Attualità
Decreto ristori bis: il parere di Giovanni Assi, responsabile di Unimpresa
Approfondimento sui contenuti previsti nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza)
Barletta - giovedì 20 maggio 2021
9.41
Siamo all'alba dell'approvazione del nuovo Decreto Ristori bis a firma Mario Draghi. I media non fanno che citare a più riprese quali misure sono attese dalle imprese per cercare di contrastare la crisi congiunturale causata dalla pandemia e bloccare in tal modo la continua perdita dei posti di lavoro. Abbiamo chiesto lumi ad un esperto nazionale di questi temi, risorsa del nostro territorio, il dott. Giovanni Assi, responsabile di Unimpresa (Unione Nazionale delle Imprese) e consulente del lavoro, esperto in welfare e lavoro.
Ci vogliono interventi a forte impatto sui bilanci delle aziende che sono chiamate in questo periodo di grande incertezza a decidere di mantenere i propri livelli occupazionali non licenziando ed addirittura a provare ad incrementare i propri organici assumendo nuove risorse, permettendo così di far rientrare nel mondo del lavoro tutti quei lavoratori espulsi da particolari settori merceologici che più di altri hanno risentito della pandemia, magari investendo anche su una riconversione ed una formazione degli stessi.
Le indiscrezioni di corridoio emerse per quanto attiene il cosiddetto "pacchetto lavoro" con al suo interno "contratto di rioccupazione" non sono però entusiasmanti. E spiego ai lettori del circuito Viva il perché. Considerato che un lavoratore costa mediamente ad un'azienda 39 mila euro annui tra retribuzione (diretta, indiretta e differita) e contributi, e considerato altresì che la "vita lavorativa" all'interno della stessa azienda dura mediamente 7 anni, il costo da sostenere per la risorsa umana ammonta complessivamente a circa 273 mila euro durante la sua permanenza in azienda, bene, le voci che circolano nel nuovo decreto sostegni bis parlano di uno sgravio contributivo di 6 mesi ovvero di una cifra di circa 4 mila euro. Ebbene, siamo proprio lontani! Ciò che non si riesce ancora a comprendere è che le aziende, a differenza della politica, hanno una visione a medio/lungo termine e che un imprenditore è abituato a pianificare la propria attività non prendendo decisioni sulla base di un arco temporale di sei mesi. Come è pensabile quindi che si assuma "a vita", usufruendo di uno sgravio per pochi mesi?
Cosa sta facendo Unimpresa, che siede ai tavoli tecnici del governo nazionale, nella cui associazione lei ricopre l'oneroso e cruciale ruolo di responsabile per il welfare e il lavoro?
È più di un anno che abbiamo lanciato questo grido di allarme ma che è rimasto inascoltato fino a questo momento, pensando che il blocco dei licenziamenti risolvesse tutto ed invece il risultato sapete qual è stato? La perdita di 945 mila posti di lavoro da febbraio 2020 ad oggi, ai quali se ne potrebbero aggiungere altre centinaia di migliaia allo scadere del blocco dei licenziamenti.
Noi invece chiediamo la totale decontribuzione per un periodo di 12 mesi (ovvero il tempo necessario per le nostre aziende per ripartire ed avvicinarsi ai livelli pre-Covid) per le aziende che decideranno, al termine del divieto dei licenziamenti, di mantenere in servizio i propri dipendenti e di premiare con una decontribuzione totale di 36 mesi tutte le nuove assunzioni.
Mai si è avuto nel corso degli ultimi trent'anni uno scenario così povero di misure incentivanti per stimolare le nuove assunzioni ed anzi ci si trova con alcune categorie di lavoratori completamente ignorate da ogni tipo di incentivo (ad esempio gli uomini nella fascia di età 36 - 50 anni) proprio in un momento in cui bisognerebbe supportare le nostre imprese ed i lavoratori con politiche attive. Invece le uniche soluzioni sarebbero la perenne proroga del blocco dei licenziamenti ed un "pannicello corto" di appena sei mesi?
Alcune imprese hanno subìto addirittura la chiusura a causa delle restrizioni imposte dai vari decreti che si sono succeduti da più di un anno a questa parte, restrizioni che ancora oggi spaventano i nostri imprenditori, alcuni dei quali stanno ancora risentendo di tali limitazioni. Quale è la posizione dell'Associazione Nazionale delle Imprese (Unimpresa) a riguardo?
Ci siamo espressi più volte sull'argomento e ribadiamo con forza (e i primi dati dopo le riaperture ci stanno dando ragione) che le nostre aziende rappresentano i luoghi più sicuri e dove i contagi - è stato statisticamente dimostrato - sono una percentuale bassissima rispetto al totale, direi quasi insignificante. I Governi che si sono succeduti, invece, hanno sempre e soltanto individuato nelle imprese luoghi in cui i contagi continuavano a crescere. Alle aziende all'inizio della pandemia era stato chiesto di dotarsi di tutte le misure necessarie per evitare il contagio da Covid-19 e le nostre imprese a loro spese – questo va sottolineato - avevano investito profumatamente per acquistare i dispositivi di sicurezza e assecondare tutte le altre misure atte a ridurre al minimo il rischio, salvo poi vedersi penalizzate con le chiusure improvvise! E la storia si è ripetuta più volte in questi lunghi 14 mesi, con l'aggravante che oltre ad essere state chiuse non sono state adeguatamente sostenute. I decreti ristori prima e sostegni poi, infatti, non hanno assolutamente e minimamente ristorato neanche in parte le nostre imprese. E poi - consentitemi alcuni interrogativi - qualcuno deve spiegarmi perché sui mezzi di trasporto ci si continui ad ammassare così come nelle nostre strade i ragazzi circolino liberamente senza alcun controllo, creando assembramenti, e invece in un ristorante o in una sala ricevimento, settori per la nostra Regione trainanti, con migliaia e migliaia di imprese e lavoratori e un indotto immenso, non si possa mangiare anche dopo le 23, seduti ad un tavolo di poche persone, distanziate tra di loro, dopo aver seguito il protocollo con la misurazione della temperatura e il lavaggio delle mani? E ancora perché i centri commerciali sono stati penalizzati con la chiusura durante il weekend senza poter far entrare invece un certo numero di persone controllate con tutti i dispositivi di protezione in uso? Perché una spa o una palestra con tutte le misure di sicurezza del caso e con gli ingressi programmati e scaglionati debbano stare chiuse? Il problema, non sono le imprese, ci sono delle regole per tutti e queste debbono semplicemente essere rispettate, chi sbaglia deve essere punito e non bisogna invece punire tutti per colpa di qualcuno. E non mi si venga a dire, come qualche amministratore ha dichiarato di recente, che la situazione non è controllabile, perché in campagna elettorale non è stata questa la loro risposta. I problemi sono altri, per quanto attiene i vaccini, per esempio, la nostra Regione è tra le prime in Italia come capacità di inoculare vaccini ma continua a riceverne in proporzione ancora troppo pochi rispetto ad altre regioni meno virtuose. La ripresa dunque si allontana…
Tanto si sta parlando in questi giorni del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) cosa prevede e soprattutto cosa dobbiamo aspettarci?
Questa è un'opportunità unica e dalla portata storica che l'Italia deve essere in grado di cogliere appieno. Per il Mezzogiorno in particolare il PNRR rappresenta l'occasione per diminuire il divario ancora notevole e che negli ultimi anni si è fatto sempre più pesante tra Nord e Sud.
Il Piano di rilancio presentato alla Commissione Europea prevede per il Sud circa 82 miliardi, cioè il 40 per cento delle risorse territorializzabili. Il Mezzogiorno potrà dunque beneficiare di un'elevata quota di risorse, anche se, in realtà, secondo le indicazioni fornite a livello europeo, la ripartizione avrebbe dovuto destinare al Sud somme ben più elevate.
Il Piano è articolato in 6 missioni e vede le risorse a disposizione così ripartite:
Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura: 40,32 miliardi; Rivoluzione verde e transizione ecologica: 59,47 miliardi, Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 25,4 mld, Istruzione e ricerca: 30,88 miliardi, Inclusione e sociale: 19,81 mld, Salute: 15,63 miliardi.
Solo un auspicio, per finire, che tali risorse siano utilizzate ascoltando i territori e gli addetti ai lavori, perché l'Italia è una fantastica nazione ma ogni territorio, ogni categoria produttiva ha delle peculiarità e delle istanze che vanno ascoltate prima di decidere a livello centrale, cosa che purtroppo molto spesso non avviene, assumendo decisioni dietro i banchi di un'aula parlamentare senza conoscere invece cosa avviene davvero "per la strada".
Chi è Giovanni Assi
Giovanni Assi, delegato nazionale per Welfare e Lavoro di Unimpresa (Unione Nazionale di Imprese) e consulente del lavoro, esperto in risorse umane, diritto del lavoro e relazioni sindacali.
Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bari, con indirizzo politico amministrativo, abilitato all'esercizio della professione di consulente del lavoro. Titolare dello Studio Assi, studio professionale di consulenza aziendale con sedi a Trani, Bari, Milano e Roma, chiamato spesso in questi ultimi mesi in qualità di esperto in parecchie emittenti televisive e sulle principali testate giornalistiche di tiratura nazionale.
Ci vogliono interventi a forte impatto sui bilanci delle aziende che sono chiamate in questo periodo di grande incertezza a decidere di mantenere i propri livelli occupazionali non licenziando ed addirittura a provare ad incrementare i propri organici assumendo nuove risorse, permettendo così di far rientrare nel mondo del lavoro tutti quei lavoratori espulsi da particolari settori merceologici che più di altri hanno risentito della pandemia, magari investendo anche su una riconversione ed una formazione degli stessi.
Le indiscrezioni di corridoio emerse per quanto attiene il cosiddetto "pacchetto lavoro" con al suo interno "contratto di rioccupazione" non sono però entusiasmanti. E spiego ai lettori del circuito Viva il perché. Considerato che un lavoratore costa mediamente ad un'azienda 39 mila euro annui tra retribuzione (diretta, indiretta e differita) e contributi, e considerato altresì che la "vita lavorativa" all'interno della stessa azienda dura mediamente 7 anni, il costo da sostenere per la risorsa umana ammonta complessivamente a circa 273 mila euro durante la sua permanenza in azienda, bene, le voci che circolano nel nuovo decreto sostegni bis parlano di uno sgravio contributivo di 6 mesi ovvero di una cifra di circa 4 mila euro. Ebbene, siamo proprio lontani! Ciò che non si riesce ancora a comprendere è che le aziende, a differenza della politica, hanno una visione a medio/lungo termine e che un imprenditore è abituato a pianificare la propria attività non prendendo decisioni sulla base di un arco temporale di sei mesi. Come è pensabile quindi che si assuma "a vita", usufruendo di uno sgravio per pochi mesi?
Cosa sta facendo Unimpresa, che siede ai tavoli tecnici del governo nazionale, nella cui associazione lei ricopre l'oneroso e cruciale ruolo di responsabile per il welfare e il lavoro?
È più di un anno che abbiamo lanciato questo grido di allarme ma che è rimasto inascoltato fino a questo momento, pensando che il blocco dei licenziamenti risolvesse tutto ed invece il risultato sapete qual è stato? La perdita di 945 mila posti di lavoro da febbraio 2020 ad oggi, ai quali se ne potrebbero aggiungere altre centinaia di migliaia allo scadere del blocco dei licenziamenti.
Noi invece chiediamo la totale decontribuzione per un periodo di 12 mesi (ovvero il tempo necessario per le nostre aziende per ripartire ed avvicinarsi ai livelli pre-Covid) per le aziende che decideranno, al termine del divieto dei licenziamenti, di mantenere in servizio i propri dipendenti e di premiare con una decontribuzione totale di 36 mesi tutte le nuove assunzioni.
Mai si è avuto nel corso degli ultimi trent'anni uno scenario così povero di misure incentivanti per stimolare le nuove assunzioni ed anzi ci si trova con alcune categorie di lavoratori completamente ignorate da ogni tipo di incentivo (ad esempio gli uomini nella fascia di età 36 - 50 anni) proprio in un momento in cui bisognerebbe supportare le nostre imprese ed i lavoratori con politiche attive. Invece le uniche soluzioni sarebbero la perenne proroga del blocco dei licenziamenti ed un "pannicello corto" di appena sei mesi?
Alcune imprese hanno subìto addirittura la chiusura a causa delle restrizioni imposte dai vari decreti che si sono succeduti da più di un anno a questa parte, restrizioni che ancora oggi spaventano i nostri imprenditori, alcuni dei quali stanno ancora risentendo di tali limitazioni. Quale è la posizione dell'Associazione Nazionale delle Imprese (Unimpresa) a riguardo?
Ci siamo espressi più volte sull'argomento e ribadiamo con forza (e i primi dati dopo le riaperture ci stanno dando ragione) che le nostre aziende rappresentano i luoghi più sicuri e dove i contagi - è stato statisticamente dimostrato - sono una percentuale bassissima rispetto al totale, direi quasi insignificante. I Governi che si sono succeduti, invece, hanno sempre e soltanto individuato nelle imprese luoghi in cui i contagi continuavano a crescere. Alle aziende all'inizio della pandemia era stato chiesto di dotarsi di tutte le misure necessarie per evitare il contagio da Covid-19 e le nostre imprese a loro spese – questo va sottolineato - avevano investito profumatamente per acquistare i dispositivi di sicurezza e assecondare tutte le altre misure atte a ridurre al minimo il rischio, salvo poi vedersi penalizzate con le chiusure improvvise! E la storia si è ripetuta più volte in questi lunghi 14 mesi, con l'aggravante che oltre ad essere state chiuse non sono state adeguatamente sostenute. I decreti ristori prima e sostegni poi, infatti, non hanno assolutamente e minimamente ristorato neanche in parte le nostre imprese. E poi - consentitemi alcuni interrogativi - qualcuno deve spiegarmi perché sui mezzi di trasporto ci si continui ad ammassare così come nelle nostre strade i ragazzi circolino liberamente senza alcun controllo, creando assembramenti, e invece in un ristorante o in una sala ricevimento, settori per la nostra Regione trainanti, con migliaia e migliaia di imprese e lavoratori e un indotto immenso, non si possa mangiare anche dopo le 23, seduti ad un tavolo di poche persone, distanziate tra di loro, dopo aver seguito il protocollo con la misurazione della temperatura e il lavaggio delle mani? E ancora perché i centri commerciali sono stati penalizzati con la chiusura durante il weekend senza poter far entrare invece un certo numero di persone controllate con tutti i dispositivi di protezione in uso? Perché una spa o una palestra con tutte le misure di sicurezza del caso e con gli ingressi programmati e scaglionati debbano stare chiuse? Il problema, non sono le imprese, ci sono delle regole per tutti e queste debbono semplicemente essere rispettate, chi sbaglia deve essere punito e non bisogna invece punire tutti per colpa di qualcuno. E non mi si venga a dire, come qualche amministratore ha dichiarato di recente, che la situazione non è controllabile, perché in campagna elettorale non è stata questa la loro risposta. I problemi sono altri, per quanto attiene i vaccini, per esempio, la nostra Regione è tra le prime in Italia come capacità di inoculare vaccini ma continua a riceverne in proporzione ancora troppo pochi rispetto ad altre regioni meno virtuose. La ripresa dunque si allontana…
Tanto si sta parlando in questi giorni del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) cosa prevede e soprattutto cosa dobbiamo aspettarci?
Questa è un'opportunità unica e dalla portata storica che l'Italia deve essere in grado di cogliere appieno. Per il Mezzogiorno in particolare il PNRR rappresenta l'occasione per diminuire il divario ancora notevole e che negli ultimi anni si è fatto sempre più pesante tra Nord e Sud.
Il Piano di rilancio presentato alla Commissione Europea prevede per il Sud circa 82 miliardi, cioè il 40 per cento delle risorse territorializzabili. Il Mezzogiorno potrà dunque beneficiare di un'elevata quota di risorse, anche se, in realtà, secondo le indicazioni fornite a livello europeo, la ripartizione avrebbe dovuto destinare al Sud somme ben più elevate.
Il Piano è articolato in 6 missioni e vede le risorse a disposizione così ripartite:
Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura: 40,32 miliardi; Rivoluzione verde e transizione ecologica: 59,47 miliardi, Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 25,4 mld, Istruzione e ricerca: 30,88 miliardi, Inclusione e sociale: 19,81 mld, Salute: 15,63 miliardi.
Solo un auspicio, per finire, che tali risorse siano utilizzate ascoltando i territori e gli addetti ai lavori, perché l'Italia è una fantastica nazione ma ogni territorio, ogni categoria produttiva ha delle peculiarità e delle istanze che vanno ascoltate prima di decidere a livello centrale, cosa che purtroppo molto spesso non avviene, assumendo decisioni dietro i banchi di un'aula parlamentare senza conoscere invece cosa avviene davvero "per la strada".
Chi è Giovanni Assi
Giovanni Assi, delegato nazionale per Welfare e Lavoro di Unimpresa (Unione Nazionale di Imprese) e consulente del lavoro, esperto in risorse umane, diritto del lavoro e relazioni sindacali.
Laureato in Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bari, con indirizzo politico amministrativo, abilitato all'esercizio della professione di consulente del lavoro. Titolare dello Studio Assi, studio professionale di consulenza aziendale con sedi a Trani, Bari, Milano e Roma, chiamato spesso in questi ultimi mesi in qualità di esperto in parecchie emittenti televisive e sulle principali testate giornalistiche di tiratura nazionale.