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Avvistamenti Di...sfide, "De Bello Naturae"
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De bello naturae: a Barletta arriva l’arte contemporanea

Una (Di)sfida verso l’avanguardia e un ripensamento estetico

E arriva il tempo deleuziano in cui una città diventa matura per portare le immagini-movimento in un museo civico, per trasformare "Le chateau des Pyrénées" di Magritte in un'installazione dinamica. Questa città è Barletta, loro sono Kathleen J. Graves, Peter Campus e Antonio Trimani, lui è il museo civico del Castello Svevo. E' stata inaugurata ieri sera la seconda tranche del progetto "Avvistamenti Di...Sfide", che lo scorso 30 ottobre ha avuto come protagoniste delle installazioni sulle rimembranze cavalleresche-rinascimentali; ieri un salto nel tempo della contemporaneità e una mostra sulla "guerra della natura", sulle sue contraddizioni interne e sulle percezioni umane.

«Sono molto orgogliosa per aver portato l'arte contemporanea a Barletta, perché abbinata al lapidarium sotterraneo, al lascito De Nittis e all'esposizione '800esca di artisti napoletani, forma un'eclettica mescolanza di stili e prospettive storico-artistiche. L'unico neo è quello di aver scelto lo spazio del museo civico, non ancora accessibile ai disabili; ma sono problemi strutturali che l'amministrazione si sta impegnando a risolvere» spiega Giusy Caroppo, assessore alle politiche per l'identità culturale della città di Barletta. Si tratta di un'esposizione dall'alto valore simbolico, sonoro e culturale; lo specchio dei tempi che sono, che stanno, che esistono. L'intreccio tra fissità dell'immagine e suo congelamento fa di Antonio Trimani uno degli artisti digitali più promettenti nella scena internazionale: un traliccio imprigionato in un ulivo, una pietra dal volto umano spazzata via da un groviglio di fichi d'India mentre un peschereccio e un gabbiano attraversano i video-quadri e si trascinano dietro lo sguardo del contemplatore.

Ma la mostra, curata da Bruno Di Marino, si fa internazionale con gli americani Campus e Graves, un video-artista e una fotografa che s'insediano nelle pieghe più cupe e sintetiche della natura. Le pixelizzazioni di Campus mostrano l'immagine tremante di barche attraccate e acque in oscillazione; la visione psico-emotiva non può che portare lo spettatore a una riflessione su cosa significhi oggi l'arte digitale. Più lineari, ma pur sempre progressiste le foto di Graves, che immortala i piedi di una natura troppo schiacciata e oppressa. L'animalità è recintata, il vegetale è contornato e definito. Il modulo costante è quello di ellissi concentriche, simili a occhi di pavone, mentre la cromia dominante è il verde smeraldo, le cui campiture donano lucentezza e vanità a un narcisismo così immortalato.

«Non ci sono specifiche sotto i quadri: chi realizza si dissolve, la tela si aggancia a chi mira e chiunque si appropria dell'arte-spiega Di Marino. Né scomparti, né divisioni sono stati pensati per l'esposizione: il percorso narrativo è libero, gli autori non sono indicati e dialogano tra di loro attraverso le opere. Lo stile è la firma migliore. La sala è intrisa di iperrealismo: non le ormai classiche videoproiezioni, bensì led, monitor piatti che muovono l'elemento nel suo andamento naturale, quasi pitturale». Un cyber spazio bucolico, dunque, dove la sfida uomo-natura si consuma nella contemplazione estetica a mezzo digitale; perché la technè rimanda al concetto e la metafisica allo strumento. L'interazione costante tra reale, umano e virtuale contribuisce alla contaminazione figurativa dei nostri giorni, quelli in cui ci si dimentica della purezza e si lancia il guanto di sfida della creolizzazione tra linguaggi artistici. Ma Barletta è pronta per tutto questo?
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