Eventi
Donne-boss e donne spergiure: la femminilità tradita
La mafia muliebre raccontata a Barletta dalla senatrice Donatella Albano
Barletta - sabato 8 marzo 2014
13.05
Scostandoci dalla retorica ridondante sulla difesa della donna e sulla sua sottomissione, è interessante parlare oggi da tutt'altra veduta e riflettere sul pericoloso dominio femminile. E' la cultura a indirizzare verso la legalità e le donne mafiose inquadrano la loro vita nel culto dell'illegalità. A parlarci di questo paradosso, è intervenuta ieri sera al Circolo Unione di Barletta una donna costretta a difendersi: la senatrice Donatella Albano: colei che nel 2009, da semplice consigliera comunale del comune di Bordighera, opponendosi all'apertura di due sale giochi, si è data in pasto ai carnefici della mala vita. «Avrò dato fastidio a qualcuno e hanno pensato bene di avvisarmi. Ho ricevuto due pacchi postali: il primo contenente una fetta di limone; il secondo un santino sporco di sangue. Nel gergo mafioso questi sono rispettivamente i simboli di omertà e affiliazione, ma la cosa più brutta che abbia mai ricevuto è stata la chiamata di un uomo che mi ricordava che avevo dei figli». Una storia raccapricciante quella raccontata dall'attuale membro della commissione parlamentare permanente di inchiesta sulle mafie e sulle associazioni criminali: la donna che aveva avvertito il marcio senza neanche vederlo. Nel marzo 2011, lo scioglimento del consiglio comunale di Bordighera per infiltrazioni mafiose le fa capire che qualcosa c'era e il fatto che le sale giochi nella sua città non si sono mai più aperte le fa capire che la sua lotta ha avuto risultati.
Ma quante vittorie e quante sconfitte? E' un braccio di ferro continuo tra la nostra paura e le loro minacce, il nostro coraggio e i loro arresti. «Io volevo solo impedire l'apertura di sale giochi, ma sono entrata in ballo e continuo a ballare su questo sottofondo travolgente che è l'antimafia. Sapere che la mia foto era accanto alle armi di esecutori mafiosi significa non riuscire più a vivere; sapere che tra un mese la loro pena sarà scontata e che torneranno liberi mi fa ancor più terrore ma è proprio il nostro coraggio ad essere la loro paura; anche se io di paura ne ho tanta, per me, per mio marito, per i miei figli e per tutti gli italiani che credono ancora nella correttezza del potere».
Il rapporto donna-mafia vede la donna come l'altra metà della luna, come i fiori dell'oleandro, parti silenti ma esistenti di un fenomeno restio alla manifestazione esplicita, in un tempo in cui la donna era spettatrice impotente delle bestialità dell'uomo. Più concreto, rispetto a queste metafore, fu Tommaso Buscetta, quando definì la donna del mafioso suo "stampo". A partire dal pentitismo maschile però, la donna del e per il mafioso non assume più la forma che egli le imprime, ma si desta dalla fanghiglia per poter avere un ruolo più definito e solido. Diventa la coperta dell'uomo ricercato, il segnale di deviazione per le indagini e il database organizzativo degli affari. La figura femminile non è più la sagoma schiacciata dall'ipertrofia maschile, ma assume corpo e spessore nel controllo del gettito delle estorsioni, nella ridistribuzione di risorse ai detenuti e di parcelle agli avvocati.
In arabo la parola "mafia" significa spavalderia e non è necessario sproloquiare per essere spavaldi. Il silenzio, infatti, è ciò che sa essere più in armonia con il codice onorifico e l'assenso implicito dell'attivismo femminile non può che tradire la sua stessa forza di ribellione. In un'ottica materna, si potrebbe anche parlare di pedagogia mafiosa: sono molti i casi in cui i figli vengono indottrinati dalle madri a seguire le norme delle loro cose, della loro casa e della loro casta. Un circuito chiuso e ben nutrito, che può avvalersi di sottili abilità per essere spaventosamente aperto a qualsiasi ambito della vita terrena. All'interno di questo spinoso recinto, sembra che l'unica possibilità che la donna ha per contare qualcosa sia quella di contare sulla morte di chi è fuori dal recinto e ad esso si oppone. Il peggior modo di morire è rimanere vivi e le donne come Donatella Albano dovranno passare la vita a custodirsela.
Ma quante vittorie e quante sconfitte? E' un braccio di ferro continuo tra la nostra paura e le loro minacce, il nostro coraggio e i loro arresti. «Io volevo solo impedire l'apertura di sale giochi, ma sono entrata in ballo e continuo a ballare su questo sottofondo travolgente che è l'antimafia. Sapere che la mia foto era accanto alle armi di esecutori mafiosi significa non riuscire più a vivere; sapere che tra un mese la loro pena sarà scontata e che torneranno liberi mi fa ancor più terrore ma è proprio il nostro coraggio ad essere la loro paura; anche se io di paura ne ho tanta, per me, per mio marito, per i miei figli e per tutti gli italiani che credono ancora nella correttezza del potere».
Il rapporto donna-mafia vede la donna come l'altra metà della luna, come i fiori dell'oleandro, parti silenti ma esistenti di un fenomeno restio alla manifestazione esplicita, in un tempo in cui la donna era spettatrice impotente delle bestialità dell'uomo. Più concreto, rispetto a queste metafore, fu Tommaso Buscetta, quando definì la donna del mafioso suo "stampo". A partire dal pentitismo maschile però, la donna del e per il mafioso non assume più la forma che egli le imprime, ma si desta dalla fanghiglia per poter avere un ruolo più definito e solido. Diventa la coperta dell'uomo ricercato, il segnale di deviazione per le indagini e il database organizzativo degli affari. La figura femminile non è più la sagoma schiacciata dall'ipertrofia maschile, ma assume corpo e spessore nel controllo del gettito delle estorsioni, nella ridistribuzione di risorse ai detenuti e di parcelle agli avvocati.
In arabo la parola "mafia" significa spavalderia e non è necessario sproloquiare per essere spavaldi. Il silenzio, infatti, è ciò che sa essere più in armonia con il codice onorifico e l'assenso implicito dell'attivismo femminile non può che tradire la sua stessa forza di ribellione. In un'ottica materna, si potrebbe anche parlare di pedagogia mafiosa: sono molti i casi in cui i figli vengono indottrinati dalle madri a seguire le norme delle loro cose, della loro casa e della loro casta. Un circuito chiuso e ben nutrito, che può avvalersi di sottili abilità per essere spaventosamente aperto a qualsiasi ambito della vita terrena. All'interno di questo spinoso recinto, sembra che l'unica possibilità che la donna ha per contare qualcosa sia quella di contare sulla morte di chi è fuori dal recinto e ad esso si oppone. Il peggior modo di morire è rimanere vivi e le donne come Donatella Albano dovranno passare la vita a custodirsela.