Cronaca
Barletta, chi ha ucciso Caterina Capuano?
Fu incidente o omicidio? Il mistero permane. Il caso forse passerà all’UDI della Polizia di Stato
Barletta - mercoledì 25 agosto 2010
Era il 16 settembre del 1999, quando in via vecchia Minervino fu rinvenuto il corpo di una giovane donna, lei era Caterina Capuano operaia di 29 anni.
Il caso scosse la città intera all'epoca, anche perché la vicenda assunse tutti i parametri degni del miglior film giallo. La donna infatti fu ritrovata in via vecchia Minervino, alla periferia della città, in condizioni orribili: il cranio fracassato, il busto martoriato da numerose coltellate, la gola segnata dai lividi provocati da un tentativo di strangolamento.
Trascorsi undici anni dal brutale delitto ad oggi, la morte di Caterina Capuano resta avvolta nel mistero: le indagini dei poliziotti all'epoca non portarono a nulla. Un delitto dove l'unica certezza sembrò essere che la donna fu uccisa da un'auto. Caterina non morì quindi in seguito ai numerosi colpi inferti da un'arma appuntita, ma perché investita da una macchina.
Ma la domanda che in tanti si sono posti nell'arco di tutto questo tempo fu appunto: chi schiacciò sul pedale dell'acceleratore? E perché? All'epoca, il primo a essere iscritto nel registro degli indagati fu Ruggero, il fidanzato della donna, poiché gli inquirenti pensarono proprio ad un delitto passionale scatenato da un raptus di gelosia. Ma nel corso degli anni l'inchiesta coordinata dal magistrato della procura di Trani Giuseppe Maralfa ha visto nuovi sviluppi e molte sorprese prima che la Procura di Trani archiviasse il caso. Infatti nel registro degli indagati ci finirono anche due zii della ragazza, indagati perché sotto la loro macchina furono trovati dei capelli che si pensava appartenessero alla vittima. Le analisi svelarono però che le ciocche erano incompatibili col suo profilo genetico.
Sul caso aleggiò per qualche tempo anche la figura di un uomo, detto «il milanese», amante di Caterina. A lui era intestata l'automobile, di grossa cilindrata e di colore scuro, su cui la 29enne fu vista poco prima di morire, ma l'uomo fornì un alibi di ferro: la notte del 16 settembre 1999 non era a Barletta. Un altro filone di indagine poi ha riguardato due donne, amiche dell'operaia e presunte autrici del delitto: Caterina infatti era invischiata in una storia di inganni e adulteri. Non si esclude quindi che la ragazza fu ammazzata perché ricattatrice di una conoscente che aveva tradito il marito con cui la 29enne aveva una tresca.
I faldoni del «delitto Capuano» sono zeppi di carte e imbiancati dalla polvere. Ma presto potrebbero essere i super investigatori di Roma a districare il rompicapo.
Infatti è di qualche giorno fa la notizia che il caso irrisolto dell'omicidio di Caterina Capuano potrebbe essere affidato agli specialisti dell'Udi, l'Unità Delitti Irrisolti della polizia di Stato, che si compone di specialisti in "cold case", ovvero "casi freddi" perché datati e senza colpevoli. Il pool dell'Udi scava in profondità nei retroscena dei crimini e rilegge gli indizi ritrovati sulla scena del delitto al fine di fare luce sui casi catalogati come irrisolti.
Il «cold case» di Barletta si presenta come un intricato labirinto di reperti, interrogatori e verità nascoste. Come quelle legate agli uomini incastonati nella vita della giovane operaia.
Il caso scosse la città intera all'epoca, anche perché la vicenda assunse tutti i parametri degni del miglior film giallo. La donna infatti fu ritrovata in via vecchia Minervino, alla periferia della città, in condizioni orribili: il cranio fracassato, il busto martoriato da numerose coltellate, la gola segnata dai lividi provocati da un tentativo di strangolamento.
Trascorsi undici anni dal brutale delitto ad oggi, la morte di Caterina Capuano resta avvolta nel mistero: le indagini dei poliziotti all'epoca non portarono a nulla. Un delitto dove l'unica certezza sembrò essere che la donna fu uccisa da un'auto. Caterina non morì quindi in seguito ai numerosi colpi inferti da un'arma appuntita, ma perché investita da una macchina.
Ma la domanda che in tanti si sono posti nell'arco di tutto questo tempo fu appunto: chi schiacciò sul pedale dell'acceleratore? E perché? All'epoca, il primo a essere iscritto nel registro degli indagati fu Ruggero, il fidanzato della donna, poiché gli inquirenti pensarono proprio ad un delitto passionale scatenato da un raptus di gelosia. Ma nel corso degli anni l'inchiesta coordinata dal magistrato della procura di Trani Giuseppe Maralfa ha visto nuovi sviluppi e molte sorprese prima che la Procura di Trani archiviasse il caso. Infatti nel registro degli indagati ci finirono anche due zii della ragazza, indagati perché sotto la loro macchina furono trovati dei capelli che si pensava appartenessero alla vittima. Le analisi svelarono però che le ciocche erano incompatibili col suo profilo genetico.
Sul caso aleggiò per qualche tempo anche la figura di un uomo, detto «il milanese», amante di Caterina. A lui era intestata l'automobile, di grossa cilindrata e di colore scuro, su cui la 29enne fu vista poco prima di morire, ma l'uomo fornì un alibi di ferro: la notte del 16 settembre 1999 non era a Barletta. Un altro filone di indagine poi ha riguardato due donne, amiche dell'operaia e presunte autrici del delitto: Caterina infatti era invischiata in una storia di inganni e adulteri. Non si esclude quindi che la ragazza fu ammazzata perché ricattatrice di una conoscente che aveva tradito il marito con cui la 29enne aveva una tresca.
I faldoni del «delitto Capuano» sono zeppi di carte e imbiancati dalla polvere. Ma presto potrebbero essere i super investigatori di Roma a districare il rompicapo.
Infatti è di qualche giorno fa la notizia che il caso irrisolto dell'omicidio di Caterina Capuano potrebbe essere affidato agli specialisti dell'Udi, l'Unità Delitti Irrisolti della polizia di Stato, che si compone di specialisti in "cold case", ovvero "casi freddi" perché datati e senza colpevoli. Il pool dell'Udi scava in profondità nei retroscena dei crimini e rilegge gli indizi ritrovati sulla scena del delitto al fine di fare luce sui casi catalogati come irrisolti.
Il «cold case» di Barletta si presenta come un intricato labirinto di reperti, interrogatori e verità nascoste. Come quelle legate agli uomini incastonati nella vita della giovane operaia.