Pop Corn
Alan Turing: un genio per la Grande storia del futuro
Enigma, guerra e passione in “The Imitation Game”
martedì 13 gennaio 2015
Una guerra da vincere, una macchina da decifrare, un segreto da nascondere, una civiltà da salvare; e quando il violento nemico Tempo s'insinua nel campo di battaglia mondiale la sfida si consuma nello spazio di una mente. La mente geniale e scostante di Alan Turing, magistralmente interpretato da Benedict Cumberbatch. "The Imitation Game" si dispiega lungo tre livelli: quello della mainstory si alterna con le digressioni sul background infantile e sull'overground giudiziario. Un andirivieni avvincente, denso di pathos e fascino storico. La regia di Morten Tyldum cede alla tentazione di inserire scene di archivio, creando un capolavoro poligenere tra biografia, storia, romanticismo e scienza. Non un semplice matematico (la definizione di matematico indica di per sè un grado basilare di complessità), ma un crittografo di codici etici, umani, prima che numerici.
Turing intuisce subito i limiti dell'uomo come misura di tutte le cose e applica il principio anassogoreo de "il simile conosce il simile". E così, per decifrare tutte le comunicazioni naziste, quelle per cui si è attivato il progetto Hut 8, le stesse per cui stanno morendo migliaia di esseri umani, Turing pensa a una macchina. Una macchina destinata a diventare La macchina di ogni flusso comunicativo moderno: il computer. Una macchina che costa milioni di sterline, per il cui finanziamento Turing si rivolge direttamente a Winston Churchill. A comando di un gruppo di quattro matematici, Alan non fa gruppo; lavora alla sua Christopher 18 ore al giorno, finché non arriva la mezzanotte e i nazisti cambiano i codici di trasmissione. Come tante piccole cenerentole democratiche, le speranze si frantumano allo scoccare dell'ora di mezzo; una lotta contro il tempo e un quotidiano fallimento per la salvezza dell'umanità. Ma "The imitation game", già vincitore al Festival di Toronto 2014 e ineccepibile promessa del 2015, non ha pretese umanistiche, né eccessivamente storiche. Turing non è il mezzo rappresentativo per veicolare chissà quale messaggio; è egli stesso il messaggio, la sua folle lucidità, la sua passione meccanica, la sua necessaria inadeguatezza che ha saputo ascoltare la chiamata di un mondo che stava morendo per la pazzia della guerra.
Ma la guerra ha una sua ragione? Vince chi ha ragione? A guardare il ragionamento di Turing, sembrerebbero positive le domande provocatoriamente hegeliane. E a ricordargli che sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare è la sua collega e mancata moglie Joan Clarke, una Keira Knightley tanto essenziale, quanto colmante. Sfiorata la scia romantica, per merito della delicatamente accennata omosessualità di Turing, la commozione resta quando la macchina si arresta: un lavoro alfanumerico tiene impegnato il team per tutta la notte, i messaggi sono stati intercettati, ma la posta in gioco di Enigma adesso è non farsi scoprire dai nazisti. Svelato un segreto, ne scaturisce un altro, insieme a quello privato (ma socialmente rilevante) di Turing. 113 minuti di incessante travolgimento per l'uomo che-a detta di Churchill- ha dato il singolo contributo più significativo alla sconfitta del Nazismo. Adesso, anche l'Inghilterra ha il suo "A beautiful mind" e The Imitation Game ci ricorda che modernità e futuro dovranno sempre meravigliarsi davanti alle loro consuetudini.
Turing intuisce subito i limiti dell'uomo come misura di tutte le cose e applica il principio anassogoreo de "il simile conosce il simile". E così, per decifrare tutte le comunicazioni naziste, quelle per cui si è attivato il progetto Hut 8, le stesse per cui stanno morendo migliaia di esseri umani, Turing pensa a una macchina. Una macchina destinata a diventare La macchina di ogni flusso comunicativo moderno: il computer. Una macchina che costa milioni di sterline, per il cui finanziamento Turing si rivolge direttamente a Winston Churchill. A comando di un gruppo di quattro matematici, Alan non fa gruppo; lavora alla sua Christopher 18 ore al giorno, finché non arriva la mezzanotte e i nazisti cambiano i codici di trasmissione. Come tante piccole cenerentole democratiche, le speranze si frantumano allo scoccare dell'ora di mezzo; una lotta contro il tempo e un quotidiano fallimento per la salvezza dell'umanità. Ma "The imitation game", già vincitore al Festival di Toronto 2014 e ineccepibile promessa del 2015, non ha pretese umanistiche, né eccessivamente storiche. Turing non è il mezzo rappresentativo per veicolare chissà quale messaggio; è egli stesso il messaggio, la sua folle lucidità, la sua passione meccanica, la sua necessaria inadeguatezza che ha saputo ascoltare la chiamata di un mondo che stava morendo per la pazzia della guerra.
Ma la guerra ha una sua ragione? Vince chi ha ragione? A guardare il ragionamento di Turing, sembrerebbero positive le domande provocatoriamente hegeliane. E a ricordargli che sono le persone che nessuno immagina possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare è la sua collega e mancata moglie Joan Clarke, una Keira Knightley tanto essenziale, quanto colmante. Sfiorata la scia romantica, per merito della delicatamente accennata omosessualità di Turing, la commozione resta quando la macchina si arresta: un lavoro alfanumerico tiene impegnato il team per tutta la notte, i messaggi sono stati intercettati, ma la posta in gioco di Enigma adesso è non farsi scoprire dai nazisti. Svelato un segreto, ne scaturisce un altro, insieme a quello privato (ma socialmente rilevante) di Turing. 113 minuti di incessante travolgimento per l'uomo che-a detta di Churchill- ha dato il singolo contributo più significativo alla sconfitta del Nazismo. Adesso, anche l'Inghilterra ha il suo "A beautiful mind" e The Imitation Game ci ricorda che modernità e futuro dovranno sempre meravigliarsi davanti alle loro consuetudini.