Istituzionale

Le province usciranno dalla porta per rientare dalla finestra? Forse sì

Nel Sud sono più evidenti gli atteggiamenti ostruzionistici. Le province devono continuare a svolgere i compiti loro affidati dai padri costituenti

I sostenitori della BAT no, come i "Neruda" della notte no, avranno tratto un sospiro di sollievo alla notizia legislativa, che annunciava la soppressione e la contestuale cancellazione degli enti intermedi ossia delle province, menzionate in tre articoli della Costituzione italiana, il che dovrà avvenire a decorrere dalla data di cessazione del relativo mandato amministrativo. Il provvedimento legislativo, inoltre, statuisce che i comuni, ricadenti nel territorio delle province soppresse, sono costituiti in unioni di comuni per lo svolgimento delle funzioni di governo di aree vaste già esercitate dalle province. Per di più l'unione dei comuni succede alle province in ogni rapporto giuridico anche di lavoro, esercitato alla data di soppressione di ciascuna provincia. E' previsto che le regioni sopprimeranno gli enti, le agenzie e gli organismi, comunque denominati, che svolgono funzioni di governo di area vasta.

Le province, checché se ne dica, appartengono all'architettura costituzionale e sono, tra l'altro, emanazione di politici, divenuti governanti in momenti molto difficili, e non a seguito dell'applicazione della legge elettorale, chiamata "porcellum". L'Italia, purtroppo, proveniva da esperienze autoreferenziali: il monarca, il ciambellano e una pletora di personaggi più o meno nobili che facevano il bello e il cattivo tempo, perché i sudditi tacevano per analfabetismo, grande ossequio o paura.

La classica ciliegina sulla torta arrivò con il regime, durato un ventennio, segnalatosi come un potere molto centrale, tanto è vero che, nel 1927, dispose la soppressione dei circondari, compreso il nostro, creando dieci nuove province, fra le quali, nel Meridione, solo Matera, per cui rimase la prefettura, come unico ufficio periferico, molto impegnato nei problemi di ordine pubblico, mentre le sfilate, i raduni e gli esercizi ginnici riempivano i vuoti, lasciati da una politica, addormentatasi o estraniatasi per cause a lei non addebitabili, e, non da ultimo, la figura monocratica, a livello comunale, del podestà.

All'atroce esperienza bellica, segue la votazione del Referendum istituzionale, per cui si vota, a Barletta il 2 Giugno 1946, e gli elettori, d'allora, votano a favore della Monarchia assegnandole 16.546 preferenze mentre la Repubblica ne raccoglie 10.200. Non è un caso che i padri costituenti decidano di creare le Regioni, le Province e i Comuni, non perché assaliti da improvvisi raptus ideologici, ma, soprattutto, perché preoccupati di intervenire, con urgenza, in ogni luogo d'Italia ai fini di un'equa ricostruzione del nostro paese ridotto a un cumulo di macerie, allo stremo delle forze e senza prospettive. Saranno giorni terribili perchè avviene che tutti i buoni tentativi esperiti non sempre vanno a buon fine, contrastando anche la buona volontà degli uomini, tant'è che lo sviluppo non sarà uguale dappertutto ma si concentrerà nel Nord-Ovest, dove la ripresa economica registrerà una marcia in più, fruendo dell'emorragia delle braccia dal Sud al Nord e, propriamente, in quel denominato triangolo industriale del Nord mentre il Nord-est s'impoverisce di giovani e non, che emigrano, ovunque, alla ricerca di un'esistenza migliore.

La bandierina dell'Italia più povera è agitata dal Friuli e dalla Basilicata, ove saranno conservati, a Matera, i Sassi, testimonianza di una vita molto povera e difficile, che, con una sorta di abile gioco di prestigio, assurgono a siti storici, su cui l'Unesco stende un velo pietoso. A dare una mano è il boom economico degli anni sessanta, perchè da qui parte la distribuzione del reddito, che permette agli italiani di migliorare la qualità della vita e accedere ai consumi, dal momento che quasi tutti lavorano freneticamente dal Nord al Sud, dove sono nati, finalmente, insediamenti industriali che filano e, purtroppo, sono additati, a torto, come cattedrali nel deserto ed è così l'inizio della loro fine. Sono gli anni che coincidono con la nascita delle Regioni, contemplate nella Costituzione fin dal 1^ Gennaio 1948, tanto è vero che si verifica, dopo tale circostanza, un miglioramento del territorio, che trova una forte resistenza nei partiti conservatori, a cui bisogna pagare una sorta di tassa di entratura, di cui non si conosce l'eziologia.

Le Province partecipano poco al processo di rinnovamento delle loro aree, perché irretite da spinte non innovative che creano, in più di qualche regione, aneliti di autonomia dalla provincia , a cui fanno riferimento, trovando forti ostacoli dettati dalla febbre di un campanilismo ormai desueto, ma che serve per impedire l'attività dei "Comitati per la provincia", che, all'uopo, si costituiscono e si arroccano in una sorta di "Fort Alamo". Mentre nel Sud sono più evidenti gli atteggiamenti ostruzionistici, che partono dall'area interessata per concludersi dove sono assisi i rappresentanti del popolo; al Nord, i partiti, perchè legatissimi al territorio, ricorrono forse alle carte false, come volgarmente suole dirsi, pur di accontentare i propri elettori, richiedenti la costituzione di una provincia. Negli ultimi tre anni, le province sono viste alla stregua dei monatti di manzoniana memoria perchè ritenuti colpevoli della peste che aveva ammorbato il popolo milanese di quei tempi. E' ovvio che l'unione dei comuni, tutto sommato si concreta in un "fatti più in là", perché le province, sotto mentite spoglie, devono continuare a svolgere i compiti loro affidati dai padri costituenti.


  • Provincia Barletta-Andria-Trani
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