Pop Corn
Semplicemente "La felicità è un sistema complesso"
Zanasi, Mastandrea e i paesaggi sociali
domenica 6 dicembre 2015
Partiamo dal titolo: un sistema è un groviglio di relazioni che lavorano in armonia, dal momento che le loro funzioni sono finalizzate all'armonia e al funzionamento del sistema stesso; la complessità è l'impossibilità di uscire da questo groviglio, di venire a capo del bandolo della matassa; la felicità è la ragnatela intessuta in questo groviglio, funziona solo se ci sei dentro. Osservarla da fuori fa soffocare. Fa problematizzare. Ed è quando qualcuno ti porta fuori che l'aria che prendi ti travolge fino a costringerti a respirare in modo diverso; a vivere in modo diverso. Questa uscita vitale Enrico Giusti la fa con una ragazza israeliana, diventata improvvisamente sua coinquilina, per volontà di suo fratello. A questo le mani sudano, i piedi scappano, mentre al fratello Enrico i piedi restano e le mani sono asciutte da vent'anni. Entrambi abbandonati da un padre fraudolento, gestiscono la separazione dai genitori diversamente: Nicola in modo evasivo, Enrico con il desiderio di riscatto personale. Poi c'è Hadas Yaron, che lascia la sua famiglia a Tel Aviv per il sogno italiano e si trova a sognare da sola, così come si vive, da soli, fino al punto di sognare la fine.
Ma un suicidio mancato è una vita comunque andata; Achrinoam riparte senza aspettarsi nulla, prende la mano asciutta di Enrico, senza tendergli il braccio, semplicemente perché è capitato. Così come è capitato di chiudere in quelle stesse braccia una bambina di 13 anni, orfana di entrambi i genitori da tre giorni. L'una sceglie il distacco, l'altra lo subisce, eppure il corpo non sembra far distinzioni tra preferenze e disgrazie. Ed è nell'intersezione tra sensibilità che Enrico decide di fare un bagno di purezza; di gettarsi in acqua per poter ristabilire anche lui il contatto con la carne umida. Per sentirsi esistere. Un modo come un altro per dire ai due giovani dirigenti «fate quello che vi pare, io non vi dissuaderò più dall'innaffiare le vostre radici. Anzi, riprenderò ad innaffiare le mie». Un lavoro meschino il suo, ma salvifico per il mercato: un mondo imprenditoriale che richiede efficienza, obbedienza all'economia, frigidità sociale, tanta sicurezza per il ruolo e poche difese per la personalità.
Zanasi avrebbe sorpreso ancora per la sua capacità di allontanarsi dalla banalità del già visto, se non fosse stato per le metafisiche scene del volo e del rogo. Eppure, anche queste contribuiscono a creare una circolarità intorno ai quattro elementi, con l'indiscussa e taletiana centralità dell'acqua, come principio di tutte le cose. L'umidità delle grotte si trasferisce nelle mani ed è in questo passaggio che avviene la trasformazione dell'apatia in pathos. Finalmente ha fallito: gli eredi della Lievi's Group non si sono arresi ed Enrico trova il coraggio di rispolverare una lettera scritta a se stesso cinque anni prima; trova la forza di potersi dire, di parlarsi. Dopo una pedalata tagliente l'aria e l'appiccamento di un incendio interiore, l'unica soluzione acquosa sembra essere dormire per terra, a contatto con l'immobile freddo calpestato che fa tremare. Smette di essere agito dall'establishment dirigenziale e comincia ad essere agente, a smarrirsi.
Vile non sentire il ferrone degli stabilimenti che chiudono e lo spostamento d'aria delle delocalizzazioni. Si potrebbero dire tante altre cose, ma nulla è più eloquente di un corpo sdraiato per terra, deciso ad ignorare i diktat di mamma economia. Così bravo a calcolare e così poco bravo a raccontare. Una ricetta priva di equilibrio, a tratti insostenibile per la straordinaria bellezza fotografica; difficile starle dietro e fare la parte dello spettatore dal pensiero esecutivo. E' una ricetta che non va eseguita, non c'è un procedimento ordinato, altrimenti il sistema sarebbe stato semplicemente complicato. E invece no, è complesso. La complessità sta nella soggettivazione di ogni difficoltà e tra una battuta e un lago in grandangolo (scrittura, riprese e musiche di grande rottura stilistica), Zanasi penetra nelle ossa con quell'ago dotato di grande mira che è Valerio Mastandrea.
Ma un suicidio mancato è una vita comunque andata; Achrinoam riparte senza aspettarsi nulla, prende la mano asciutta di Enrico, senza tendergli il braccio, semplicemente perché è capitato. Così come è capitato di chiudere in quelle stesse braccia una bambina di 13 anni, orfana di entrambi i genitori da tre giorni. L'una sceglie il distacco, l'altra lo subisce, eppure il corpo non sembra far distinzioni tra preferenze e disgrazie. Ed è nell'intersezione tra sensibilità che Enrico decide di fare un bagno di purezza; di gettarsi in acqua per poter ristabilire anche lui il contatto con la carne umida. Per sentirsi esistere. Un modo come un altro per dire ai due giovani dirigenti «fate quello che vi pare, io non vi dissuaderò più dall'innaffiare le vostre radici. Anzi, riprenderò ad innaffiare le mie». Un lavoro meschino il suo, ma salvifico per il mercato: un mondo imprenditoriale che richiede efficienza, obbedienza all'economia, frigidità sociale, tanta sicurezza per il ruolo e poche difese per la personalità.
Zanasi avrebbe sorpreso ancora per la sua capacità di allontanarsi dalla banalità del già visto, se non fosse stato per le metafisiche scene del volo e del rogo. Eppure, anche queste contribuiscono a creare una circolarità intorno ai quattro elementi, con l'indiscussa e taletiana centralità dell'acqua, come principio di tutte le cose. L'umidità delle grotte si trasferisce nelle mani ed è in questo passaggio che avviene la trasformazione dell'apatia in pathos. Finalmente ha fallito: gli eredi della Lievi's Group non si sono arresi ed Enrico trova il coraggio di rispolverare una lettera scritta a se stesso cinque anni prima; trova la forza di potersi dire, di parlarsi. Dopo una pedalata tagliente l'aria e l'appiccamento di un incendio interiore, l'unica soluzione acquosa sembra essere dormire per terra, a contatto con l'immobile freddo calpestato che fa tremare. Smette di essere agito dall'establishment dirigenziale e comincia ad essere agente, a smarrirsi.
Vile non sentire il ferrone degli stabilimenti che chiudono e lo spostamento d'aria delle delocalizzazioni. Si potrebbero dire tante altre cose, ma nulla è più eloquente di un corpo sdraiato per terra, deciso ad ignorare i diktat di mamma economia. Così bravo a calcolare e così poco bravo a raccontare. Una ricetta priva di equilibrio, a tratti insostenibile per la straordinaria bellezza fotografica; difficile starle dietro e fare la parte dello spettatore dal pensiero esecutivo. E' una ricetta che non va eseguita, non c'è un procedimento ordinato, altrimenti il sistema sarebbe stato semplicemente complicato. E invece no, è complesso. La complessità sta nella soggettivazione di ogni difficoltà e tra una battuta e un lago in grandangolo (scrittura, riprese e musiche di grande rottura stilistica), Zanasi penetra nelle ossa con quell'ago dotato di grande mira che è Valerio Mastandrea.