Eventi
L'ANFI Barletta fa luce sui nuovi reati tributari
Ampia relazione del convegno su frodi, imposte ed evasione. Ha partecipato anche il sostituto procuratore di Trani, Luigi Scimè
Barletta - venerdì 16 dicembre 2011
Nella suggestiva cornice offerta dalla Sala Rossa del Castello Svevo di Barletta, il 6 dicembre 2011 l'A.N.F.I. e l'Associazione Culturale Gens Nova hanno presentato il convegno dal titolo "La nuova mappa dei reati tributari in tema di imposte dirette ed i.v.a.". L'evento ha beneficiato della partecipazione di illustri relatori quali il Dott. Luigi Scimè, Sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Trani, Il Gen.C.A. Prof. Gaetano Nanula, già Comandante in Seconda della Guardia di Finanza ed il Prof. Avv. Antonio Maria La Scala, Docente di diritto penale presso l'Università LUM Jean Monnet di Casamassima, avvocato penalista del Foro di Bari e Presidente Nazionale dell'Associazione Culturale Gens Nova. Ai relatori ed al numeroso pubblico presente sono andati i saluti del Luogotenente Antonio Filannino, Presidente della Sezione A.n.f.i. di Barletta che, coadiuvato dall'Avv. Maria Stefania Filannino, ha provveduto a curare l'organizzazione dell'evento, del Sindaco di Barletta ing. Nicola Maffei e del Col. Antonio Giuseppe Cardellicchio, Comandante del Gruppo Guardia di Finanza di Barletta.
L'iniziativa di organizzare il Convegno, precisa il Presidente A.N.F.I. di Barletta, è sembrato il modo migliore per ravvicinare i cittadini alle tematiche fiscali e tributarie, diffondendo la cultura della legalità e del ripudio di ogni forma di illeciti e di frodi. I lavori del convegno si articolano sul rinnovato interesse del Legislatore alla disciplina dei reati tributari, riformata nel 2000 con il d.lgs. n.74 e recentemente aggiornata con la legge n.148 del 14 settembre 2011, che risulta essere un valido strumento di lotta per tutte le forme di evasione che, affiancata agli ordinari sistemi di accertamento fiscale, amplia e rafforza la portata punitiva penale dello Stato nei confronti delle condotte c.d. "fraudolente" .
A tal riguardo, il Prof. La Scala nel corso del suo intervento ha ampiamente chiarito la portata generale delle norme sui reati tributari, illustrando le novità dell'ultima revisione legislativa. Il penalista barese, premesso un breve excursus sui principi generali del d.lgs. 74/2000, concepito al fine di concentrare il potere sanzionatorio penale sulle fattispecie effettivamente lesive dell'interesse fiscale o erariale, attribuendo nel contempo alla esclusiva competenza dell'autorità tributaria, le ipotesi di violazioni formali, anticipatorie della dichiarazione e, quindi, dell' evasione fiscale, ha fin da subito evidenziato l'abbassamento delle soglie di punibilità per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3 del D.Lgs. n.74/2000), dichiarazione infedele (art.4 del D.Lgs. n.74/2000), omessa dichiarazione (art.5 del D.Lgs. n.74/2000), volute dal legislatore con la legge 148/2011. In particolare , Con l'introduzione della nuova legge, in tema di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni nel caso si evada un'imposta di 30.000 euro (in precedenza erano 77.468,53 euro), con riferimento a taluna delle singole imposte e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 1.000.000,00 di euro (in precedenza erano 1.549.370,70 euro).
Il delitto di dichiarazione infedele è punito con la reclusione da uno a tre anni quando si verifichi l'ipotesi che l'imposta singolarmente evasa è superiore a 50.000,00 euro (in precedenza erano 103.291,38 euro) e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione è superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque è superiore a 2.000.000,00 di euro (in precedenza erano 2.065.827,60 euro). Mentre l'omessa dichiarazione è punita con la reclusione da uno a tre anni quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000,00 euro (in precedenza erano 77.468,53 euro).
Centrale nell'evoluzione legislativa è l'aumento dei termini di prescrizione per tutte le fattispecie dichiarative, per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e per quello di distruzione e occultamento di documenti contabili,che vengono elevati di un terzo: da 6 anni passano a 8 anni. In caso di interruzione dei termini di prescrizione passano da 7 anni e mezzo a dieci anni. Con l'aumento dei termini prescrizionali si incrementano, quindi, anche le possibilità di perseguire il reato e rendere definitivamente esecutiva la sentenza di condanna senza che il decorso del tempo possa estinguere il reato anche nel corso di un secondo o terzo grado di giudizio, vanificando l'attività processuale svolta fino a quel momento.
L'inasprimento delle sanzioni e dei termini prescrizionali concorre anche con la limitazioni imposte l'imputato che ritenga di accendere al c.d."patteggiamento", scelta processuale della quale potrà beneficiare solo chi avrà preventivamente anticipata ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto e corrisposto per intero le sanzioni maturate.
Altra importante novità, infine, è la previsione che per le fattispecie dichiarative (dichiarazione fraudolenta, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione), per il reato di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti e per quello di occultamento e distruzione di documenti contabili, l'istituto della sospensione condizionale della pena non si applica nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: che l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d'affari; che l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro. Il tempo, ovviamente, potrà meglio definire la reale portata delle modifiche alla disciplina dei reati tributari anche se, le prime anomalie possono essere individuate nell'incremento dei procedimenti penali ordinari che conseguiranno all'eccessivo rigore nell'accesso al "patteggiamento della pena" e che rischieranno di incidere sulla già difficile situazione di ingolfamento della giustizia; inoltre, la Legge n.148/2011, abrogando il comma 3 dell'art.2 e il comma 3 dell'art.8 del D.Lgs. n.74/2000, elimina le ipotesi attenuate connesse alle fattispecie di utilizzazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, che prevedevano la pena ridotta della reclusione da sei mesi a due anni nel caso in cui i documenti falsi fossero superiori a 154.937,07 euro. Ad oggi la sanzione base della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, a prescindere dagli importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti. Questa modifica induce, quindi, a ritenere che in casi di dichiarazione fraudolenta contabilizzando fatture false per poche decine di euro si incorrerà nella reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, mentre nel caso in cui la dichiarazione venisse del tutto omessa, si andrà incontro alla reclusione da uno a tre anni, con la previsione che chi omette di presentare la dichiarazione, deve evadere un'imposta superiore a 30.000,00 euro. Indubbiamente, però, perché anche la più efficace disciplina possibile in ambito penal-tributario possa dare il migliore risultato, è necessario che alla sua attuazione siano preposte forze di controllo altamente specializzate e mezzi di controllo affidabili e precisi. La Guardia di Finanza in questi ultimi anni ha elevato la sua capacità operativa verso livelli di eccellenza, anche con l'utilizzo di sistemi tecnologici d'avanguardia capaci di rilevare qualunque incongruenza contributiva connessa con l'ipotesi della violazione di leggi tributarie al fine di garantire il costante "finanziamento dello Stato" e perseguire il principio di uguaglianza sociale previsto dal combinato disposto degli art. 3 e 53 della Costituzione. L'intervento del Il Gen.C.A. Prof. Gaetano Nanula ha approfondito proprio un particolare metodo di lotta all'evasione fiscale: l'accertamento bancario. L'accertamento bancario ed in generale le indagini finanziarie, quali che siano gli organi che vi procedono - Uffici dell'Agenzia delle Entrate o Guardia di finanza – si fondano sulla ricostruzione di movimenti finanziari non giustificabili da parte del contribuente (sia persona fisica che società commerciale). La possibilità di operare accertamenti bancari consente di disporre di un mezzo efficace nel contrasto alla frode fiscale considerata la capacità che offre di determinare, anche solo tramite semplici "presunzioni" il quantum debeatur al fisco dal soggetto passivo d'imposta nonché a fungere da deterrente per condotte evasive fraudolente.
La legge 413 del 1991 ammette l'utilizzo di questo strumento, in deroga al segreto bancario, anche in assenza di elementi penalmente rilevanti a carico del soggetto che viene assoggettato all'accertamento. La discrezionalità nell'utilizzo di detto potere trova, naturalmente, un limite negli obiettivi che attraverso l'azione di accertamento e controllo devono essere perseguiti. L'unico presupposto sostanziale per l'attivazione della procedura appare, quindi, la necessità di esperire un controllo di carattere fiscale nei confronti del contribuente. Non deve necessariamente trattarsi, pertanto, di una verifica fiscale a carattere generale, ben potendo la procedura essere attivata anche in occasione di verifiche parziali o, al limite, di semplici controlli. A livello procedurale, è sufficiente, per la regolarità della richiesta agli intermediari finanziari della copia dei conti intrattenuti dal contribuente, l'autorizzazione del Direttore Regionale delle Entrate o del Comandante di Regione della Guardia di Finanza. Tale sistema consente, infatti, all'Amministrazione finanziaria, di recuperare imponibile adottando, ai sensi dell'articolo 32 DPR 600/73, presunzioni semplici. In tal modo si attua un'inversione dell'onere della prova circa la ratio delle operazioni finanziarie (intendendo con tale termine prelevamenti e versamenti) compiute dai contribuenti. Questa presunzione semplice ( che prevede, quindi, l'inversione dell'onere della prova da parte del contribuente) comporta una sostanziale equiparazione, a fini impostivi, delle operazioni di cui non sia effettivamente possibile dimostrare la ragione, da quelle costituenti potenziali fonti di profitti in nero.
In estrema sintesi, inversione dell'onere della prova comporta, per i prelevamenti di cui non siano giustificate le ragioni, l'equiparazione ad acquisti e pagamenti senza fattura con conseguente addebito della sommatoria di tali importi. La portata di questo strumento, affiancata al c.d."redditometro" e ad altri metodi di verifica, permette all'amministrazione tramite l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza di rideterminare il reddito imponibile dei contribuenti ma,anche, di recuperare all'erario ampie fasce di evasione che differentemente resterebbero occulte e facilmente riutilizzabili anche per finalità criminali di varia natura. L'accertamento tributario e le leggi penali connesse devono, però, confrontarsi con la possibilità che non tutte le condotte poste in essere dal contribuente per "aggirare" l'imposizione fiscale possano generare una sua responsabilità penale, soprattutto quando le condotte "sfuggano" ad una previsione di legge che le tipizzi e le codifichi. Proprio a tal riguardo, l'intervento del Sostituto procuratore della Repubblica di Trani, Dott. Luigi Scimè, ha analizzato una zona grigia nella perseguibilità dei reati tributari, meglio conosciuta come "elusione" che limita il potere punitivo dello Stato relativamente alle condotte di "presunta evasione".
Nell'ordinamento giuridico italiano non si ravvisa una nozione di elusione fiscale anche se, più in generale, essa costituisce un comportamento teso ad utilizzare strumentalmente le carenze dell' ordinamento, in modo tale da non far sorgere in tutto o in parte un obbligo tributario.
L'elusione, realizzabile in più forme, può essere più semplicemente ricompresa in due grandi categorie rappresentate da atti posti in essere senza alcun senso economico, al solo scopo di ottenere vantaggi tributari e da atti formalizzati in maniera diversa da quella desiderata, ma idonei a raggiungere lo stesso risultato, comunque rientrante in uno dei tipi consentiti dall'ordinamento, con il vantaggio di essere fiscalmente meno costosi.
Alla luce del principio di legalità (art. 3, D.Lgs. n. 472/1997), il comportamento elusivo risulta non sanzionabile in quanto tale, ma semmai in ragione dei suoi riflessi nel momento dichiarativo. Il D.lgs. n. 74/2000, infatti, restringe la materia delle fattispecie di punibilità, solo ai fatti direttamente correlati sia sul versante soggettivo che oggettivo alle lesioni degli interessi fiscali, quindi solo a fattispecie criminose connotate da alta offensività e da dolo specifico di evasione. L'art. 37 bis del D.P.R. n. 600/73 costituisce, la norma di riferimento più efficace di natura antielusiva del nostro ordinamento. Articolata in otto commi che disciplinano gli aspetti sia sostanziali che procedurali relativi all'accertamento, di cui i primi tre costituiscono la base per l'individuazione delle operazioni di natura antielusiva.
L'elusione fiscale, normalmente lecita per l'assenza di una norma generale idonea a vietarla, si trasforma , invece, in evasione fiscale, quando una norma antielusiva impedisce il prodursi dell'effetto tipico dell'elusione stessa, quindi quando avendo rilevanza nel mondo giuridico, finisce di essere elusione e diventa evasione. Ma il tratto caratterizzante dell'elusione è l'aggiramento della fattispecie impositiva, che impedendo il sorgere dell'obbligo tributario,porta a conseguire il vantaggio fiscale e non l'inadempimento che porterebbe all'evasione.
La diatriba tra la tesi della punibilità e l'antitesi dell'irrilevanza penale dell'elusione non ha ancora trovato una via di sintesi né in dottrina né in giurisprudenza. Al riguardo si segnala solo una recente sentenza, della Cassazione penale, sez. III, Sentenza 7/7/2011, n. 26723, con la quale viene infranto il muro di ontologica incompatibilità tra l'elusione fiscale (e più in generale delle condotte poste in essere in violazione del divieto di abuso del diritto) e la repressione penale. Ma la strada di una definitiva pronuncia sembra essere ancora lunga e irta di ostacoli, così come difficile più in generale è l'ambito di applicazione di tutta la normativa penal-tributaria in sede processuale, lì dove il processo accusatorio non può lasciare campo libero alle presunzioni di fatto del procedimento tributario.
L'iniziativa di organizzare il Convegno, precisa il Presidente A.N.F.I. di Barletta, è sembrato il modo migliore per ravvicinare i cittadini alle tematiche fiscali e tributarie, diffondendo la cultura della legalità e del ripudio di ogni forma di illeciti e di frodi. I lavori del convegno si articolano sul rinnovato interesse del Legislatore alla disciplina dei reati tributari, riformata nel 2000 con il d.lgs. n.74 e recentemente aggiornata con la legge n.148 del 14 settembre 2011, che risulta essere un valido strumento di lotta per tutte le forme di evasione che, affiancata agli ordinari sistemi di accertamento fiscale, amplia e rafforza la portata punitiva penale dello Stato nei confronti delle condotte c.d. "fraudolente" .
A tal riguardo, il Prof. La Scala nel corso del suo intervento ha ampiamente chiarito la portata generale delle norme sui reati tributari, illustrando le novità dell'ultima revisione legislativa. Il penalista barese, premesso un breve excursus sui principi generali del d.lgs. 74/2000, concepito al fine di concentrare il potere sanzionatorio penale sulle fattispecie effettivamente lesive dell'interesse fiscale o erariale, attribuendo nel contempo alla esclusiva competenza dell'autorità tributaria, le ipotesi di violazioni formali, anticipatorie della dichiarazione e, quindi, dell' evasione fiscale, ha fin da subito evidenziato l'abbassamento delle soglie di punibilità per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3 del D.Lgs. n.74/2000), dichiarazione infedele (art.4 del D.Lgs. n.74/2000), omessa dichiarazione (art.5 del D.Lgs. n.74/2000), volute dal legislatore con la legge 148/2011. In particolare , Con l'introduzione della nuova legge, in tema di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici", è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni nel caso si evada un'imposta di 30.000 euro (in precedenza erano 77.468,53 euro), con riferimento a taluna delle singole imposte e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 1.000.000,00 di euro (in precedenza erano 1.549.370,70 euro).
Il delitto di dichiarazione infedele è punito con la reclusione da uno a tre anni quando si verifichi l'ipotesi che l'imposta singolarmente evasa è superiore a 50.000,00 euro (in precedenza erano 103.291,38 euro) e l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione è superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque è superiore a 2.000.000,00 di euro (in precedenza erano 2.065.827,60 euro). Mentre l'omessa dichiarazione è punita con la reclusione da uno a tre anni quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000,00 euro (in precedenza erano 77.468,53 euro).
Centrale nell'evoluzione legislativa è l'aumento dei termini di prescrizione per tutte le fattispecie dichiarative, per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti e per quello di distruzione e occultamento di documenti contabili,che vengono elevati di un terzo: da 6 anni passano a 8 anni. In caso di interruzione dei termini di prescrizione passano da 7 anni e mezzo a dieci anni. Con l'aumento dei termini prescrizionali si incrementano, quindi, anche le possibilità di perseguire il reato e rendere definitivamente esecutiva la sentenza di condanna senza che il decorso del tempo possa estinguere il reato anche nel corso di un secondo o terzo grado di giudizio, vanificando l'attività processuale svolta fino a quel momento.
L'inasprimento delle sanzioni e dei termini prescrizionali concorre anche con la limitazioni imposte l'imputato che ritenga di accendere al c.d."patteggiamento", scelta processuale della quale potrà beneficiare solo chi avrà preventivamente anticipata ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto e corrisposto per intero le sanzioni maturate.
Altra importante novità, infine, è la previsione che per le fattispecie dichiarative (dichiarazione fraudolenta, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione), per il reato di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti e per quello di occultamento e distruzione di documenti contabili, l'istituto della sospensione condizionale della pena non si applica nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: che l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d'affari; che l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro. Il tempo, ovviamente, potrà meglio definire la reale portata delle modifiche alla disciplina dei reati tributari anche se, le prime anomalie possono essere individuate nell'incremento dei procedimenti penali ordinari che conseguiranno all'eccessivo rigore nell'accesso al "patteggiamento della pena" e che rischieranno di incidere sulla già difficile situazione di ingolfamento della giustizia; inoltre, la Legge n.148/2011, abrogando il comma 3 dell'art.2 e il comma 3 dell'art.8 del D.Lgs. n.74/2000, elimina le ipotesi attenuate connesse alle fattispecie di utilizzazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, che prevedevano la pena ridotta della reclusione da sei mesi a due anni nel caso in cui i documenti falsi fossero superiori a 154.937,07 euro. Ad oggi la sanzione base della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, a prescindere dagli importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti. Questa modifica induce, quindi, a ritenere che in casi di dichiarazione fraudolenta contabilizzando fatture false per poche decine di euro si incorrerà nella reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, mentre nel caso in cui la dichiarazione venisse del tutto omessa, si andrà incontro alla reclusione da uno a tre anni, con la previsione che chi omette di presentare la dichiarazione, deve evadere un'imposta superiore a 30.000,00 euro. Indubbiamente, però, perché anche la più efficace disciplina possibile in ambito penal-tributario possa dare il migliore risultato, è necessario che alla sua attuazione siano preposte forze di controllo altamente specializzate e mezzi di controllo affidabili e precisi. La Guardia di Finanza in questi ultimi anni ha elevato la sua capacità operativa verso livelli di eccellenza, anche con l'utilizzo di sistemi tecnologici d'avanguardia capaci di rilevare qualunque incongruenza contributiva connessa con l'ipotesi della violazione di leggi tributarie al fine di garantire il costante "finanziamento dello Stato" e perseguire il principio di uguaglianza sociale previsto dal combinato disposto degli art. 3 e 53 della Costituzione. L'intervento del Il Gen.C.A. Prof. Gaetano Nanula ha approfondito proprio un particolare metodo di lotta all'evasione fiscale: l'accertamento bancario. L'accertamento bancario ed in generale le indagini finanziarie, quali che siano gli organi che vi procedono - Uffici dell'Agenzia delle Entrate o Guardia di finanza – si fondano sulla ricostruzione di movimenti finanziari non giustificabili da parte del contribuente (sia persona fisica che società commerciale). La possibilità di operare accertamenti bancari consente di disporre di un mezzo efficace nel contrasto alla frode fiscale considerata la capacità che offre di determinare, anche solo tramite semplici "presunzioni" il quantum debeatur al fisco dal soggetto passivo d'imposta nonché a fungere da deterrente per condotte evasive fraudolente.
La legge 413 del 1991 ammette l'utilizzo di questo strumento, in deroga al segreto bancario, anche in assenza di elementi penalmente rilevanti a carico del soggetto che viene assoggettato all'accertamento. La discrezionalità nell'utilizzo di detto potere trova, naturalmente, un limite negli obiettivi che attraverso l'azione di accertamento e controllo devono essere perseguiti. L'unico presupposto sostanziale per l'attivazione della procedura appare, quindi, la necessità di esperire un controllo di carattere fiscale nei confronti del contribuente. Non deve necessariamente trattarsi, pertanto, di una verifica fiscale a carattere generale, ben potendo la procedura essere attivata anche in occasione di verifiche parziali o, al limite, di semplici controlli. A livello procedurale, è sufficiente, per la regolarità della richiesta agli intermediari finanziari della copia dei conti intrattenuti dal contribuente, l'autorizzazione del Direttore Regionale delle Entrate o del Comandante di Regione della Guardia di Finanza. Tale sistema consente, infatti, all'Amministrazione finanziaria, di recuperare imponibile adottando, ai sensi dell'articolo 32 DPR 600/73, presunzioni semplici. In tal modo si attua un'inversione dell'onere della prova circa la ratio delle operazioni finanziarie (intendendo con tale termine prelevamenti e versamenti) compiute dai contribuenti. Questa presunzione semplice ( che prevede, quindi, l'inversione dell'onere della prova da parte del contribuente) comporta una sostanziale equiparazione, a fini impostivi, delle operazioni di cui non sia effettivamente possibile dimostrare la ragione, da quelle costituenti potenziali fonti di profitti in nero.
In estrema sintesi, inversione dell'onere della prova comporta, per i prelevamenti di cui non siano giustificate le ragioni, l'equiparazione ad acquisti e pagamenti senza fattura con conseguente addebito della sommatoria di tali importi. La portata di questo strumento, affiancata al c.d."redditometro" e ad altri metodi di verifica, permette all'amministrazione tramite l'Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza di rideterminare il reddito imponibile dei contribuenti ma,anche, di recuperare all'erario ampie fasce di evasione che differentemente resterebbero occulte e facilmente riutilizzabili anche per finalità criminali di varia natura. L'accertamento tributario e le leggi penali connesse devono, però, confrontarsi con la possibilità che non tutte le condotte poste in essere dal contribuente per "aggirare" l'imposizione fiscale possano generare una sua responsabilità penale, soprattutto quando le condotte "sfuggano" ad una previsione di legge che le tipizzi e le codifichi. Proprio a tal riguardo, l'intervento del Sostituto procuratore della Repubblica di Trani, Dott. Luigi Scimè, ha analizzato una zona grigia nella perseguibilità dei reati tributari, meglio conosciuta come "elusione" che limita il potere punitivo dello Stato relativamente alle condotte di "presunta evasione".
Nell'ordinamento giuridico italiano non si ravvisa una nozione di elusione fiscale anche se, più in generale, essa costituisce un comportamento teso ad utilizzare strumentalmente le carenze dell' ordinamento, in modo tale da non far sorgere in tutto o in parte un obbligo tributario.
L'elusione, realizzabile in più forme, può essere più semplicemente ricompresa in due grandi categorie rappresentate da atti posti in essere senza alcun senso economico, al solo scopo di ottenere vantaggi tributari e da atti formalizzati in maniera diversa da quella desiderata, ma idonei a raggiungere lo stesso risultato, comunque rientrante in uno dei tipi consentiti dall'ordinamento, con il vantaggio di essere fiscalmente meno costosi.
Alla luce del principio di legalità (art. 3, D.Lgs. n. 472/1997), il comportamento elusivo risulta non sanzionabile in quanto tale, ma semmai in ragione dei suoi riflessi nel momento dichiarativo. Il D.lgs. n. 74/2000, infatti, restringe la materia delle fattispecie di punibilità, solo ai fatti direttamente correlati sia sul versante soggettivo che oggettivo alle lesioni degli interessi fiscali, quindi solo a fattispecie criminose connotate da alta offensività e da dolo specifico di evasione. L'art. 37 bis del D.P.R. n. 600/73 costituisce, la norma di riferimento più efficace di natura antielusiva del nostro ordinamento. Articolata in otto commi che disciplinano gli aspetti sia sostanziali che procedurali relativi all'accertamento, di cui i primi tre costituiscono la base per l'individuazione delle operazioni di natura antielusiva.
L'elusione fiscale, normalmente lecita per l'assenza di una norma generale idonea a vietarla, si trasforma , invece, in evasione fiscale, quando una norma antielusiva impedisce il prodursi dell'effetto tipico dell'elusione stessa, quindi quando avendo rilevanza nel mondo giuridico, finisce di essere elusione e diventa evasione. Ma il tratto caratterizzante dell'elusione è l'aggiramento della fattispecie impositiva, che impedendo il sorgere dell'obbligo tributario,porta a conseguire il vantaggio fiscale e non l'inadempimento che porterebbe all'evasione.
La diatriba tra la tesi della punibilità e l'antitesi dell'irrilevanza penale dell'elusione non ha ancora trovato una via di sintesi né in dottrina né in giurisprudenza. Al riguardo si segnala solo una recente sentenza, della Cassazione penale, sez. III, Sentenza 7/7/2011, n. 26723, con la quale viene infranto il muro di ontologica incompatibilità tra l'elusione fiscale (e più in generale delle condotte poste in essere in violazione del divieto di abuso del diritto) e la repressione penale. Ma la strada di una definitiva pronuncia sembra essere ancora lunga e irta di ostacoli, così come difficile più in generale è l'ambito di applicazione di tutta la normativa penal-tributaria in sede processuale, lì dove il processo accusatorio non può lasciare campo libero alle presunzioni di fatto del procedimento tributario.