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Genoa-Siena, "c'era una volta il calcio"...

Follia a "Marassi": calciatori di casa costretti a togliersi le maglie, ultras "padroni" dell'impianto sportivo

"C'era una volta il calcio" è il titolo di uno storico articolo di Gianni Brera, mitico cantastorie del calcio italiano. Sarebbe bello se qualcuno lo leggesse a quei "tifosi" del Genoa, o almeno a quella frangia di presunti tali che oggi pomeriggio hanno fermato l'incontro di serie A Genoa-Siena all'8' del secondo tempo, sul punteggio di 4-0 per i toscani, scrivendo l'ennesima vergognosa pagina del calcio nostrano. Con la loro squadra in svantaggio e a un solo punto dalla zona-retrocessione, un centinaio di tifosi della curva Nord ha invaso la gradinata di fronte alla tribuna stampa lanciando fumogeni e petardi con l'obiettivo di interrompere l'incontro; alcuni di loro sono arrivati ad arrampicarsi sul plexiglass che separa la tribuna dal campo, inducendo così l'arbitro Tagliavento a sospendere il match, e vedendo accolta la loro richiesta di far togliere le maglie ai giocatori genoani.

Oggi a "Marassi" è stata scritta un'altra pagina grottesca per il calcio italiano: un centinaio di tifosi è stato capace, con la sola violenza dei gesti e delle parole, di bloccare una manifestazione sportiva per 45 interminabili minuti. Momenti nei quali discussioni accese aventi come protagonisti queste persone che evidentemente poco hanno a che fare con il tifo, a colloquio a turno con dirigenza del Grifone, il capitano Marco Rossi, il patron Enrico Preziosi fino a Giuseppe Sculli, l'unico a rifiutarsi di togliere la maglia, e l'unico a spronare i suoi compagni a rivestirsi per tornare in campo. Le famiglie hanno abbandonato lo stadio, chi sperava di vivere una giornata di sport e riconciliarsi con il rettangolo verde dopo una settimana di sofferenza vera, non certo paragonabile a quella di chi arriva alle minacce per uno 0-4 della propria squadra, è stato ancora una volta deluso. Tutta colpa di un centinaio di facinorosi.

Quanto sono distanti oggi le belle parole spese dopo la tragica scomparsa di Piermario Morosini: il recupero del senso primario del calcio, le fiaccolate di solidarietà, l'amicizia in campo. A cosa è servito, dovremmo chiederci? Oggi rieccoli, i personaggi che poco hanno a che fare con chi ama questo sport, che niente hanno a che fare con chi ama il Genoa: inscenano una guerriglia per una sconfitta in casa e non fanno altro che peggiorare le condizioni psicologiche dei loro beniamini e la situazione di classifica della loro squadra, che ora rischia una multa salatissima e vedrà certamente squalificato il proprio impianto di gioco nel rush finale per la corsa-salvezza. Dalle lacrime sparse da milioni di tifosi, di chi pratica lo sport e di addetti ai lavori, il pianto sincero per un ragazzo la cui vita si è spezzata a soli 25 anni mentre inseguiva un pallone, alle lacrime a singhiozzo di Giandomenico Mesto, il difensore del Genoa assalito oggi pomeriggio da un pianto nervoso durante la surreale contestazione, il passo è davvero lungo, sebbene siano passati solo otto giorni. La crescita della cività del sistema-calcio? Gli stadi "all'inglese", senza barriere? Le candidature a Olimpiadi e Europei? Tutte balle, ci sia concesso il termine, se bastano una sconfitta casalinga e lo spauracchio della retrocessione a farci regredire a livelli bestiali.

«Questa violenza è inaccettabile. Questi non sono tifosi. Ha fatto bene Sculli a non togliersi la maglia. Spero che queste persone vengano riconosciute e condannate: non devono entrare mai più negli stadi. L'ordine pubblico deve essere gestito da chi di dovere. Le leggi ci sono e vanno applicate. Già a Genova pagammo anche noi con la Nazionale». Queste le parole del presidente della Federcalcio Giancarlo Abete ai microfoni di "Studiosprint". Le forze dell'ordine hanno cercato di limitare i danni: è vero che in gradinata c'erano tante, per fortuna la maggioranza, persone estranee ai fatti e con i volti impauriti per cosa stava succedendo, ma è anche vero che ci sono le immagini televisive. I volti dei colpevoli di questo schifo ci sono, e la speranza minima di chi ama il calcio è di non vederli mai più in uno stadio. Ultras sulla balaustra oggi, come il tifoso serbo Ivan in Italia-Serbia dell'ottobre 2010: stesso stadio, appena un anno e mezzo dopo, anche questo deve far riflettere sull'efficacia delle misure di sicurezza nei nostri impianti.

"C'era una volta il calcio", dicevamo: nell'articolo Brera parlava di Gigi Riva, la più grande ala sinistra, del Cagliari e della Nazionale, mai vista sui campi di calcio. «Faccio fatica a capire- scriveva Brera- perché non lo allettava un ritorno in Lombardia. Gli offrivano ingenti ricchezze e ovviamente onori tifo amicizie importanti. Riva preferiva rifugiarsi in casa di pescatori a Cagliari. Scopriva gli agi come glieli andava offrendo la natura». Forse sarebbe bene regalare questo stralcio di poesia calcistica a chi sta cercando di inquinarlo, dai "professionisti" coinvolti nel calcio-scommesse alle frange di violenti che si spacciano per tifosi. iPer dovere di cronaca, dobbiamo dire che si è ripreso a giocare in un clima irreale: i giocatori, evidentemente scossi, hanno provato ad onorare gli ultimi 37 minuti del match. Prima del fischio finale, il Genoa ha anche trovato il gol della bandiera, il Siena ha vinto 4-1, ma oggi, manco a dirlo, ha perso l'intero calcio italiano.
(Twitter @GuerraLuca88)
Fonte foto: sport.sky.it
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