetto di ricucitura di questi luoghi, a creare una cintura verde di spazi collettivi che si insinuano nelle "maglie larghe" dell'edificazione periferica. Interpretando con uno sguardo attento, che alla ricerca dei caratteri intimi dei luoghi, cercando di interpretare le loro condizioni spaziali, figurative e simboliche, cercando di evidenziare possibili qualità estetiche capaci di essere la base per una rigenerazione positiva di tali aree, le fotografie che accompagnano il testo possono essere considerate un 'omaggio' a questa concezione positiva dei "vuoti urbani", con la speranza che in futuro se ne riescano a cogliere concretamente le ampie possibilità.
"Nascono potenze e nobiltà, feroci, nei mucchi di tuguri, nei luoghi sconfinati dove credi che la città finisca, e dove invece ricomincia, per migliaia di volte, con ponti e labirinti, cantieri e sterri, dietro mareggiate di grattacieli, che coprono interi orizzonti." Pier Paolo Pasolini
«Horror vacui è una espressione latina che significa letteralmente "paura del vuoto". È una locuzione che sottende dunque la volontà di riempire, di saturare ogni spazio all'interno di un'opera d'arte. A questa espressione vorremmo qui contrapporre, invece, quella di horror pleni, esattamente antitetica alla prima. Ma cosa c'entra questo discorso con l'urbanistica della nostra città? Con la periferia? Con la crescita urbana? Osservando i grafici e le statistiche fornite dall'Istat sull'andamento demografico degli ultimi anni nel comune di Barletta si legge che, a partire dal 2010 circa, si è registrata una condizione di equilibrio più o meno stabile: un fenomeno di effettiva "crescita zero" della popolazione. Eppure, di fronte a questa stasi demografica, l'attività edilizia non sembra essersi fermata affatto. La periferia è anzi cresciuta ad un ritmo accelerato, producendo nuovi interi quartieri residenziali ed espandendo visibilmente i margini della sua edificazione. Inoltre, crescendo e dilatandosi, con il passare degli anni, la città ha anche inglobato alcuni spazi "vuoti": spazi di natura incontaminata, campagne coltivate o lotti incolti, aree dismesse o sottoutilizzate, grandi contenitori del secondario e del terziario abbandonati, oppure lasciti di operazioni edilizie speculative non andate a buon fine, ecc.
Questa è la storia. Questi sono i fatti. E questi sono anche i problemi che la città contemporanea deve prima o poi affrontare. Da un lato, ci sono gli edifici in cemento e mattoni forati, la cui principale negligenza è quella di essere stati imbellettati, ognuno a modo suo, con scintillanti quanto 'autistiche' facciate, tutte tra loro differenti, ognuna col suo linguaggio solitario e indecifrabile, incapaci di comunicare nulla se non un caotico rumore inespressivo. E dall'altro lato, ci sono anche molti spazi vuoti, piccoli o grandi, che, sfuggiti quasi per caso, o per errore all'edificazione dilagante, sono forse proprio l'esplicita conseguenza delle sue schizofreniche e irrazionali leggi di sviluppo, che ormai seguono principalmente ragioni di ordine economico: quanto costa o quanto frutta, in termini di investimenti, un terreno. E, anche, ci sono gli scheletri di edifici abbandonati, scorie espulse da tali processi speculativi, anch'essi considerabili come "vuoti urbani".
Ma la cosa peggiore è che, di fronte a questa situazione già abbastanza critica, c'è chi ancora propone di continuare ad edificare, di completare il tutto saturando anche questi ultimi vuoti rimasti, proponendo addirittura vere e proprie follie, quali la demolizione di alcune delle grandi ex-industrie barlettane per far fronte a nuova e banale edilizia residenziale, quando invece quegli stessi luoghi potrebbero trasformarsi in spazi pubblici fruibili liberamente da chiunque. Insomma, sulle carte dei costruttori, che progettano la forma della città con le calcolatrici, prevale un sentimento di horror vacui, di rifiuto, cancellazione/diniego/soppressione del vuoto.
Invece, al contrario, i racconti fotografici composti da Massimiliano Cafagna e Anna Maria Campese esplorano proprio questi vuoti urbani, disseminati soprattutto nelle aree urbane periferiche, riconoscendone l'importanza e provandone a metterne in luce le caratteristiche più positive o singolari. Le loro fotografie esprimono che, piuttosto che essere una 'patologia' da guarire o un 'errore' a cui rimediare, tali luoghi possono essere letti come un'imperdibile opportunità per ripensare il senso della nostra città, e per dotarla di nuovi spazi pubblici ampi e spaziosi, immersi il più possibile in contesti naturali.
Osservando le fotografie di Massimiliano Cafagna e Anna Maria Campese, si può riconoscere come, a Barletta, in realtà, esistano due distinte periferie di recente edificazione (in parte tuttora in corso): una è quella a ridosso del mare, da un lato e dall'altro rispetto alla città consolidata, e dunque sia verso Levante che verso Ponente; l'altra è invece la zona 167, che si sviluppa invece verso le campagne interne, avvicinandosi sempre più al tracciato definito dalla strada statale 16bis. Questi quartieri sono molto differenti nei loro caratteri che, similmente a quanto avviene per i nostri caratteri personali, definiscono l'identità dei luoghi. E queste differenze si evincono chiaramente dalle fotografie. Così, nella periferia a Levante, il carattere dominante è dato dall'emergenza degli enormi oggetti industriali "fuori scala", monumentali e affascinanti. La cementeria diventa un mondo intero e, con la sua presenza sullo sfondo, trasforma un banale scorcio che a tutti può tornare familiare, in un quadro futurista. La bellezza sublime e perturbante di queste architetture si stempera poi nella quiete dell'esteso orizzonte del mare, dove la Cartiera domina dall'alto un ampio tratto di spiaggia. Poi, ancora, spostandoci a Ponente, la città ci offre di sé un aspetto più romantico e, sempre sullo sfondo di un'ampia fascia di terreno "vergine", naturale, lasciata inedificata per proteggere le spiagge, emergono puntualmente elementi del passato rimasti come tracce, come frammenti della memoria storica cittadina (le teleferiche, per esempio).
Molto diversa è, invece, la zona 167, una periferia che potremmo forse definire "normale", senza caratteri eccezionali, senza monumenti o emergenze storiche, senza grosse eccezionalità urbane Qui il valore del vuoto si fa ancora più importante, poiché oltre a permettere di affacciarci su panorami ampi e dilatati, tanto da vedere addirittura, dai piani alti delle residenze, la sagoma di Castel del Monte in lontananza, ci consente, data la maggiore presenza dei vuoti stessi, di pensare ad un progetto di ricucitura di questi luoghi, a creare una cintura verde di spazi collettivi che si insinuano nelle "maglie larghe" dell'edificazione periferica. Interpretando con uno sguardo attento, che alla ricerca dei caratteri intimi dei luoghi, cercando di interpretare le loro condizioni spaziali, figurative e simboliche, cercando di evidenziare possibili qualità estetiche capaci di essere la base per una rigenerazione positiva di tali aree, le fotografie che accompagnano il testo possono essere considerate un 'omaggio' a questa concezione positiva dei "vuoti urbani", con la speranza che in futuro se ne riescano a cogliere concretamente le ampie possibilità.
"Nascono potenze e nobiltà, feroci, nei mucchi di tuguri, nei luoghi sconfinati dove credi che la città finisca, e dove invece ricomincia, per migliaia di volte, con ponti e labirinti, cantieri e sterri, dietro mareggiate di grattacieli, che coprono interi orizzonti." Pier Paolo Pasolini