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Basterebbe un po’ di sincera solidarietà

Dopo la lettera dei colleghi, vicinanza alla neo-assunta molestata. Manca ancora la querela della vittima, rifugiata nel silenzio

«Immaginiamo una ragazza, una giovane neo-assunta non ancora trentenne, vittima di una molestia sul luogo di lavoro: un luogo importante, autorevole, e una professione per cui ha speso fatica e impegno. Immaginiamo una storia infelice, privata, che – divenuta di dominio pubblico – ha portato la donna a rifugiarsi in casa, nell'anonimato e nel silenzio, senza denunciare mai l'accaduto».

Scrivevamo così lo scorso 15 marzo, quando il caso della molestia in provincia era appena scoppiato. Da allora quasi nulla è cambiato, se non la pubblicazione di un'angosciante lettera dei colleghi, in cui leggiamo istante dopo istante una dettagliata descrizione dell'accaduto, che ci restituisce tutta l'inquietudine e la sofferenza di questo episodio increscioso. Rimane un racconto a tinte fosche, dove scopriamo la recidività di un aggressore forte del proprio potere e del proprio ruolo, e l'assenza di una formale querela da parte della molestata.
Torniamo ancora indietro. «Immaginiamo una ragazza, vittima di una molestia. Sollecitiamo una denuncia per punire il colpevole e liberare finalmente dal silenzio la protagonista di questa vicenda, e forse non consideriamo il timore di una neo-assunta che rischierebbe così il proprio posto di lavoro, che uscendo allo scoperto verrebbe ancora una volta assalita da quel 'tam tam mediatico' di cui si parlava».

Forse allo stato attuale degli accadimenti dovremmo tornare a sollecitare una denuncia ufficiale, che darebbe chiarezza a tutti coloro che ne sono rimasti coinvolti, come i colleghi e come i lettori (pur senza esser in debito di nulla), ma soprattutto per individuare definitivamente il colpevole che – ancora adesso – rimane avvolto da un profondo silenzio e da una immorale omertà. E per dare voce e libertà all'unica vittima di questo biasimevole comportamento.

Vicinanza e solidarietà per la giovane ragazza tranese che vive con sé stessa e con questo incubo da quasi un mese: sono le uniche parole e gli unici sentimenti che ci rimangono di fronte ad un enigma così angoscioso. Pensare a quelle ore dolorose chiusa dentro un bagno, pensare alla solitudine pesante di chi non può confidare il proprio disagio, pensare ad un posto di lavoro che dovrebbe essere luogo di sacrificio a servizio della comunità provinciale. Pensare a quelle lacrime, e cercare di restare in silenzio: non si può. Allora si tenta, con i mezzi di cui si è a disposizione, di ambire ad un pur lieve bagliore di giustizia e comprensione, di solidarizzare come donna e come giovane lavoratrice, di alzare una voce seppur distante, seppur da parecchi osteggiata, pur di sperare remotamente che una conclusione positiva ad una vicenda così negativa ci possa essere.
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