Enrica Basile barlettani nel mondo
Enrica Basile barlettani nel mondo
La città

Enrica Basile e il suo sogno del “digital marketing” a Londra

Adattarsi in una città che si odia o si ama alla follia

Enrica, giovane ventiquattrenne barlettana, vive a Londra da due anni. Da sempre appassionata di disegno decise subito dopo il liceo di scegliere una "facoltà di rimpiazzo", non essendoci in Italia una vera e propria scuola di fumettistica. Così, dopo aver optato per qualche tempo per la facoltà di "Disegno industriale e Architettura", decise ben presto di abbandonare quest'idea e che marketing e pubblicità avrebbero fatto al caso suo. Dopo aver studiato presso la facoltà di Economia, ha quindi iniziato a coltivare pian piano, dopo la laurea, l'idea di trattare il marketing applicato all'arte, unendo le sue passioni in una sola professione.

La scelta di trasferirti a Londra è stata casuale o dettata da una tua particolare necessità?
«Subito dopo la mia laurea, mi furono proposte due offerte di lavoro: una in finanza e un'altra come assistente universitaria, tuttavia il mio corso di laurea aveva ancor di più rafforzato la convinzione che il marketing fosse la strada più giusta per me. Avrei tanto voluto approfondire l'argomento della mia tesi sperimentale, la quale verteva sui Multi Touch Books di Apple e su altri strumenti digitali come nuove modalità di didattica applicate agli ambienti di apprendimento, ma per fare ciò avrei dovuto trasferirmi nel Regno Unito e chiedere di collaborare agli studi che si svolgevano presso il laboratorio di ricerca dell'Università di Cambridge. Alla fine decisi sia di rifiutare le proposte di lavoro che di abbandonare il progetto Cambridge per concedermi un periodo di riflessione e riposo: destinazione Londra. Fu questa la necessità che determinò la mia scelta per Londra. Mi sentivo molto stanca e confusa e inoltre tutte le facoltà di specialistica che c'erano in Italia non mi piacevano affatto. Si trattava solo di una vacanza all'inizio, non avrei mai immaginato di alzare la cornetta del telefono un giorno e di dire ai miei genitori che sarei rimasta per un periodo un po' più lungo. "Londra o si odia o si ama" dico sempre io, e per me fu amore a prima vista».

Se dovessi riassumere in tre parole tutto ciò che ami della città in cui vivi, quali sarebbero? E perché?
«Mentalità, underground e muffins. Amo l'apertura mentale che c'è qui. Nessuno ti guarda, nessuno ti giudica. Potresti andare in giro in accappatoio e ciabatte (come mi è capitato di vedere), ma nessuno ti dirà mai qualcosa. Si respira un senso di libertà assoluta. Underground perché, soprattutto se abiti nelle zone più lontane, passi la metà della tua giornata dentro la metro. La gente si prepara, si trucca, si toglie le scarpe e si mette le altre. Insomma si può dire che si conduce una seconda vita nella "tube". Prima di trasferirmi dove vivo attualmente trascorrevo in metro due ore e venti minuti in tutto, tra andata e ritorno, per arrivare alla mia università. Mi alzavo con fatica e tornavo a casa distrutta, ma vedere tutta quella gente, di nazionalità e cultura diversa, nella mia stessa condizione mi rincuorava e mi faceva sentire parte di questa società. Sentire quel "Mind the gap!" alla fine di ogni corsa è qualcosa di semplicemente…awesome. Infine, adoro i muffins perché non c'è niente di meglio che gli inglesi riescano a fare e non c'è nulla di meglio da mangiare dopo una dura giornata di lavoro o a prima mattina davanti a una tazza di latte freschissimo».

Che tipologia di lavoro svolgi attualmente? In che modo ti sei avvicinata a questa professione?
«Ho appena terminato uno stage in marketing presso una start-up per la quale ho sviluppato le basi delle strategie di marketing e social media. E' stato molto divertente ed è stata la mia prima esperienza lavorativa nel campo del marketing. Lo stage è durato cinque mesi ed è stato parte integrante del mio corso di laurea. Al termine degli esami gli studenti avevano l'obbligo di trovare da sé un'azienda presso cui mettere in atto tutto ciò che è stato appreso nell'anno accademico».

Credi che il marketing possa essere il settore a cui dedicare la tua vita?
«Sicuramente penso che il marketing sia il mio destino. Al termine della tesi cercherò senza dubbio una sistemazione in marketing, meglio se digital. Mi piace tantissimo studiare il tipo di consumatore e cercare i social media e social networks più adatti per comunicare e aumentare la visibilità dell'azienda in oggetto».

In che modo trovano spazio hobbies e svago nella vita di una ventiquattrenne a Londra?
«E' molto difficile trovare spazi per svaghi che non siano le indispensabili uscite con gli amici. Gli esami della laurea specialistica, che solitamente in Italia vengono fatti nell'arco di due anni o più, qui sono concentrati in un solo anno. Ma con un po' di organizzazione si riesce a far tutto. Io seguo un corso di fumettistica e mi concedo un po' di yoga, giusto per staccare un po' la spina dalla frenesia di tutti i giorni».

A breve concluderai il tuo percorso di studi con una tesi molto originale: come mai una scelta del genere?
«Si, sto scrivendo la tesi sul "marketing degli odori". Ho scelto questo topic perché mi piaceva l'idea di analizzare qualcosa di diverso dagli elementi visivi su cui spesso gioca il marketing. La mia ricerca è finalizzata a scoprire fino a che punto l'odore può avere un impatto sul consumatore, cambiando le sue percezioni riguardo alla marca e il suo comportamento d'acquisto. Si è visto che l'odore ha due importanti punti di forza: stimolare la memoria a lungo termine e suscitare emozioni forti. In altre parole, spesso quando ci ricordiamo di un posto dove siamo stati ci viene in mente prima l'odore di quel posto e poi le immagini e tutto il resto. A quell'odore sono associate sensazioni ed emozioni che sviluppano una tendenza negativa o positiva verso quel posto. Io vorrei studiare tutto questo in un negozio in particolare: Abercrombie & Fitch».

Dovendo fare una classifica, quali sono le tradizioni che metteresti sul podio tra quelle che più ti mancano della cultura barlettana?
«Al primo posto certamente le "santissime frittelle dell'Immacolata" che, per il secondo anno di fila, mi salto puntualmente. La mia mamma però mi ha promesso di farmele trovare a Natale. La seconda tradizione è quella di Pasqua. Amo vedere riunita tutta la famiglia, fare le solite vecchie chiacchiere davanti ad un buon pranzo e amo sapere che il giorno dopo farò l'alba con i miei amici (ovviamente, sotto la pioggia). La terza tradizione è quella di Ferragosto, festività che solitamente passo in spiaggia sotto il sole e senza protezione perché mi ostino a voler tornare a casa rossa come un gambero e piena di insalata di riso e melone».

Se potessi portare con te a Londra alcuni luoghi della città della Disfida, quali sarebbero?
«A Londra porterei sicuramente Eraclio e la piazzetta del Monte di Pietà. Se potessi anche tutto il Duomo e il centro storico; i colori della città vecchia, le casette e le basole sarebbero tutto ciò di cui avrei bisogno per sentirmi a casa nei momenti di solitudine».

Qual è il miglior aneddoto della tua vita londinese?
«Di aneddoti ce ne sarebbero diversi. Uno che non potrò mai dimenticare è relativo a quando, dopo una Pasqua trascorsa a Barletta, atterrai a Londra alle ore 23 distrutta, con due valigione e uno zaino bello pieno. Presi il bus che mi avrebbe accompagnato in un posto ad est di Londra, da lì avrei dovuto prendere un altro bus per tornare a casa, la quale si trovava ad un'ora e mezza da dov'ero. Per qualche motivo il mio bus non passò quel giorno e fui costretta a girarmi diverse strade per trovarne un altro. Erano già le due del mattino, nevicchiava un po' e il mio bus sarebbe arrivato dopo mezz'ora. Arrivò verso le 3.30 quando il conducente, con estrema naturalezza, ci disse che la sua corsa notturna finiva lì e che avremmo dovuto cercarci un altro bus mattutino. Alla fine decisi di prendere un bus che mi avrebbe portato ad ovest, anche se non esattamente alla mia fermata. Quantomeno mi sarei avvicinata a casa, così durante il viaggio feci amicizia con due ragazzi spagnoli e giunti al capolinea, alle 5.30 del mattino, appresi che non c'erano bus per il mio quartiere. C'era una stazione dell'underground lì vicino così decisi di aspettarne l'apertura e tornai felicemente a casa alle 7.15 del mattino con una valigia da 20 kg rotta, una a mano conciata meglio e il mio zainone sulle spalle. Accettai volentieri la colazione offertami dalla mia famiglia ospitante e filai a letto. Non ricordo a che ora mi svegliai, ma fu in questa notte assurda che feci amicizia con i due spagnoli a cui sono tutt'ora legata».
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