La pastasciutta antifascista dei fratelli Cervi
Riflessione di un lettore nel 70° anniversario dell'eccidio
domenica 29 dicembre 2013
14.00
iReport
Quale epiteto attribuire a un sindaco che delibera di cancellare la targa stradale dedicata ai fratelli Cervi? Non eccelle nella conoscenza della storia e, deprivato dei valori della Resistenza, si distacca dalla vertiginosa altezza politica, civile ed umana di quei prodi. Bisogna, a suo dire e fare, rendere omaggio alla disfida di Barletta. Uno scontro bellicoso tra spagnoli e francesi, fazioni mercenarie, aduse a vendersi al miglior acquirente, a violentare donne e saccheggiare paesi. Ah!, se la storia la scrivessero le vittime, i territori devastati! Quanti libri dovrebbero essere riscritti per recuperare il senso profondo delle vicende e rivalutare la memoria di donne, bambini, vecchi, uomini, città e campagne. Dimenticati. Offesi. Oltraggiati da intellettuali asserviti. Prezzolati.
I fratelli Cervi hanno onorato l'Italia. Lavorando sodo. Produttivo, infatti, divenne un terreno di Gattalico, in provincia di Reggio Emilia, pieno di rilievi e di buche. L'uva americana produceva per la prima volta in Emilia succosi grappoli, mentre mucche e piccioni venivano allevate amorevolmente. Anche le operose api si impegnarono.
Lottando contro il regime. Quando il duce venne sfiduciato dai gerarchi, i Cervi organizzarono una grande festa, che ogni anno viene rievocata il 25 luglio. Offrirono quintali di pastasciutta, impastata dalle le proprie mani, condita con formaggio e burro alla gente affamata. Braccianti e contadini con piatti in mano. Corteo di diseredati. La cantina ed il fienile nascondevano le armi, mentre la stampa clandestina ed i primi nuclei di partigiani disponevano di una sede di coordinamento. Le donne, attive staffette partigiane. Come Agnese,che va a morire.
Le autorità fasciste presero nota. Dopo alcun i mesi diedero alle fiamme la cascina e catturarono i sette fratelli. Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. Tra i 42 ed i 22 anni. I genitori, Alcide e Genoeffa Cocconi, affittuari, li avevano educati ai valori della Resistenza: lavoro, equità sociale, solidarietà e democrazia. Cascina bruciata. Donne e i bambini soli. Abbandonati nella strada. Da conigli inviperiti. Di ieri . E di oggi. La madre, morta subito dopo. Crepacuore .
In questi giorni ricorre il settantesimo anniversario del loro eccidio. Si accasciarono al suolo con onore il 28 dicembre del 1943, messi al muro del poligono di tiro di Reggio Emilia. Venivano trucidati. Colpevoli di difendere valori ancora oggi vilipesi. Persino dai rappresentanti delle istituzioni. Sacrilegio! Che grida giustizia!
Altre, e tante, sono le targhe che infangano le strade di Barletta. Andrebbero rimosse. Subito. Dedicate a squallidi ed infami personaggi storici e a mediocri cittadini ricordati solo per l'appartenenza a qualcuno. Come sempre.
Si provveda a ripristinare quella dei Cervi. Immediatamente. Per la verità storica e per il rispetto verso le nuove generazioni, che vogliono nutrirsi di diritti, doveri ed ideali. Rapidamente, per lavare l'onta, si promuova un gemellaggio con Gattanico e si offrano orecchiette in bianco ai barlettani, anch'essi affamati di democrazia, giustizia sociale, solidarietà e lavoro. Per temprarli, in vista di nuove Resistenze, che nella storia umana non mancano mai.
[Domenico Dalba]
I fratelli Cervi hanno onorato l'Italia. Lavorando sodo. Produttivo, infatti, divenne un terreno di Gattalico, in provincia di Reggio Emilia, pieno di rilievi e di buche. L'uva americana produceva per la prima volta in Emilia succosi grappoli, mentre mucche e piccioni venivano allevate amorevolmente. Anche le operose api si impegnarono.
Lottando contro il regime. Quando il duce venne sfiduciato dai gerarchi, i Cervi organizzarono una grande festa, che ogni anno viene rievocata il 25 luglio. Offrirono quintali di pastasciutta, impastata dalle le proprie mani, condita con formaggio e burro alla gente affamata. Braccianti e contadini con piatti in mano. Corteo di diseredati. La cantina ed il fienile nascondevano le armi, mentre la stampa clandestina ed i primi nuclei di partigiani disponevano di una sede di coordinamento. Le donne, attive staffette partigiane. Come Agnese,che va a morire.
Le autorità fasciste presero nota. Dopo alcun i mesi diedero alle fiamme la cascina e catturarono i sette fratelli. Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. Tra i 42 ed i 22 anni. I genitori, Alcide e Genoeffa Cocconi, affittuari, li avevano educati ai valori della Resistenza: lavoro, equità sociale, solidarietà e democrazia. Cascina bruciata. Donne e i bambini soli. Abbandonati nella strada. Da conigli inviperiti. Di ieri . E di oggi. La madre, morta subito dopo. Crepacuore .
In questi giorni ricorre il settantesimo anniversario del loro eccidio. Si accasciarono al suolo con onore il 28 dicembre del 1943, messi al muro del poligono di tiro di Reggio Emilia. Venivano trucidati. Colpevoli di difendere valori ancora oggi vilipesi. Persino dai rappresentanti delle istituzioni. Sacrilegio! Che grida giustizia!
Altre, e tante, sono le targhe che infangano le strade di Barletta. Andrebbero rimosse. Subito. Dedicate a squallidi ed infami personaggi storici e a mediocri cittadini ricordati solo per l'appartenenza a qualcuno. Come sempre.
Si provveda a ripristinare quella dei Cervi. Immediatamente. Per la verità storica e per il rispetto verso le nuove generazioni, che vogliono nutrirsi di diritti, doveri ed ideali. Rapidamente, per lavare l'onta, si promuova un gemellaggio con Gattanico e si offrano orecchiette in bianco ai barlettani, anch'essi affamati di democrazia, giustizia sociale, solidarietà e lavoro. Per temprarli, in vista di nuove Resistenze, che nella storia umana non mancano mai.
[Domenico Dalba]