Registrazione, memoria, logos
A cura di Matteo Losapio
Registrare eventi, fatti, accadimenti appartiene alla stessa cultura dell'essere umano. Dove la cultura avanza proprio grazie alla registrazione di ciò che è stato. Anzi, sia la natura sia la cultura vivono dello stesso comune denominatore della registrazione. Per quanto riguarda la natura, infatti, basti ricordare le varie stratigrafie delle rocce che raccontato di fiumi primitivi, di glaciazioni, di eruzioni vulcaniche e così via. Mentre per quanto riguarda la cultura dai graffiti delle grotte di Lascaux di cui parla Ferraris stesso, fino al web, passando per i libri e la scrittura, tutto diviene registrazione di ciò che è stato e permette al mondo di non iniziare ogni giorno. Tuttavia, l'enorme accelerazione di registrazione che stiamo vivendo sembra quasi smaterializzare la memoria stessa. Paradossalmente, se la registrazione ha reso materiale la memoria, la quale si caratterizza come emergenza del passato, oggi la registrazione viene affidata sempre più a ciò che è fuori dall'essere umano, alla tecnologia, ad un terzo che non è né solo natura né solo cultura ma mette in relazione e può modificare entrambi. In questo modo la registrazione di dati, appuntamenti, fatti diviene un grande magazzino pieno di scatoloni in cui sappiamo dove reperire tutte le informazioni che ci servono ma non darne una riflessione prospettica. È come se fossimo piccoli facchini in un grande magazzino di scatoloni, dove muoviamo e spostiamo pacchi di dati e accumuliamo informazioni, senza decifrarne il significato. Ed è a questo che occorrono, oggi più che mai, i filosofi. Dare un senso, dentro la giungla delle informazioni, una bussola per orientare se stessi e gli altri. Oggi più che mai: interpretare per trasformare, in modo che la registrazione delle informazioni possa rendere materiale non solo la memoria ma anche l'oblio. Ecco, perché, alla domanda che pone Ferraris sulla necessità di un logos o di un senso, noi rispondiamo che il logos stesso è registrato nel nostro DNA, nella nostra stessa struttura antropologica, perché registrare nasce dal desiderio di un senso, di un ordine, di un logos.Alla lunga tradizione dell'emergentismo non ho nulla da aggiungere se non che emergere è essere registrato: affinchè una emergenza di qualsiasi tipo, nella natura o nella società, possa aver luogo, è infatti preliminarmente necessaria una registrazione, altrimenti il mondo sarebbe un eterno incominciare, un bagliore istantaneo senza coerenza e senza conseguenze. Questa sublime sovrabbondanza di tempo e spazio ha permesso al mondo ogni sorta di disordini, insensatezze e dissipazioni: l'economia, non dimentichiamolo, vale solo per chi ha poco tempo. Diamo tempo al tempo e spazio allo spazio, e dalle interazioni tra individui verrà fuori di tutto, emergerà il tempo e, nel tempo, il significato. C'è ancora bisogno di postulare l'intervento di un logos (o più modestamente di un senso qualsiasi) per rendere conto di un mondo che deve la sua contingentissima emergenza solo ad un patrimonio incalcolabile di tempo, materia ed energia? L'unico ingrediente richiesto è la registrazione, che permette di capitalizzare la memoria trasformandola in materia, e la materia trasformandola in memoria.