Piattaforma petrolifera
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Territorio

Il petrolio adriatico non fa bene a Barletta

“Oro nero” nei nostri mari: conviene?. I motivi della protesta, anche dalla scienza

In un momento in cui appare chiara la necessità di rivolgersi alle energie rinnovabili per soddisfare il fabbisogno energetico internazionale, ritornano le richieste anacronistiche e stonate di effettuare rivelazioni per possibili giacimenti petroliferi nel mar Adriatico. Ciò potrebbe risultare anche come conveniente, da un punto di vista meramente economico, ma non certo per i residenti della costa pugliese, Barletta compresa, per il mare Adriatico e per la sua fauna. Anche le Istituzioni, la Regione Puglia e la Giunta comunale di Barletta, hanno già avuto modo di esprimere la loro contrarietà a tali rilevazioni: "Tale valutazione è motivata dalla considerazione che - come è riportato nella delibera - "l'intervento impatta significativamente sugli ecosistemi ivi presenti, rivelandosi, inoltre, incompatibile con la vocazione turistico-ambientale del nostro territorio". Per conoscere meglio i motivi del dissenso, ci siamo rivolti ad autorevoli fonti. Il primo intervento è del prof. Ruggiero Dellisanti, geologo:


«Sicuramente non si può che essere d'accordo con la decisione presa dalla Giunta presieduta dal sindaco Nicola Maffei, nella seduta dello scorso 28 maggio quando ha espresso parere sfavorevole all'istanza avanzata dalla società Petroleum Geo Services Asia Pacific Pte. Ltd. per avviare prospezioni finalizzate alla ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nelle acque antistanti le coste pugliesi e questo per alcune e fondamentali ragioni. Una ragione è di tipo geologico ambientale: occorre ricordare che in prossimità della costa è presente un Sito d'Importanza Comunitaria (S.I.C.), il posidonieto "Barletta – San Vito", classificato con l'identificativo IT9120009. Il sito è particolarmente importante per la varietà delle specie acquatiche presenti e per la presenza di una biocenosi con costruzioni organogene, realizzate da una miriade di organismi (Alghe incrostanti, Poriferi, Cnidari, Briozoi, Anellidi, Ascidiacei, ecc.) in grado di contribuire alla fissazione della sabbia e contribuire in tal modo alla protezione della costa. Una seconda ragione è di tipo economico: la presenza di una multinazionale che esplora il fondale alla ricerca di idrocarburi fossili può dare qualche beneficio alla comunità locale? La risposta e senza ombra di alcun dubbio un NO secco! Infatti, ammesso che il nostro fondale sia particolarmente ricco di petrolio o gas, la multinazionale cederebbe allo Stato solo le royalties, cioè i diritti di estrazione, che nella migliore delle ipotesi e agendo la stessa in un regime di oligopolio oscillerebbero tra il 7 e il 8 % del valore di un barile di petrolio. Noi dovremmo tenerci tutte le conseguenze negative derivanti dai possibili incidenti, dall'aumento del traffico marittimo, dalla distruzione della flora e fauna acquatica e dal negativo impatto visivo dato dalle piattaforme petrolifere. Nell'esperienza della regione Basilicata, dove sono stimate riserve di petrolio pari al 50% dei nostri consumi per i prossimi quindici anni, il petrolio non ha prodotto significativi cambiamenti nella qualità della vita, anzi la stessa negli ultimi anni è stata fortemente influenzata negativamente dalla presenza delle sostanze inquinanti mentre i giovani continuano ugualmente a migrare».


Il secondo interessante contributo è del prof. Ruggiero Quarto, geofisico dell'Università di Bari:

«La ricerca petrolifera offshore nel vasto comprensorio del basso Adriatico, dato in concessione, sarà compiuta tramite metodologie geofisiche che utilizzano principalmente tecniche sismiche a riflessione. Queste ultime prevedono l'uso di sorgenti di onde sismiche capaci di generare segnali riflessi che possono indicare la presenza di trappole strutturali del sottosuolo dove possono più convenientemente trovarsi idrocarburi. Tali sorgenti sono del tipo "air gun" (cannone ad aria compressa). Gli air guns sono universalmente riconosciuti dannosi per la fauna marina. Si va da una semplice riduzione del pescato (taluni parlano di riduzioni fino al 70% entro 40 miglia di raggio dalle operazioni!!), al disorientamento dei cetacei. C'è addirittura il forte sospetto che l'uso di air guns sia la causa dei sette capodogli spiaggiati e morti sulle coste del Gargano un paio di anni fa. Come ben noto, nel sottosuolo del Mar Adriatico, a Nord delle isole Tremiti, sono presenti interessanti giacimenti petroliferi. Uno dei campi più noti e sfruttato da diversi decenni è il cosiddetto "RospoMare", con tanto di piattaforme petrolifere. Le nuove concessioni a Sud-Est del Gargano e fino ad Otranto, dovrebbero verificare la possibilità di esistenza di altri giacimenti petroliferi di interesse economico nel basso Adriatico. Già si sa che tali possibilità sono più che buone. Si tratta semplicemente di localizzare i punti più favorevoli allo sfruttamento. Se l'iter della concessione procede, nel futuro, per molti decenni, dovremmo convivere con molte piattaforme petrolifere. Dati i sempre maggiori costi del petrolio, i sempre minori costi della ricerca ed estrazione della risorsa mineraria, le basse royalities che le compagnie petrolifere versano allo Stato e Regioni italiane, la facile permissività nelle operazioni estrattive e la lentezza con cui si procede alla dismissione di tale fonte energetica, si può ragionevolmente supporre che uno scenario "texano" sulle nostre coste non è per nulla fantasioso. Ipotecheremo il futuro delle due prossime generazioni! Lasciando stare tutte le ricadute ambivalenti facilmente argomentabili a favore o contro (economiche, turistiche, ambientali), vorrei porre l'attenzione su due aspetti più vicini alle mie specifiche competenze: a) qualità del petrolio del basso Adriatico; b) sicurezza. Secondo una ragionevole stima, la qualità del petrolio che si può scoprire sarà molto scarsa; si ipotizzano 15 gradi API (American Petroleum Index). Il peggior petrolio canadese vale 8 API, il migliore del Mar del Nord ne vale 50. Il nostro si collocherebbe molto in basso! Ciò significa che il petrolio sarà molto denso, di minor valore commerciale e necessiterà di processi estrattivi con più scorie (anche il 30% del liquido estratto, che inevitabilmente diventa rifiuto molto tossico, capace di inquinare irriversabilmente il mare, se in esso disperso). Sarà, altresì, necessaria una più spinta raffinazione per abbattere gli elevati tenori di zolfo, essenzialmente presente sotto forma del pericolosissimo idrogeno solforato. Come avviene in Basilicata, con un petrolio simile a quello atteso in Adriatico, una prima raffinazione sarà necessaria a partire dalle piattaforme, che diventeranno non solo strutture estrattive, ma anche raffinerie, con tutte le ricadute ovvie sull'ambiente marino, nonostante le rassicurazioni che potrebbero fornire le compagnie petrolifere. In termini di sicurezza, poi, l'esperienza passata (Deepwater Horizon, 2010 nel Golfo del Messico, con 11 morti e un disastro ambientale incredibile; Piper Alpha, 1988 nel Mare del Nord, con 167 morti; Montara, 2009 in Australia, che ha versato petrolio nel mare per oltre due anni!) ci insegna che la pericolosità di tali impianti è elevatissima. Basti pensare che quando per motivi di studio mi reco presso un pozzo petrolifero devo fare un corso sul pericolo dell'idrogeno solforato, dove spiegano come può sempre essere possibile un'intossicazione mortale e, perfino, un'esplosione catastrofica. Con un mare alquanto chiuso, che rischi corriamo? Giganteschi! Insostenibili».

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