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A un anno dal referendum sull’acqua, che ne è stato del Sì degli italiani?

Intervista a Vincenzo Spina, referente del comitato “Acqua Bene Comune” per la Bat. «All’atto pratico non è cambiato nulla»

Il 12 e 13 Giugno 2011 sono stati i giorni del ritorno al successo di un istituto di democrazia diretta: il referendum. Dopo sedici anni di quorum non raggiunti e vittorie dell'astensione, l'anno scorso oltre il 54% degli elettori italiani sono tornati a votare per quattro quesiti referendari: due sulla questione acqua, uno sull'energia nucleare, uno sul legittimo impedimento. Quattro quesiti per i quali la maggioranza assoluta (tra i 25 e i 26 milioni di elettori) degli italiani aventi diritto al voto ha detto sì all'abrogazione. Soffermiamo oggi l'attenzione sui primi due quesiti, quelli relativi alla gestione dei servizi pubblici locali e al servizio idrico integrato, i quali lasciano ancora oggi aperto il dibattito sul loro effettivo rispetto e la loro concreta attuazione. Protagonista della battaglia referendaria e post-referendaria, a favore del sì all'abrogazione delle norme sottoposte al referendum, è stato ed è il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, con il comitato "Acqua Bene Comune". Abbiamo perciò intervistato Vincenzo Spina, che è referente territoriale per la Bat del comitato, per fare un bilancio a un anno dalla consultazione referendaria, valutare l'effettivo rispetto o meno dell'esito referendario, e parlare inoltre del percorso di ripubblicizzazione dell'Acquedotto Pugliese, oltre che dei risvolti dei temi referendari nella nostra città di Barletta.

E' passato un anno dal successo dei referendum del 12 e 13 Giugno 2011. Ora, a distanza di un anno, quale bilancio in generale si può fare dell'esito referendario?
«Dell'esito referendario il bilancio che può essere fatto è che la gente ha preso comunque coscienza del rischio della privatizzazione dei beni comuni, e dell'attacco alla democrazia, e quindi è andata a votare in massa. Detto questo, a distanza di 1 anno, le cose non sono cambiate né a livello legislativo, né all'atto pratico. La legge prevede ancora che gli acquedotti possano essere pubblici o privati, anche se non forza la privatizzazione. All'atto pratico, l'Acquedotto Pugliese (Aqp), nello specifico, è ancora una spa e quindi una società privata a tutti gli effetti. A livello nazionale gli acquedotti privati, ovvero enti di diritto privato ed spa, sono rimasti privati, e quei pochi pubblici, sono rimasti pubblici. Quindi non è cambiato nulla».

Veniamo nello specifico ai quesiti referendari promossi dal comitato "Acqua Bene Comune". Con il sì al primo quesito è stata abrogata la norma del Decreto Ronchi del 2009, che prevedeva l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti privati. L'esito di questo quesito è stato rispettato? Ha avuto i suoi effetti concreti?
«L'esito è stato rispettato perché nello specifico è stata bloccata la privatizzazione forzata. Detto questo, ci sono ancora tanti attacchi a questo quesito come vari tentativi di legge, ad esempio l'ultima finanziaria che prevedeva una norma che dava incentivi ai comuni che privatizzavano i loro servizi (norma poi non più arrivata in Parlamento, che avrebbe creato un dubbio, visto che interveniva su una questione che è stata sottoposta a referendum, attraverso una manovra finanziaria che non può essere sottoposta a referendum), che hanno cercato di concedere incentivi a coloro che privatizzano i servizi pubblici. Questi possono essere considerati attacchi all'esito referendario, perché, con il sì pronunciato su tale quesito, si è negata l'obbligatorietà di dare il 40% della gestione a società di diritto privato. Con quella norma infatti, gli enti di diritto pubblico avrebbero dovuto privatizzare i propri servizi e concedere una parte delle quote ai privati, mentre le società di diritto privato, anche se controllate al 100% da enti pubblici, avrebbero dovuto cedere una parte del loro capitale ai privati».

La stessa domanda vale anche per il secondo quesito, la cui vittoria del sì ha sancito l'abrogazione della norma del D.Lgs. n.152 del 2006, che prevedeva la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato includendo l'adeguata remunerazione del capitale investito dal gestore. L'esito di tale quesito è stato rispettato? Ha avuto i suoi effetti concreti?
«Nella maggior parte d'Italia, compreso in Puglia, non è stato rispettato. Questo quesito era quello che faceva più paura ai soggetti coinvolti nel referendum. In Puglia l'8,28% delle nostre bollette non dovrebbe essere pagato perché entra come utile al gestore e la norma che prevedeva questo utile è stata abrogata dal referendum. Questo utile può fare in modo che gli acquedotti gestiti da società di diritto privato possano richiedere enormi prestiti alle banche creando delle speculazioni sulla gestione degli acquedotti. In riferimento alla remunerazione del capitale investito, noi abbiamo chiesto all'Aqp di vedere i bilanci, in quanto è una società controllata al 100% dalla regione e i bilanci ancor di più dovrebbero essere pubblici. Questi bilanci sono consultabili fino al 2007. Abbiamo scritto a Monteforte (amministratore unico di Aqp ndr) per richiedere i bilanci, e ha risposto che sono sul sito, ma ovviamente non è così. Non vorremmo che questo atteggiamento possa nascondere degli investimenti mal gestiti».

Proprio per il rispetto del secondo quesito, è partita la campagna di "Obbedienza Civile". In cosa consiste questa campagna che avete promosso in tutta Italia?
«La campagne di Obbedienza Civile prevede che chiunque paghi la bolletta possa richiedere, nel caso della Puglia all'Aqp, la restituzione della quota in bolletta relativa alla remunerazione del capitale, che quest'anno per l'Aqp è dell'8,28%, mentre l'anno scorso è stata del 7,49%. Nel capitale investito sono compresi gli investimenti futuri, i beni mobili e immobili, il tutto calcolato secondo le previsioni di bilancio periodiche previste dal piano d'ambito dell'Autorità Idrica Pugliese (Aip). Su questo calcolo del capitale investito viene poi calcolata a sua volta la remunerazione. Chiediamo quindi per quest'anno, la restituzione dell'8,28%, mentre per l'anno scorso la restituzione del 7,49% della bolletta dell'acqua. Lo chiediamo tramite diffide all'Aqp o tramite azioni legali che saranno messe in atto a breve».

A Barletta, il consiglio comunale, dopo aver introdotto, nella seduta del 22 Dicembre scorso, all'interno dello Statuto Comunale, il diritto all'acqua, nella seduta del 26 Marzo, ha approvato all'unanimità l'appoggio alla vostra campagna. In tale occasione, avete preso atto della decisione, in attesa di riscontri pratici. Questi riscontri sono poi giunti ad ora dall'amministrazione comunale?
«No. Se vogliamo essere chiari, abbiamo l'impressione che l'amministrazione comunale sia molto propensa a deliberare e poco attiva all'atto pratico. Nello specifico si trattava di una cosa molto importante. Non era solo il sostegno alla campagna, cosa che poteva essere di per sé aleatoria. Innanzitutto si trattava di chiedere all'Aip di intervenire sulle tariffe, tramite il proprio rappresentante, che è il sindaco di Andria, per poter cancellare la remunerazione del capitale investito. Inoltre si trattava di aderire come utente alla campagna e quindi agire tramite i reclami e le azioni legali verso l'Aqp e pubblicizzare la campagna con uno striscione sul comune. Tutto questo è stato approvato ma non è stato rispettato dal comune di Barletta».

Da circa due anni si è tornati a parlare con forza di ripubblicizzazione dell'Acquedotto Pugliese. Avete promosso un disegno di legge che ha avuto prima un percorso di confronto con la giunta regionale, a cui poi è seguito l'iter legislativo in consiglio regionale. A che punto siamo tutt'ora? E soprattutto siamo sulla strada giusta?
«Il disegno di legge in questione è stato modificato radicalmente prima di essere votato dal consiglio regionale. Queste sostanziali modifiche oltre a non ripubblicizzare di fatto l'Aqp, hanno creato una legge pessima, con delle grosse lacune, tali da far in modo che la corte costituzionale la giudicasse incostituzionale. Le modifiche fatte dalla giunta prima di arrivare al consiglio, non rispettano i voleri del comitato pugliese, che aveva scritto la prima bozza di legge assieme alla giunta. Il punto a cui si è arrivati tutt'ora fa ritenere che in Puglia non possa essere possibile la ripubblicizzazione. L'attuale legge ha cancellato l'espressione "servizio di interesse generale" oltre che "ente di diritto pubblico", presenti nella prima bozza di legge, facendo rientrare l'Aqp nel caso in cui può essere gestito da società private, per il quale la competenza appartiene allo stato e non alla regione. La Consulta, non avendo altri riferimenti legislativi, eliminate queste espressioni, si è riferita alla legge del governo D'Alema che ha privatizzato l'Aqp nel 1999, affidando la competenza legislativa sull'Aqp allo stato. Alla fine, con una legge diversa probabilmente si sarebbe potuto ripubblicizzare l'Aqp».

Pochi giorni fa l'ultimo botta e risposta tra il vostro comitato e il presidente della regione Puglia Nichi Vendola, sul prossimo giudizio della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità della norma della manovra finanziaria estiva dello scorso anno del governo Berlusconi, che ha riproposto l'ingresso dei privati nei servizi pubblici locali. Quale responso vi aspettate? Cosa farete in caso di pronuncia negativa?
«Il fatto che sia stato vinto un referendum e che dopo di esso sia stata fatta una legge che privatizza i servizi pubblici locali la dice lunga sul volere sulle istituzioni. Se poi il ricorso costituzionale è stato fatto dalla regione Puglia, e il presidente fa delle dichiarazioni nelle quali si prepara a perdere questo ricorso, sorge il sospetto che c'è qualcosa di più che una semplice paura di perdere. Si vedano le dichiarazioni iniziali su tale ricorso che non specificano nulla dell'oggetto, ma si lanciano verso la privatizzazione, come se non fosse stato fatto nessun referendum. Non so quale potrà essere il responso. Ovviamente c'è il referendum che ha sancito che non ci deve essere obbligatorietà di cessione dei servizi pubblici ai privati. E' verosimile che il responso quindi possa essere positivo, saprà la Corte Costituzionale pronunciarsi nel migliore dei modi. Esamineremo comunque la sentenza, e anche in caso di pronuncia negativa vedremo quali potranno essere le strade per la ripubblicizzazione dei servizi pubblici in Italia».

Recentemente Guardia di Finanza e Capitaneria di Porto, coordinati dalla Procura di Trani, hanno condotto un'operazione, denominata "Dirty Water", che ha portato al sequestro dei depuratori di Barletta, Andria, Trani e Molfetta. Tra i vari indagati vi è anche l'amministratore unico di Aqp Monteforte. Che impressione vi siete fatti di questa vicenda?
«Questa vicenda ha messo in risalto il problema della gestione dell'Aqp, che essendo una spa potrebbe essere più incline gestire anche in maniera anche poco conforme alla legge i depuratori di loro competenza. Lo stesso vale anche qualora i depuratori non siano gestiti direttamente dall'Aqp, ma da dati in gestione ad altre aziende, e ciò dimostra che le concessioni date a società private si mostrano deleterie per la loro gestione. Nella legge regionale in questione c'era una norma che, per quanto riguarda le aziende esterne all'Aqp, non chiariva se queste aziende erano riconducibili ad una gestione pubblica o meno. Ciò fa pensare che probabilmente, qualora si fosse attuata la ripubblicizzazione dell'Aqp, questa poteva rimanere soltanto tale a livello della sua dirigenza, ma avere poi dei servizi esternalizzati ai privati. Chiediamo che non avvengano più questi scandali, che mettono in luce i problemi del privato. Qualora si arrivi alla ripubblicizzazione dell'Aqp, vogliamo si attui una gestione partecipata».

Il vostro raggio di azione parte dunque dalla questione acqua, ma si estende all'insieme dei servizi pubblici locali, che possiamo considerare di interesse generale, come i trasporti, l'energia e il ciclo dei rifiuti. A tal proposito, rimanendo alla situazione di Barletta, qual è la vostra posizione nei confronti della Bar.S.A.?
«Noi siamo per la partecipazione alla gestione dei servizi pubblici. Non solo La Bar.S.A. dovrebbe essere un ente di diritto pubblico anziché una società privata, ma nella gestione di tale ente ci dovrebbe essere la partecipazione dei cittadini, perché i rifiuti rientrano nel primo quesito referendario, e la loro gestione rientra in quelli che noi chiamiamo beni comuni. Tutti i casi scoppiati fino ad adesso sulla nostra municipalizzata sono il sintomo di una cattiva gestione, che è aiutata dal suo status giuridico, dal fatto di essere una società privata, anche se controllata in maggioranza dal comune. Se prendiamo ad esempio l'acquedotto di Parigi, di recente ripubblicizzato, il consiglio di amministrazione è formato da lavoratori, amministratori locali, e persone della comunità parigina. Pertanto questo può essere preso come un buon esempio per l'amministrazione di un servizio pubblico locale».
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