Stendardo di Barletta. <span>Foto Ida Vinella</span>
Stendardo di Barletta. Foto Ida Vinella
Politica

Dagli anni d’oro di Salerno alla debàcle del 26 giugno

Come il centrosinistra di Barletta è riuscito nel tempo a dilapidare un patrimonio di consensi

C'è stato un tempo a Barletta in cui il centrosinistra avrebbe tranquillamente potuto emulare l'imperatore Caligola e fare eleggere alla carica di sindaco un cavallo, un levriero o un qualsiasi altro quadrupede, vista la straripante macchina da guerra elettorale in dote e la disarmante pochezza del centrodestra di inizio secolo.

La potenza di fuoco in termini di voti del centro sinistra barlettano ha una precisa data di nascita: 30 novembre 1997, vale a dire il giorno in cui diviene sindaco il dottor Francesco Salerno.

Delle amministrazioni Salerno abbiamo ampiamente e piuttosto recentemente raccontato. L'ex primario di radiologia fu innanzitutto abilissimo nel corso dei suoi due mandati ad intercettare le istanze del barlettano medio, ma a onor del vero fu anche il sindaco che riuscì a riportare in auge la "Disfida", a trasformare completamente il centro storico da luogo quasi dimenticato talvolta teatro di episodi poco edificanti, a cuore pulsante e salotto buono della città nonostante il perdurare di tali episodi.

Francesco Salerno fu anche ideatore della Bar.S.A. e tra i maggiori promotori del Parco Letterario e del Patto Territoriale.

Francesco Salerno fu politico tenace e carismatico, a volte duro e scontroso, ma che bene o male seppe conquistarsi una stima da parte dei barlettani mai vista prima e che difficilmente, crediamo, si vedrà in futuro.

Nel frattempo alla sua ombra iniziavano a crescere in termini di voti, molti degli attuali pezzi da novanta del progressismo made in Barletta.

Francesco Salerno lascia la poltrona di sindaco nel gennaio 2006, ma i suoi otto anni alla guida della città costituiranno negli anni a venire un comodissimo patrimonio elettorale grazie al quale i suoi successori vinceranno in scioltezza, e talvolta persino con irrisoria facilità, tutte le successive tornate amministrative.

Sarà Nicola Maffei il primo a beneficiare del formidabile effetto scia lasciato da Salerno, diventando sindaco nel maggio del 2006 con oltre il 72% delle preferenze: un record tutt'ora imbattuto. Ma nel frattempo, quei teneri ramoscelli d' "Ulivo" che crescevano politicamente all'ombra di Salerno, iniziano sempre più ad avere le fattezze di fastidiosi tronchi d'albero disseminati sulla strada di Maffei, come successivamente su quella di Pasquale Cascella.

Inutile dire che tutto questo baillamme inizia pesantemente a condizionare l'attività amministrativa e consiliare con continui rimpasti di giunta e un frenetico via vai tra maggioranza, opposizione e gruppo misto. La logica conseguenza non può che materializzarsi in amministrazioni sempre più costrette a vivacchiare alla meno peggio - discostandosi ben poco dall'ordinaria amministrazione e dall'approvazione dei debiti fuori bilancio - e non di rado ad amministrare per dodicesimi senza uno straccio di programmazione.

Che dire, un modo di amministrare la città che sarebbe stato sin da subito spazzato via alle urne se solo in quegli anni vi fosse stata un'opposizione all'altezza e non – fatte salve alcune notevoli eccezioni – quella timida, inconsistente, quando non consociativa che abbiamo visto in tutti questi anni.

Del resto è notorio che - parole e musica di un certo Aldo Moro (la cui foto campeggia in molte sezioni del Partito Democratico) - un'opposizione in grado di vincere non può che far bene anche alla maggioranza, in quanto aiuta quest'ultima a non adagiarsi troppo sugli allori: cosa che al centro sinistra barlettano è sistematicamente accaduta dalla fine dell'era Salerno fino alla vittoria di Cannito nel 2018 con il maxi esperimento civico.

Tra l'altro lo stesso Cannito, candidatosi a sindaco già nel 2013 per i Socialisti, fu già decisivo con il suo 17,60 % al primo turno, nel costringere dopo sedici anni il centro sinistra al ballottaggio che avrebbe visto l'affermazione di Pasquale Cascella su Giovanni Alfarano.

Ma anche questo campanello d'allarme – così come il dignitosissimo, visto oggi, 8,16% del Movimento 5 Stelle - finì con l'essere quasi completamente ignorato dai maggiorenti del Partito Democratico barlettano e satelliti sparsi, forti e sicuri di una base elettorale praticamente a prova di bomba, tuttavia inversamente proporzionale alla capacità di amministrare delle giunte da essi sostenute. Un atteggiamento che non solo ha finito goccia dopo goccia con il dilapidare l'eredità "salerniana" in termini di consenso popolare (che è cosa ben diversa rispetto alla fredda e asettica "X" sulla scheda elettorale), ma ha portato molte possibili brillanti "nuove leve" a perdere entusiasmo, quando non proprio a disimpegnarsi.

Tutto questo gravame da fine impero si è letteralmente riversato sulle spalle della candidata Santa Scommegna, alla quale, tra le altre cose, non hanno certo giovato i soliti slogan triti e ritriti recitati a menadito da qualcuno circa il "pericolo delle destre" da scongiurare: perché d'accordo le asperità e le polemiche da campagna elettorale, ma onestamente facciamo fatica ad immaginare i vari Memeo, Antonucci, Cefola, Basile ecc. intenti a invadere la Polonia o a conquistare l'Abissinia.

E a conti fatti un favore alla Scommegna non lo ha certo fatto Emiliano nel citare il "raggelante silenzio di Cannito sulla criminalità", anche perché storicamente, quando il centrosinistra in campagna elettorale usa certi argomenti significa che non ne ha altri e finisce sistematicamente per perdere. Una polemica tra l'altro non molto diversa da quella riservata nel 2001 dallo stesso Emiliano (allora Pubblico Ministero) nei confronti di Francesco Salerno, circa il ritardo di Barletta a proposito della costituzione dell'associazione antiracket. "Faccio il sindaco, non lo sceriffo" fu allora la lapidaria risposta di Salerno.

E in conclusione, a proposito di Francesco Salerno, non ci è sembrata certo una carta vincente da parte del centro sinistra quella di evocarne quasi lo spirito in questa campagna elettorale. In primis perché ormai anche le pietre sanno in quali rapporti fosse quest'ultimo con il suo partito alla fine della sua esperienza da sindaco, e poi, dato lo scorrere inesorabile del tempo e della storia, sarebbe in sostanza come se il prossimo anno il segretario del PD Enrico Letta, per vincere le elezioni evocasse le figure di Enrico Berlinguer o Aldo Moro.
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