La città
«Non ho potuto evitare l’uccisione del soldato nazista»
Francesco Corvasce, testimone della occupazione nazista di Barletta e della strage di Marcinelle
Barletta - sabato 2 gennaio 2016
«Ho scampato la morte per mano dei nazisti e nella miniera di Marcinelle». Francesco Corvasce ha 89 anni ed è stato testimone dell'occupazione nazista, avvenuta a ridosso dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Dopo le testimonianze di Maria Peschechera e Giuseppe Turi, la vicenda del signor Corvasce aggiunge altri elementi. Furono quattro i soldati nazisti uccisi prima della occupazione della città, a cui seguì la rappresaglia del 12 settembre, con la strage dei vigili urbani e dei netturbini. L'occupazione di Barletta, ad opera dei paracadutisti tedeschi del "Fallschirmjager Reggiment", avvenne tra il 12 e il 29 settembre 1943. Durante quei giorni, 22 civili furono uccisi e 42 feriti, 37 militari morirono in combattimento. Mi reco con Ruggiero Graziano, presidente ANMIG /Barletta, a casa del signor Francesco Corvasce.
Signor Corvasce, cosa vide il 10 settembre 1943?
«Nel 1943 avevo 17 anni, facevo parte del X Corpo dei vigili del Fuoco. Quel giorno, tornavo dal mio turno di lavoro presso la caserma di Barletta, che si trovava in via Imbriani (al civico 76). Tornavo a casa mia, in via s. Ruggiero, ero all'altezza di Via Consalvo da Cordova, mi fermai a parlare con un mio conoscente, il soldato calabrese Ettore Grisario, armato di fucile, accanto il bar "Fieramosca" (al civico 30). A noi, si unì un amico comune, Giovanni Caputo. Ad un tratto, proveniente dall'orologio di S. Giacomo, vediamo arrivare un side-car, con due soldati tedeschi a bordo, a velocità moderata. Giovanni Caputo esorta Ettore a sparare ai soldati, lui si rifiuta e in un attimo, gli sfila il fucile e lo punta verso i due tedeschi, che fermano la moto. Il soldato tedesco smonta dalla moto e fugge».
Dove fuggì il soldato tedesco?
«Il soldato nazista fugge nella macelleria "Marino" (al civico 12), il suo commilitone fugge in moto. Il mio amico Giovanni, col fucile, insegue il soldato tedesco nella macelleria e spara, uccidendo il soldato, tra le urla del proprietario del negozio. Tutto avvenne in pochi attimi. Non ho potuto evitare l'uccisione di quel soldato tedesco».
Cosa faceste?
«Trascinammo il cadavere del soldato tedesco fuori dalla macelleria e lo adagiammo sul marciapiede. Dopo poco , arrivò il signor Lamonaca, una guardia municipale. Il 12 settembre, ci fu la strage dei vigili urbani e dei netturbini, presso il palazzo delle Poste; l'unico ad essere risparmiato dalla fucilazione fu il maresciallo Capuano, che si salvò mostrando ai nazisti la tessera di squadrista del partito fascista».
Lei dov'era il giorno della strage del 12 settembre 1943?
«Ero di servizio presso la caserma dei Vigili del Fuoco, in via Imbriani. Mi rifugiai sulla terrazza della ditta vinicola "Doronzo", che si trovava di fronte la caserma, con altri operai della ditta. Dalla terrazza, vidi provenire, da via Venezia, tre soldati nazisti, armati di mitragliatrice pesante. Uno degli operai, mi esortò a sparare verso i nazisti, ma preferii evitare un conflitto a fuoco dagli esiti disastrosi. Mi tolsi la divisa da vigile del fuoco, mi feci prestare dei vestiti e andai verso palazzo delle Poste, da cui sentii provenire degli spari. Arrivai in tempo per vedere sul selciato i vigili urbani e i netturbini trucidati. Sul retro del palazzo delle Poste, giacevano altri tre uomini, che – come seppi in seguito – avevano tentato di fuggire ed erano stati sparati alle spalle. Vista la situazione, diedi una mano a caricare i morti su un carretto, per portarli all'ospedale, dove li ammassammo a terra, davanti l'entrata».
Cos'altro le accadde, durante l'occupazione di Barletta?
«Un giorno, ero in via Cialdini e stavo parlando con un amico. Arriva una jeep con tre soldati tedeschi a bordo, il mezzo si ferma e uno di loro mi domanda a gesti e in tedesco dove potere trovare da bere. Temevo per la mia vita, ma salii sulla loro jeep e li accompagnai al porto, presso la ditta vinicola "Coliac", vicino Porta Marina. Con grande disappunto del titolare, i tre tedeschi bevvero vino a volontà e si ubriacarono. Soddisfatti ed ubriachi, festeggiarono sparando in aria, senza controllo. Pretesero anche di mangiare, e dovetti accompagnarli al ristorante "Longano", che si trovava all'interno della stazione ferroviaria (dove oggi c'è un bar). Il ristorante era chiuso, i tedeschi non si persero d'animo, con le impugnature delle loro bombe a mano ruppero i vetri e forzarono l'entrata. All'interno, il ristorante era vuoto, non c'erano viveri. C'era una botola-forse era un magazzino- che aprii, invitando i tre tedeschi e scendere gli scalini. I nazisti scesero gli scalini ed io chiusi la botola e scappai come un fulmine! Per liberarmi dei tre tedeschi, li presi in giro!».
Signor Corvasce, lei ha visto anche soldati italiani trucidati dai nazisti?
«Ero di servizio coi Vigili del Fuoco, in quei giorni di occupazione fummo chiamati con l'autobotte, presso il Santuario della Madonna dello Sterpeto, dove si trovava una batteria contraerea italiana. I nazisti avevano incendiato la batteria contraerea, uccidendo cinque soldati italiani. Ci recammo per spegnere le fiamme, che rischiavano di lambire le casse di munizioni. Spento l'incendio, notammo, dietro un muretto a secco, i cadaveri di cinque soldati italiani, uno accanto all'altro».
Lei cosa fece dopo la guerra?
«Lasciai il corpo dei Vigili del Fuoco. A 22 anni, mi iscrissi alla camera del lavoro e scelsi di andare a fare il minatore in Belgio, a Marcinelle. Lavoravo a 760 metri di profondità, all'interno di gallerie larghe un metro e 80 centimetri e lunghe 6 metri, con continui rischi di crolli, tra terribile umidità e condizioni al limite. Gli italiani, per guadagnare di più, lavoravano a cottimo, oltre l'orario di lavoro stabilito, rischiando la vita. Io non volevo rischiare, mi bastavano i 146 franchi belgi al giorno ( 50 euro) che guadagnavo assieme a 10 kg di carbone che ci davano per scaldare le nostre case, ma molti italiani preferivano rischiare e guadagnare di più. Inoltre, suonavo la batteria in una band, i Rockers, arrotondando la busta paga coi concerti. Il giorno del disastro a Marcinelle, in cui ci morirono 275 minatori morti, mi salvai per caso, ero in tournèe con la band. Conoscevo alcuni di quei minatori morti. La musica mi salvò la vita».
A seguire, pubblichiamo gli elenchi dei civili barlettani uccisi e feriti, dei militari uccisi e dei tedeschi uccisi a Barletta dall'11 settembre al 25 settembre 1943
Signor Corvasce, cosa vide il 10 settembre 1943?
«Nel 1943 avevo 17 anni, facevo parte del X Corpo dei vigili del Fuoco. Quel giorno, tornavo dal mio turno di lavoro presso la caserma di Barletta, che si trovava in via Imbriani (al civico 76). Tornavo a casa mia, in via s. Ruggiero, ero all'altezza di Via Consalvo da Cordova, mi fermai a parlare con un mio conoscente, il soldato calabrese Ettore Grisario, armato di fucile, accanto il bar "Fieramosca" (al civico 30). A noi, si unì un amico comune, Giovanni Caputo. Ad un tratto, proveniente dall'orologio di S. Giacomo, vediamo arrivare un side-car, con due soldati tedeschi a bordo, a velocità moderata. Giovanni Caputo esorta Ettore a sparare ai soldati, lui si rifiuta e in un attimo, gli sfila il fucile e lo punta verso i due tedeschi, che fermano la moto. Il soldato tedesco smonta dalla moto e fugge».
Dove fuggì il soldato tedesco?
«Il soldato nazista fugge nella macelleria "Marino" (al civico 12), il suo commilitone fugge in moto. Il mio amico Giovanni, col fucile, insegue il soldato tedesco nella macelleria e spara, uccidendo il soldato, tra le urla del proprietario del negozio. Tutto avvenne in pochi attimi. Non ho potuto evitare l'uccisione di quel soldato tedesco».
Cosa faceste?
«Trascinammo il cadavere del soldato tedesco fuori dalla macelleria e lo adagiammo sul marciapiede. Dopo poco , arrivò il signor Lamonaca, una guardia municipale. Il 12 settembre, ci fu la strage dei vigili urbani e dei netturbini, presso il palazzo delle Poste; l'unico ad essere risparmiato dalla fucilazione fu il maresciallo Capuano, che si salvò mostrando ai nazisti la tessera di squadrista del partito fascista».
Lei dov'era il giorno della strage del 12 settembre 1943?
«Ero di servizio presso la caserma dei Vigili del Fuoco, in via Imbriani. Mi rifugiai sulla terrazza della ditta vinicola "Doronzo", che si trovava di fronte la caserma, con altri operai della ditta. Dalla terrazza, vidi provenire, da via Venezia, tre soldati nazisti, armati di mitragliatrice pesante. Uno degli operai, mi esortò a sparare verso i nazisti, ma preferii evitare un conflitto a fuoco dagli esiti disastrosi. Mi tolsi la divisa da vigile del fuoco, mi feci prestare dei vestiti e andai verso palazzo delle Poste, da cui sentii provenire degli spari. Arrivai in tempo per vedere sul selciato i vigili urbani e i netturbini trucidati. Sul retro del palazzo delle Poste, giacevano altri tre uomini, che – come seppi in seguito – avevano tentato di fuggire ed erano stati sparati alle spalle. Vista la situazione, diedi una mano a caricare i morti su un carretto, per portarli all'ospedale, dove li ammassammo a terra, davanti l'entrata».
Cos'altro le accadde, durante l'occupazione di Barletta?
«Un giorno, ero in via Cialdini e stavo parlando con un amico. Arriva una jeep con tre soldati tedeschi a bordo, il mezzo si ferma e uno di loro mi domanda a gesti e in tedesco dove potere trovare da bere. Temevo per la mia vita, ma salii sulla loro jeep e li accompagnai al porto, presso la ditta vinicola "Coliac", vicino Porta Marina. Con grande disappunto del titolare, i tre tedeschi bevvero vino a volontà e si ubriacarono. Soddisfatti ed ubriachi, festeggiarono sparando in aria, senza controllo. Pretesero anche di mangiare, e dovetti accompagnarli al ristorante "Longano", che si trovava all'interno della stazione ferroviaria (dove oggi c'è un bar). Il ristorante era chiuso, i tedeschi non si persero d'animo, con le impugnature delle loro bombe a mano ruppero i vetri e forzarono l'entrata. All'interno, il ristorante era vuoto, non c'erano viveri. C'era una botola-forse era un magazzino- che aprii, invitando i tre tedeschi e scendere gli scalini. I nazisti scesero gli scalini ed io chiusi la botola e scappai come un fulmine! Per liberarmi dei tre tedeschi, li presi in giro!».
Signor Corvasce, lei ha visto anche soldati italiani trucidati dai nazisti?
«Ero di servizio coi Vigili del Fuoco, in quei giorni di occupazione fummo chiamati con l'autobotte, presso il Santuario della Madonna dello Sterpeto, dove si trovava una batteria contraerea italiana. I nazisti avevano incendiato la batteria contraerea, uccidendo cinque soldati italiani. Ci recammo per spegnere le fiamme, che rischiavano di lambire le casse di munizioni. Spento l'incendio, notammo, dietro un muretto a secco, i cadaveri di cinque soldati italiani, uno accanto all'altro».
Lei cosa fece dopo la guerra?
«Lasciai il corpo dei Vigili del Fuoco. A 22 anni, mi iscrissi alla camera del lavoro e scelsi di andare a fare il minatore in Belgio, a Marcinelle. Lavoravo a 760 metri di profondità, all'interno di gallerie larghe un metro e 80 centimetri e lunghe 6 metri, con continui rischi di crolli, tra terribile umidità e condizioni al limite. Gli italiani, per guadagnare di più, lavoravano a cottimo, oltre l'orario di lavoro stabilito, rischiando la vita. Io non volevo rischiare, mi bastavano i 146 franchi belgi al giorno ( 50 euro) che guadagnavo assieme a 10 kg di carbone che ci davano per scaldare le nostre case, ma molti italiani preferivano rischiare e guadagnare di più. Inoltre, suonavo la batteria in una band, i Rockers, arrotondando la busta paga coi concerti. Il giorno del disastro a Marcinelle, in cui ci morirono 275 minatori morti, mi salvai per caso, ero in tournèe con la band. Conoscevo alcuni di quei minatori morti. La musica mi salvò la vita».
A seguire, pubblichiamo gli elenchi dei civili barlettani uccisi e feriti, dei militari uccisi e dei tedeschi uccisi a Barletta dall'11 settembre al 25 settembre 1943