Associazioni
La resistenza delle donne kurde, se ne parla a Barletta
Un dibattito promosso dal Collettivo Exit
Barletta - venerdì 14 ottobre 2016
Comunicato Stampa
"La resistenza delle donne kurde: dalla difesa dei territori all'Antifascismo". Questo è il titolo del dibattito che si terrà stasera alle 19:00 presso la sala consiliare del Comune di Barletta. Saranno ospiti Ozlem Tanrikulu, presidente di "UIKI-ONLUS" (Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia), di fatto ambasciatrice del popolo kurdo in Italia, e Simonetta Crisci, avvocato membro del consiglio direttivo della Casa Internazionale delle donne. Modera Carmen Pisanello.
Ad annunciare l'appuntamento è Domenico Comitangelo del Collettivo EXIT. «Negli ultimi anni, quando il terrore dello Stato Islamico è improvvisamente diventato argomento di discussione quotidiana, abbiamo più volte sentito parlare dell'eroica resistenza del popolo kurdo alla barbarie di Daesh (nome con cui i kurdi chiamano l'ISIS). Erano i tempi dell'assedio di Kobane, una città al confine tra la Siria e la Turchia che ha a lungo resistito al tentativo del califfato di prendersi la città. Le immagini delle combattenti YPJ (Unità di difesa delle donne) hanno rapidamente fatto il giro del mondo, spesso in un modo che non rendeva giustizia ai loro ideali e ai valori che avevano portato le donne kurde e buona parte della popolazione del Rojava (Kurdistan siriano) ad essere l'unico esempio concreto di resistenza allo Stato Islamico. Il movimento delle donne kurde aveva però avuto inizio molto tempo prima.
Fin dallo smembramento dei territori kurdi, divisi entro i confini di altri 4 stati nazionali nati successivamente alla caduta dell'Impero Ottomano, la popolazione kurda si è trovata a patire la repressione degli stessi stati entro cui erano state relegate le sue comunità. In questo contesto le donne hanno dovuto affrontare due livelli di discriminazione, di carattere sia etnico (legata cioè alla persecuzione dei kurdi in Turchia, Siria, Iraq ed Iran), sia sessuale (all'interno di comunità ancora vincolate ad un modello di società patriarcale). Nel corso dei decenni le donne kurde si sono scontrate con un paradosso nei loro territori di appartenenza. Il sentimento di rivalsa e la voglia di libertà delle comunità kurde era in netta contraddizione con la repressione di genere che quotidianamente le donne pativano nei contesti familiari e nei rapporti sociali. Le donne hanno, perciò, messo in moto, un processo di riappropriazione della parità dei diritti e di rivendicazione di un ruolo da protagoniste nella società kurda. Questo processo di autodeterminazione ha finito per intaccare profondamente i presupposti di una società maschilista che non riconosceva alle donne alcun ruolo, se non quello di supporto logistico alla resistenza degli uomini. La naturale conseguenza è stata la partecipazione diretta delle donne alla lotta armata per la difesa e la presenza costante nell'autogoverno delle loro comunità. Oggi le donne kurde sono uno dei pilastri fondamentali di quel modello di società che si è opposto allo stato islamico e che vive nel confederalismo democratico; che fa dell'antisessismo, della tutela delle minoranze etniche e religiose e dell'ecologismo la propria linea politica, un modello che è quindi nemico delle logiche coloniali alla base delle guerre che destabilizzano il Medio Oriente e delle forme di fascismo che lì si esprimono nelle vesti dei regimi turco e siriano o con il volto spietato del fondamentalismo religioso.
Il dibattito rientra in un contesto più ampio di iniziative che da anni portiamo avanti sul territorio a sostegno della questione kurda. Uno degli obbiettivi è quello di creare un percorso di solidarietà con la popolazione kurda da parte della città di Barletta, sottoforma di patto di amicizia tra comuni con una delle città del Rojava simbolo della resistenza all'oppressione dello stato islamico. In una città che spesso dimentica la sua storia e le sue radici Antifasciste, e dove con troppa superficialità si concedono spazi ad organizzazioni neofasciste, è più che mai necessario parlare di come i popoli oppressi mettano in campo forme di resistenza concreta a vecchi e nuovi fascismi. Si dice che il livello di emancipazione di un popolo sia strettamente collegato alla condizione delle donne ed al loro ruolo nella società».
Ad annunciare l'appuntamento è Domenico Comitangelo del Collettivo EXIT. «Negli ultimi anni, quando il terrore dello Stato Islamico è improvvisamente diventato argomento di discussione quotidiana, abbiamo più volte sentito parlare dell'eroica resistenza del popolo kurdo alla barbarie di Daesh (nome con cui i kurdi chiamano l'ISIS). Erano i tempi dell'assedio di Kobane, una città al confine tra la Siria e la Turchia che ha a lungo resistito al tentativo del califfato di prendersi la città. Le immagini delle combattenti YPJ (Unità di difesa delle donne) hanno rapidamente fatto il giro del mondo, spesso in un modo che non rendeva giustizia ai loro ideali e ai valori che avevano portato le donne kurde e buona parte della popolazione del Rojava (Kurdistan siriano) ad essere l'unico esempio concreto di resistenza allo Stato Islamico. Il movimento delle donne kurde aveva però avuto inizio molto tempo prima.
Fin dallo smembramento dei territori kurdi, divisi entro i confini di altri 4 stati nazionali nati successivamente alla caduta dell'Impero Ottomano, la popolazione kurda si è trovata a patire la repressione degli stessi stati entro cui erano state relegate le sue comunità. In questo contesto le donne hanno dovuto affrontare due livelli di discriminazione, di carattere sia etnico (legata cioè alla persecuzione dei kurdi in Turchia, Siria, Iraq ed Iran), sia sessuale (all'interno di comunità ancora vincolate ad un modello di società patriarcale). Nel corso dei decenni le donne kurde si sono scontrate con un paradosso nei loro territori di appartenenza. Il sentimento di rivalsa e la voglia di libertà delle comunità kurde era in netta contraddizione con la repressione di genere che quotidianamente le donne pativano nei contesti familiari e nei rapporti sociali. Le donne hanno, perciò, messo in moto, un processo di riappropriazione della parità dei diritti e di rivendicazione di un ruolo da protagoniste nella società kurda. Questo processo di autodeterminazione ha finito per intaccare profondamente i presupposti di una società maschilista che non riconosceva alle donne alcun ruolo, se non quello di supporto logistico alla resistenza degli uomini. La naturale conseguenza è stata la partecipazione diretta delle donne alla lotta armata per la difesa e la presenza costante nell'autogoverno delle loro comunità. Oggi le donne kurde sono uno dei pilastri fondamentali di quel modello di società che si è opposto allo stato islamico e che vive nel confederalismo democratico; che fa dell'antisessismo, della tutela delle minoranze etniche e religiose e dell'ecologismo la propria linea politica, un modello che è quindi nemico delle logiche coloniali alla base delle guerre che destabilizzano il Medio Oriente e delle forme di fascismo che lì si esprimono nelle vesti dei regimi turco e siriano o con il volto spietato del fondamentalismo religioso.
Il dibattito rientra in un contesto più ampio di iniziative che da anni portiamo avanti sul territorio a sostegno della questione kurda. Uno degli obbiettivi è quello di creare un percorso di solidarietà con la popolazione kurda da parte della città di Barletta, sottoforma di patto di amicizia tra comuni con una delle città del Rojava simbolo della resistenza all'oppressione dello stato islamico. In una città che spesso dimentica la sua storia e le sue radici Antifasciste, e dove con troppa superficialità si concedono spazi ad organizzazioni neofasciste, è più che mai necessario parlare di come i popoli oppressi mettano in campo forme di resistenza concreta a vecchi e nuovi fascismi. Si dice che il livello di emancipazione di un popolo sia strettamente collegato alla condizione delle donne ed al loro ruolo nella società».