Eventi
Marta Fana racconta a Barletta la rivista Jacobin Italia
Marta Fana: «Dobbiamo uscire dal nostro schema chiuso. Senza azione collettiva, la classe lavorativa non si salva»
Barletta - lunedì 18 marzo 2019
11.14
Il profilo di un giacobino nero con il berretto frigio è il simbolo di Jacobin: la rivista americana, segno del risveglio della sinistra socialista. Marta Fana, PhD in Economics, ha presentato la versione italiana Jacobin Italia e risposto ad alcune domande del giornalista Roberto Straniero, presso il GrowLab a Barletta.
Il volto in copertina rimanda alla lotta degli schiavi africani che, dopo essersi impossessati dei simboli dei loro oppressori occidentali, mostrarono la natura falsa e meschina del nemico. "Riconoscere il nemico e cominciare a descriverlo" è questo il primo passo che Jacobin Italia si è imposto. Una rivista apertamente schierata ma non propagandistica, segue l'eredità della tradizione del socialismo marxista capace di costringerti a far politica in modo storicamente determinato. In un momento storico particolare per l'editoria e il giornalismo, il magazine si pone come luogo di discussione analitica, non giornalistica. Nessuna inchiesta o fatto di cronaca. Solo politica, economica e cultura. Gli occhi dei suoi redattori guardano agli ingranaggi del presente e del futuro della società, ma l'accuratezza e precisione degli approfondimenti necessita un sguardo alle cause lontane dunque al passato.
«Jacobin Italia, figlia del progetto americano, è uno strumento nato dalla generazione trenta, da sempre considerata afona – dichiara la redattrice Marta Fana. Non c'è nulla di più falso: abbiamo tanto di cui parlare. Era il 2015 quando ci siamo detti: "Dobbiamo fare Jacobin italia". Lettori della rivista statunitense, fondata nel 2011 da uno studente di soli 21 anni, abbiamo deciso di ricostruire la discussione politica in modo chiaro e leggibile, con gli strumenti culturali che abbiamo oggi. Non possiamo parlare come parlava Gramsci, perché non possediamo più gli stessi strumenti per comprendere anche solo la sua costruzione del periodo».
Nel coacervo di informazioni e fake news che il web e i social network propongono, Jacobin Italia si rivolge a quel pubblico che desidera andare a fondo delle discussioni e non si accontenta della superficialità in piazza. «Parliamo alla molteplicità, alle associazioni, partiti e militanti rimasti. Parliamo a quel pezzo di società che va politicizzato e anche per questo elaboriamo contenuti che siano attraenti. Non me ne frega di arrivare al figlio di papà perché, a differenza della pluralità, essi hanno tutti gli strumenti per potersi riscattare. Io voglio parlare all'altra parte».
Parallelamente al sito, Jacobin ha deciso di percorrere la strada del cartaceo nonostante i tempi assai difficoltosi. Un magazine trimestrale con info-grafiche coloratissime figlie di un immaginario pop. Il secondo numero è intitolato Scioperi. Ma come si fa una battaglia se la paura è insita nel lavoratore, nell'insegnate precario che non vede una via di uscita e che certamente non può permettersi la pizza del sabato sera? «Viviamo in un momento storico in cui l'operaio si fa stare bene il buono pasto piuttosto che lo scatto salariale, e credo sia anche normale, dal momento che il salario da alcuni anni diminuisce - risponde Marta Fana. Nessuno può salvarsi da solo. Per trent'anni ci hanno detto che l'individualismo è competitività, e che se sei disoccupato è solo colpa tua. Dobbiamo uscire da questo schema chiuso, perché da solo non ti salvi. Senza azione collettiva, la classe lavorativa non si salva».
Il volto in copertina rimanda alla lotta degli schiavi africani che, dopo essersi impossessati dei simboli dei loro oppressori occidentali, mostrarono la natura falsa e meschina del nemico. "Riconoscere il nemico e cominciare a descriverlo" è questo il primo passo che Jacobin Italia si è imposto. Una rivista apertamente schierata ma non propagandistica, segue l'eredità della tradizione del socialismo marxista capace di costringerti a far politica in modo storicamente determinato. In un momento storico particolare per l'editoria e il giornalismo, il magazine si pone come luogo di discussione analitica, non giornalistica. Nessuna inchiesta o fatto di cronaca. Solo politica, economica e cultura. Gli occhi dei suoi redattori guardano agli ingranaggi del presente e del futuro della società, ma l'accuratezza e precisione degli approfondimenti necessita un sguardo alle cause lontane dunque al passato.
«Jacobin Italia, figlia del progetto americano, è uno strumento nato dalla generazione trenta, da sempre considerata afona – dichiara la redattrice Marta Fana. Non c'è nulla di più falso: abbiamo tanto di cui parlare. Era il 2015 quando ci siamo detti: "Dobbiamo fare Jacobin italia". Lettori della rivista statunitense, fondata nel 2011 da uno studente di soli 21 anni, abbiamo deciso di ricostruire la discussione politica in modo chiaro e leggibile, con gli strumenti culturali che abbiamo oggi. Non possiamo parlare come parlava Gramsci, perché non possediamo più gli stessi strumenti per comprendere anche solo la sua costruzione del periodo».
Nel coacervo di informazioni e fake news che il web e i social network propongono, Jacobin Italia si rivolge a quel pubblico che desidera andare a fondo delle discussioni e non si accontenta della superficialità in piazza. «Parliamo alla molteplicità, alle associazioni, partiti e militanti rimasti. Parliamo a quel pezzo di società che va politicizzato e anche per questo elaboriamo contenuti che siano attraenti. Non me ne frega di arrivare al figlio di papà perché, a differenza della pluralità, essi hanno tutti gli strumenti per potersi riscattare. Io voglio parlare all'altra parte».
Parallelamente al sito, Jacobin ha deciso di percorrere la strada del cartaceo nonostante i tempi assai difficoltosi. Un magazine trimestrale con info-grafiche coloratissime figlie di un immaginario pop. Il secondo numero è intitolato Scioperi. Ma come si fa una battaglia se la paura è insita nel lavoratore, nell'insegnate precario che non vede una via di uscita e che certamente non può permettersi la pizza del sabato sera? «Viviamo in un momento storico in cui l'operaio si fa stare bene il buono pasto piuttosto che lo scatto salariale, e credo sia anche normale, dal momento che il salario da alcuni anni diminuisce - risponde Marta Fana. Nessuno può salvarsi da solo. Per trent'anni ci hanno detto che l'individualismo è competitività, e che se sei disoccupato è solo colpa tua. Dobbiamo uscire da questo schema chiuso, perché da solo non ti salvi. Senza azione collettiva, la classe lavorativa non si salva».