anni dal terremoto in Irpinia
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Cronaca

40 anni dal terremoto in Irpinia: il ricordo dei barlettani

Dopo la paura, la grande solidarietà di Barletta verso i suoi fratelli terremotati

Quelle dell'allestimento dell'ospedale da campo nei pressi dell'ospedale Dimiccoli a causa dell'emergenza Covid sono immagini che in futuro difficilmente dimenticheremo. Ma per noi ultraquarantenni, quelle dell'ospedale da campo sono immagini che sanno di "dejà vu" ("già visto", per chi non conosce il francese) e che collocate in un ideale macchina del tempo ci portano con la memoria indietro di quarant'anni esatti: per la precisione alle ore 19:35 di domenica 23 novembre 1980, quando un violentissimo terremoto causò oltre tremila morti tra le province di Potenza, Salerno, Avellino e Napoli, con qualche vittima anche nel foggiano (per lo più a causa di malori), oltre a danni materiali e qualche ferito lieve anche a Barletta.

Un'immane tragedia che giunse al culmine di un anno, il 1980, davvero difficile e tragico per un'Italia già ferita dagli omicidi di mafia e di terrorismo politico e poi messa moralmente in ginocchio dalle terrificanti stragi del DC9 di Ustica e della stazione di Bologna.

In quel difficile 1980, come abbiamo già raccontato in altre occasioni, Barletta rappresentava una delle poche isole felici della penisola. Basti pensare alla litoranea di Levante che d'estate in quegli anni raggiunse forse il suo massimo splendore; alle dirette RAI del certame della Disfida magistralmente organizzato da "Zi Russo" e compagnia e che aveva come teatro un gremitissimo campo "Lello Simeone"; al festoso arrivo di Corso Garibaldi della tredicesima tappa del Giro d'Italia vinta dal grande Beppe Saronni e, dulcis in fundo, alla storica medaglia d'oro di Pietro Mennea nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Mosca.

Certo in quell'autunno 1980 a Barletta ci fu tensione per la famosa "rivolta dell'uva" che un giovane Pasquale Cascella raccontava quotidianamente dalle colonne dell'Unità, ma tutto sommato nulla di neanche lontanamente paragonabile al resto d'Italia prostrato, oltre che dagli esplosivi, dal canto quotidiano delle P38 e dei Kalashnikov. Anche il Barletta del neo presidente Roggio e di mister Trebbi (che all'epoca militava in Serie C/2), dopo le tribolazioni dell'anno precedente era messo abbastanza bene in classifica, anche se in quel pomeriggio del 23 novembre 1980 fu costretto dal Potenza ad un inaspettato pari interno. Una mezza delusione per i tifosi biancorossi, che al ritorno dallo stadio cercarono di rifarsi la bocca con la sintesi del match tra Juventus e Inter post "90' minuto" che la RAI trasmetteva dalle ore 19:00 riempiendo di appassionati i bar di Barletta e di tutta Italia (la pay tv era ancora ben lungi dal venire), compresi quelli di Balvano, Pescopagano, Muro Lucano nella provincia di Potenza; Laviano, Castelnuovo di Conza (epicentro del sisma) in provincia di Salerno; Lioni, Calabritto, Sant'Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino. Luoghi in cui alle 19:35 lo scontro che ebbe luogo tra la placca europea e quella africana, che ha come zona di faglia quella degli Appennini, scatenò nell'Italia più umile, più povera, una vera e propria apocalisse.

La prima e devastante scossa fu di magnitudo 6.9 (il terremoto a L'Aquila fu di magnitudo 5.9: cioè trenta volte meno potente) e durò circa 90 secondi. Il sisma fu avvertito molto forte anche a Barletta, tanto da costringere tante famiglie (compresa quella di chi scrive) a passare la notte in auto nei pressi del piazzale ove oggi sorge il Pala Disfida "Mario Borgia" ed in altri luoghi della città. A Barletta, oltre a qualche ferito lieve, vi furono anche alcuni edifici lesionati, tra cui una palazzina di Via Municipio ove si aprì una lunga crepa nell'intonaco che andava dal pian terreno fin quasi al terrazzo. In ogni caso nulla di particolarmente grave né nella nostra città, né in quelle limitrofe, eccezion fatta per due feriti gravi (un bambino di Canosa e un quarantunenne di Corato) e, purtroppo, per alcuni decessi per infarto dovuti allo spavento, tra cui quello di un giovane insegnante di Bitonto.

A un centinaio di chilometri da qui invece si consumava una vera e propria catastrofe, dovuta anche al pesantissimo ritardo con cui giunsero i primi mezzi di soccorso. Emblematiche a tal proposito furono le immagini dall'alto del comune di Calabritto (AV) completamente raso al suolo, e soprattutto quelle della Chiesa dell'Assunta di Balvano (PZ) il cui crollo portò via con se anche la vita di settanta tra bambini e ragazzi che erano a messa per il catechismo.

Dopo i gravi e colpevoli ritardi delle prime ore, la macchina dei soccorsi e quella della solidarietà si misero in moto praticamente da tutto il mondo (Iraq di Saddam Hussein compreso). Anche Barletta in quei tragici giorni fu grande esempio di solidarietà con vere e proprie carovane di automezzi che si mossero verso i luoghi del terremoto portando con se viveri, coperte e attrezzature di soccorso, ed imponente fu anche la raccolta di sangue che partì dai nostri territori.

Purtroppo però, già pochi giorni dopo la tragedia, in parecchi che da Barletta, e non solo, portavano materialmente gli aiuti ai terremotati, cominciarono a testimoniare di scene di vero e proprio sciacallaggio tra i viveri, oltre che di personaggi poco raccomandabili che circolavano tra le tendopoli, come poi ampiamente dimostrato nei numerosi processi del post-terremoto, per una delle più grandi vergogne delle quali si è macchiato il nostro paese.

Davvero un peccato per chi a Barletta e dintorni ebbe il merito di tirarsi su le maniche - talvolta perdendo anche giornate di lavoro – e di aiutare i suoi sfortunati fratelli di Irpinia e Basilicata colpiti da questa immane tragedia.

Una tragedia che a quarant'anni di distanza, pur con connotazioni molto diverse, resta ancora drammaticamente viva nella memoria di chi c'era.
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