Politica
Tessile nella Bat, obbligatoria l'etichetta sui capi
Lo ha deciso il Parlamento europeo. Silvestris: «Rimedio contro concorrenza sleale». Per creare un'etichetattura sociale e ambientale
BAT - mercoledì 2 giugno 2010
Dal Parlamento europeo una buona notizia per tutte le industrie tessili e manifatturiere della Provincia di Barletta, Andria e Trani: sarà presto obbligatoria su tutti i capi tessili un'etichetta che ne indichi il Paese di provenienza. E´ quanto ha deciso il Parlamento Europeo votando a stragrande maggioranza una risoluzione legislativa che metta un punto fermo sulle troppe contraffazioni a danno dei produttori italiani.
L'attuale legislazione europea sull'etichettatura nel tessile prevede, infatti, esclusivamente l'armonizzazione dei nomi delle fibre (ce ne sono oggi 18 naturali e 30 sintetiche) vendute nel mercato unico europeo, e della loro composizione. Intervenendo in aula, l'On. Sergio Silvestris (Pdl) ha chiesto che «l'etichettatura sul paese d'origine sia obbligatoria per i evitare che i consumatori siano tratti in inganno da diciture che suggeriscono che la manifattura di un abito è stata eseguita in uno Stato UE, piuttosto che in un paese terzo. Inoltre - ha affermato Silvestris - ci sono centinaia di piccole aziende tessili e confezioni italiane, che ogni giorno chiudono i battenti a causa della concorrenza sleale subita soprattutto dai prodotti cinesi. L'indicazione del marchio di origine permetterà finalmente di sapere dove sono realmente prodotti i capi d'abbigliamento, così che si possa giudicare in quali condizioni di lavoro ne avviene la produzione. E' notorio, infatti, che in Cina come in Asia la produzione costa meno perché si usano solventi o coloranti tossico-nocivi, e i lavoratori sono sfruttati con orari assurdi e senza le necessari garanzie sociali, previdenziali e retributive».
La rivendicazione del marchio di origine obbligatorio non è una richiesta nuova del Parlamento. «L'assemblea di Strasburgo aveva già interpellato una proposta specifica sul «made in» nel 2005, con una relazione approvata dai parlamentari, ma che è bloccata dal Consiglio ormai da anni - spiega l'On. SIlvestris, che aggiunge - con il testo votato a Strasburgo, intendiamo imporre ai governi UE che non ci siano più sorprese al momento dell'acquisto da parte dei cittadini».
Attualmente, le etichette sono volontarie e il loro uso dipende dalla legislazione nazionale. In confronto a quella europea, la normativa negli USA, in Canada o in Giappone è molto più severa, regolando in modo dettagliato l'indicazione obbligatoria del paese d'origine. «Chiediamo ora alla Commissione europea di presentare una relazione da qui a due anni e, se necessario, una proposta legislativa ad hoc per imporre le nuove regole sul "Made in" in tutta Europa». Così ci illustra l'On. Sergio Silvestris la battaglia politica sulle etichettature in Parlamento, riferendo anche del gruppo di lavoro costituito con altri colleghi Deputati italiani, per proporre l'introduzione di un'etichettatura sociale e ambientale, per informare i consumatori delle condizioni di lavoro e dell'impatto ambientale con cui il capo è stato fabbricato.
Su Internet, l'intervento di Silvestris (http://www.youtube.com/watch?v=iu1-wxIHsMY).
L'attuale legislazione europea sull'etichettatura nel tessile prevede, infatti, esclusivamente l'armonizzazione dei nomi delle fibre (ce ne sono oggi 18 naturali e 30 sintetiche) vendute nel mercato unico europeo, e della loro composizione. Intervenendo in aula, l'On. Sergio Silvestris (Pdl) ha chiesto che «l'etichettatura sul paese d'origine sia obbligatoria per i evitare che i consumatori siano tratti in inganno da diciture che suggeriscono che la manifattura di un abito è stata eseguita in uno Stato UE, piuttosto che in un paese terzo. Inoltre - ha affermato Silvestris - ci sono centinaia di piccole aziende tessili e confezioni italiane, che ogni giorno chiudono i battenti a causa della concorrenza sleale subita soprattutto dai prodotti cinesi. L'indicazione del marchio di origine permetterà finalmente di sapere dove sono realmente prodotti i capi d'abbigliamento, così che si possa giudicare in quali condizioni di lavoro ne avviene la produzione. E' notorio, infatti, che in Cina come in Asia la produzione costa meno perché si usano solventi o coloranti tossico-nocivi, e i lavoratori sono sfruttati con orari assurdi e senza le necessari garanzie sociali, previdenziali e retributive».
La rivendicazione del marchio di origine obbligatorio non è una richiesta nuova del Parlamento. «L'assemblea di Strasburgo aveva già interpellato una proposta specifica sul «made in» nel 2005, con una relazione approvata dai parlamentari, ma che è bloccata dal Consiglio ormai da anni - spiega l'On. SIlvestris, che aggiunge - con il testo votato a Strasburgo, intendiamo imporre ai governi UE che non ci siano più sorprese al momento dell'acquisto da parte dei cittadini».
Attualmente, le etichette sono volontarie e il loro uso dipende dalla legislazione nazionale. In confronto a quella europea, la normativa negli USA, in Canada o in Giappone è molto più severa, regolando in modo dettagliato l'indicazione obbligatoria del paese d'origine. «Chiediamo ora alla Commissione europea di presentare una relazione da qui a due anni e, se necessario, una proposta legislativa ad hoc per imporre le nuove regole sul "Made in" in tutta Europa». Così ci illustra l'On. Sergio Silvestris la battaglia politica sulle etichettature in Parlamento, riferendo anche del gruppo di lavoro costituito con altri colleghi Deputati italiani, per proporre l'introduzione di un'etichettatura sociale e ambientale, per informare i consumatori delle condizioni di lavoro e dell'impatto ambientale con cui il capo è stato fabbricato.
Su Internet, l'intervento di Silvestris (http://www.youtube.com/watch?v=iu1-wxIHsMY).