Cronaca
Finisce la fuga del boia dei Balcani, ripercorriamo le atrocità e i crimini commessi
Arrestato Ratko Mladic, comandante dell’Esercito serbo negli anni Novanta. Il criminale di guerra era ricercato da 15 anni, è accusato di genocidio
Barletta - venerdì 27 maggio 2011
La giustizia tarda ad arrivare ma prima o poi arriva. Ieri è arrivata anche per Ratko Mladic, il "boia dei Balcani", comandante dell'Esercito dei serbi di Bosnia durante le guerre jugoslave degli anni Novanta del secolo scorso, arrestato dopo 15 anni di latitanza. Un periodo che si è dilatato a dismisura grazie alle colpevoli reticenze e coperture delle autorità serbe ma anche grazie all'inettitudine degli organismi sovranazionali e ai fragili quanto intricati equilibri internazionali.
Ma per chi non conoscesse o non ricordi la figura di Ratko Mladic – autore tra l'altro dell'assedio di Sarajevo, della pulizia etnica in Bosnia Erzegovina e degli almeno ventimila stupri di donne, proprio sulla sponda opposta al nostro mare Adriatico – può risultare utile ripercorrere in breve le atrocità e i crimini contro l'umanità commessi sotto il suo comando nella sola città di Srebrenica.
"Assediato e costretto a morire letteralmente di fame fin dall'inizio del conflitto, il piccolo borgo di Srebrenica si distinse dalle altre città martoriate della Bosnia Erzegovina (Sarajevo, Bihać, Goražde, Maglaj, Tuzla, Žepa) per il tragico destino della sua popolazione […]. Dai suoi originari 15 mila abitanti Srebrenica finì per diventare un rifugio per migliaia di bosniaco musulmani (almeno 60 mila) cacciati via o in fuga dalla bonifica etnica serba in Bosnia orientale […]. Con le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU numero 819 e 824 (16 aprile e 6 maggio 1993), Srebrenica al pari delle altre città assediate fu dichiarata area protetta e si chiedeva perciò a tutte le parti in conflitto di escluderla da qualsiasi attacco armato. Questa decisione attizzò la volontà delle forze serbo bosniache di conquistare ed espellere i musulmani da qualsiasi enclave in cui fossero riparati, considerando queste uno smacco alle proprie rivendicazioni territoriali […]. Dopo aver lanciato il guanto di sfida al mondo intero prendendo in ostaggio, maltrattando, picchiando e utilizzando come scudi umani centinaia di osservatori internazionali e di caschi blu, le autorità politiche e militari di Pale non tennero in alcun conto la presenza di un contingente militare olandese a difesa di Srebrenica, né il fatto che questa fosse un'area protetta. Deciso a concludere la guerra entro la fine dell'anno, l'esercito serbo bosniaco guidato da Mladić sferrò il 2 luglio 1995 l'attacco decisivo contro l'enclave musulmana. Esso si concluse con la sua conquista il giorno 11 luglio, quando il comandante serbo entrato in città, si presentò alla televisione di Stato affermando che «è giunto il momento per noi di riprenderci qui la rivincita sui turchi».
Un numero imprecisato di omicidi ebbe immediatamente luogo. Migliaia di civili terrorizzati fuggirono verso la base dei soldati olandesi a Potočari (a cinque chilometri da Srebrenica) credendo di potervi trovare rifugio, ma le truppe serbe li raggiunsero. Trattative furono intavolate tra i comandanti degli aggressori, le forze ONU e alcuni rappresentanti dei rifugiati sulla sorte di questi ultimi. Intanto a Potočari i soldati di Pale terrorizzavano i civili, torturavano gli uomini (molti dei quali erano anziani) e seviziavano le donne. I disperati negoziati si conclusero con la decisione di evacuare i rifugiati non prima che l'esercito serbo avesse individuato tra la massa di uomini tra i 16 e i 60 anni eventuali criminali di guerra. Come fu chiaro tutti i maschi musulmani furono considerati criminali a Potočari. Questo accordo continua ancora oggi a scatenare aspre polemiche e reciproche accuse, rivolte innanzitutto alle forze delle ONU, incapaci di difendere migliaia di innocenti da una carneficina, e al governo di Sarajevo, inerte dinanzi all'offensiva serba.
Tra il 12 e il 17 luglio 1995 circa 15 mila musulmani, perlopiù uomini ma anche donne e bambini in fuga da Srebrenica già dalla sua caduta, furono catturati o si arresero alle forze serbo bosniache dopo brevi conflitti a fuoco […]. Durante la loro disperata via crucis molti musulmani decisero di suicidarsi pur di non cadere nelle mani del nemico. Mentre le donne e i bambini di Srebrenica furono trasferiti in una tendopoli nei pressi dell'aeroporto di Tuzla, più di 6 mila uomini furono deportati in vari centri di detenzione della zona, raggiungendo quelli che erano stati prelevati a Potočari. Durante la loro breve detenzione in condizioni di vita disumane e brutali (privati totalmente di acqua e cibo), ai detenuti furono requisiti beni e documenti di riconoscimento. Tra il 13 e il 20 luglio 1995 su ordini di R. Mladić, R. Krstić, V. Pandurević, V. Blagojević, le forze serbo bosniache fucilarono circa 8 mila bosniaco musulmani detenuti nelle carceri dell'area di Srebrenica. Non un solo musulmano fu lasciato vivo a risiedere nell'enclave: la loro unica presenza sul territorio fu ridotta a una decina di fosse comuni".
Ma per chi non conoscesse o non ricordi la figura di Ratko Mladic – autore tra l'altro dell'assedio di Sarajevo, della pulizia etnica in Bosnia Erzegovina e degli almeno ventimila stupri di donne, proprio sulla sponda opposta al nostro mare Adriatico – può risultare utile ripercorrere in breve le atrocità e i crimini contro l'umanità commessi sotto il suo comando nella sola città di Srebrenica.
"Assediato e costretto a morire letteralmente di fame fin dall'inizio del conflitto, il piccolo borgo di Srebrenica si distinse dalle altre città martoriate della Bosnia Erzegovina (Sarajevo, Bihać, Goražde, Maglaj, Tuzla, Žepa) per il tragico destino della sua popolazione […]. Dai suoi originari 15 mila abitanti Srebrenica finì per diventare un rifugio per migliaia di bosniaco musulmani (almeno 60 mila) cacciati via o in fuga dalla bonifica etnica serba in Bosnia orientale […]. Con le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU numero 819 e 824 (16 aprile e 6 maggio 1993), Srebrenica al pari delle altre città assediate fu dichiarata area protetta e si chiedeva perciò a tutte le parti in conflitto di escluderla da qualsiasi attacco armato. Questa decisione attizzò la volontà delle forze serbo bosniache di conquistare ed espellere i musulmani da qualsiasi enclave in cui fossero riparati, considerando queste uno smacco alle proprie rivendicazioni territoriali […]. Dopo aver lanciato il guanto di sfida al mondo intero prendendo in ostaggio, maltrattando, picchiando e utilizzando come scudi umani centinaia di osservatori internazionali e di caschi blu, le autorità politiche e militari di Pale non tennero in alcun conto la presenza di un contingente militare olandese a difesa di Srebrenica, né il fatto che questa fosse un'area protetta. Deciso a concludere la guerra entro la fine dell'anno, l'esercito serbo bosniaco guidato da Mladić sferrò il 2 luglio 1995 l'attacco decisivo contro l'enclave musulmana. Esso si concluse con la sua conquista il giorno 11 luglio, quando il comandante serbo entrato in città, si presentò alla televisione di Stato affermando che «è giunto il momento per noi di riprenderci qui la rivincita sui turchi».
Un numero imprecisato di omicidi ebbe immediatamente luogo. Migliaia di civili terrorizzati fuggirono verso la base dei soldati olandesi a Potočari (a cinque chilometri da Srebrenica) credendo di potervi trovare rifugio, ma le truppe serbe li raggiunsero. Trattative furono intavolate tra i comandanti degli aggressori, le forze ONU e alcuni rappresentanti dei rifugiati sulla sorte di questi ultimi. Intanto a Potočari i soldati di Pale terrorizzavano i civili, torturavano gli uomini (molti dei quali erano anziani) e seviziavano le donne. I disperati negoziati si conclusero con la decisione di evacuare i rifugiati non prima che l'esercito serbo avesse individuato tra la massa di uomini tra i 16 e i 60 anni eventuali criminali di guerra. Come fu chiaro tutti i maschi musulmani furono considerati criminali a Potočari. Questo accordo continua ancora oggi a scatenare aspre polemiche e reciproche accuse, rivolte innanzitutto alle forze delle ONU, incapaci di difendere migliaia di innocenti da una carneficina, e al governo di Sarajevo, inerte dinanzi all'offensiva serba.
Tra il 12 e il 17 luglio 1995 circa 15 mila musulmani, perlopiù uomini ma anche donne e bambini in fuga da Srebrenica già dalla sua caduta, furono catturati o si arresero alle forze serbo bosniache dopo brevi conflitti a fuoco […]. Durante la loro disperata via crucis molti musulmani decisero di suicidarsi pur di non cadere nelle mani del nemico. Mentre le donne e i bambini di Srebrenica furono trasferiti in una tendopoli nei pressi dell'aeroporto di Tuzla, più di 6 mila uomini furono deportati in vari centri di detenzione della zona, raggiungendo quelli che erano stati prelevati a Potočari. Durante la loro breve detenzione in condizioni di vita disumane e brutali (privati totalmente di acqua e cibo), ai detenuti furono requisiti beni e documenti di riconoscimento. Tra il 13 e il 20 luglio 1995 su ordini di R. Mladić, R. Krstić, V. Pandurević, V. Blagojević, le forze serbo bosniache fucilarono circa 8 mila bosniaco musulmani detenuti nelle carceri dell'area di Srebrenica. Non un solo musulmano fu lasciato vivo a risiedere nell'enclave: la loro unica presenza sul territorio fu ridotta a una decina di fosse comuni".