Cara Barletta ti scrivo
Quando gli scampati alle foibe giunsero a Barletta
Nel Giorno del Ricordo la ricostruzione storica di Michele Grimaldi, direttore Archivio di Stato
giovedì 10 febbraio 2022
14.11
«Non penso che qualcuno, oggi, possa negare che la Storia viene affrontata con modalità differenti in base al momento politico-culturale nel quale si vive. L'avvicinarsi di ogni 27 gennaio, giorno della memoria della Shoah, mette in fibrillazione reti e TG nazionali.
In quella data c'è un sovrapporsi di servizi nei telegiornali, dibattiti nei talk show, programmazione di film e sceneggiati. Tutti corrono per intervistare almeno uno degli ultimi sopravvissuti. Intervista che spesso si risolve con la trasmissione di qualche frase per un pugno di secondi. Poi passa (dopo aver speso belle cifre!) e se ne riparla l'anno successivo.
Il 10 febbraio, "Giorno del ricordo" delle Foibe e dell'Esodo istriano, non crea la stessa fibrillazione. Quasi nessun film o sceneggiato ("Il cuore nel pozzo" non è stato mai più replicato), rarissimi servizi nei notiziari, per lo più, legati alle cronache delle cerimonie al Quirinale o nelle aule consiliari di pochi comuni, con sporadiche (o nulle) presenze nei talk show.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Giornata del Ricordo, ha espresso concetti inequivocabili: "Le foibe furono un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato ad insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni".
Sono trascorsi quasi ottanta anni da quando 350mila giuliano-dalmati sopravvissuti agli eccidi comunisti, abbandonarono con ogni mezzo la loro amata terra, sperimentando la tragedia dello sradicamento totale e collettivo. La maggior parte di loro è morta senza avere non dico giustizia, ma almeno il sacrosanto diritto di veder riconosciuto il proprio immane sacrificio.
E sapete a cosa porta il non sapere? A quello che è accaduto qualche anno fa, alla vigilia del "Giorno del Ricordo", allorquando fu danneggiata, da pavidi idioti, la lapide commemorativa dedicata ai martiri delle Foibe fatta apporre meritoriamente, nel 2010, dall'Amministrazione Comunale guidata dal Sindaco Nicola Maffei in via Manfredi sulla facciata dell'ex Caserma Stennio, prossima sede dell'Archivio di Stato di Barletta, all'interno della quale nel 1949 furono ospitati i profughi provenienti dalle terre Dalmate-Giuliane, scampati alla pulizia etnica messa in atto dal dittatore comunista Tito.
Mi chiedo come sia possibile che (e la situazione mi rattrista ed indigna), almeno in questi casi, non si metta da parte la propria idea politica e si lasci spazio solo al rispetto e al ricordo di stragi assurde e inconcepibili le quali vanno doverosamente ricordate affinchè non si permetta l'oltraggio di dimenticare tutto, per colpa dell'esecrabile oblio dell'indifferenza. Eppure sono nella storia i flussi di profughi rifugiatisi a Barletta, come gli abitanti di Canne, trasferitisi nel 1083 per sfuggire alla distruzione della cittadella da parte di Roberto il Guiscardo e stabilitisi in quello che oggi è il rione San Giacomo.
I principali campi dell'Italia meridionale si trovavano in Puglia, dove i profughi giungevano spesso attraverso una seconda via clandestina che consisteva nell'attraversare l'Adriatico partendo dalla Jugoslavia con piccole imbarcazioni e che fu sfruttata soprattutto dopo il novembre 1945, quando l'inverno troppo freddo rese inaccessibili i valichi alpini. Nelle vicinanze di Bari erano attivi i campi di Barletta, Trani, Palese ed uno nella stessa città di Bari.
Si possono identificare due momenti principali: una prima fase, fino al 1950, in cui è prevalente la presenza di profughi, provenienti da diversi Paesi europei, soprattutto Polonia ed ex Jugoslavia. La gran parte di questi profughi era ebrea. Alla data del 31 marzo 1948, gli Ebrei presenti nei campi profughi italiani erano 19.084: di questi ben 1.968 si trovavano a Barletta. Una seconda fase, fra il 1951 e il 1954, in cui è prevalente la presenza di profughi di lingua italiana, provenienti dall'Etiopia, dalla Grecia, dalla Turchia, dall'Istria. La gran parte di questi profughi erano Giuliano - Dalmati.
La prima fase è legata ad un sito ben preciso: il DP camp n. 3 bl, ovvero la Caserma "R.Stella" sita in via Andria. La seconda fase è legata al Centro Raccolta Profughi sito in via Manfredi, dove si trovavano le Caserme "Stennio", ancora esistente e "Fieramosca" abbattuta agli inizi degli anni '60.
Tra gli stranieri inviati nei campi, si vennero a trovare anche alcuni ebrei reduci dai lager nazisti. Questi si trovarono a condividere le stesse baracche con ex criminali di guerra e collaborazionisti dei nazifascisti. Nonostante le proteste delle associazioni ebraiche, per diversi mesi, rimasero internati nel campo.
Inizialmente i profughi furono posti sotto la giurisdizione alleata, mentre la gestione del campo dipendeva dalle autorità italiane. Verso la fine del 1946, anche il controllo degli stranieri passò definitivamente sotto le autorità italiane.
Le condizioni di vita furono assai complesse. In pochi mesi il "Centro" di Barletta, che aveva superato le cinquecento presenze, divenne una piccola cittadella cosmopolita dove furono costretti a vivere coattamente uomini e donne provenienti da oltre venticinque nazioni diverse. La promiscuità e i disagi dovuti all'ozio forzato e alle precarie condizioni igienico sanitarie, resero la vita a molti di essi assai dura.
Con il passare del tempo, i campi andarono via via svuotandosi sino ad arrivare alla definitiva chiusura avvenuta alla fine degli anni cinquanta.
Coltivare la memoria di quanto è accaduto è indispensabile per ristabilire la verità storica. E a questo, penso gioverà ricordare i nomi dei 20 barlettani infoibati: Antonucci Francesco, Ardito Giovanni, Capolongo Francesco Paolo, Cortellino Angelo, Delvecchio Antonio, Delvecchio Francesco, Donvito Angelo, Gaeta Vitantonio, Gargano Sabino, Giannini Francesco, Giuliano Gennaro, Goffredo Giovanni, Lionetti Vincenzo, Marzocca Ruggiero, Paolicelli Michele, Rendina Luigi, Sciominio Francesco, Scommegna Francesco, Sfregola Cosimo Damiano e Surdi Giovanni.
Un ultimo pro memoria qualora dovesse essere sfuggito a qualcuno: gli Istriani, oltre ad essere Persone erano Italiani … o qualcuno lo ignora?».
Michele Grimaldi, Direttore Archivio di Stato di Bari Barletta e Trani
In quella data c'è un sovrapporsi di servizi nei telegiornali, dibattiti nei talk show, programmazione di film e sceneggiati. Tutti corrono per intervistare almeno uno degli ultimi sopravvissuti. Intervista che spesso si risolve con la trasmissione di qualche frase per un pugno di secondi. Poi passa (dopo aver speso belle cifre!) e se ne riparla l'anno successivo.
Il 10 febbraio, "Giorno del ricordo" delle Foibe e dell'Esodo istriano, non crea la stessa fibrillazione. Quasi nessun film o sceneggiato ("Il cuore nel pozzo" non è stato mai più replicato), rarissimi servizi nei notiziari, per lo più, legati alle cronache delle cerimonie al Quirinale o nelle aule consiliari di pochi comuni, con sporadiche (o nulle) presenze nei talk show.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Giornata del Ricordo, ha espresso concetti inequivocabili: "Le foibe furono un capitolo buio della storia nazionale e internazionale, che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente. Non si trattò, come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato ad insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni".
Sono trascorsi quasi ottanta anni da quando 350mila giuliano-dalmati sopravvissuti agli eccidi comunisti, abbandonarono con ogni mezzo la loro amata terra, sperimentando la tragedia dello sradicamento totale e collettivo. La maggior parte di loro è morta senza avere non dico giustizia, ma almeno il sacrosanto diritto di veder riconosciuto il proprio immane sacrificio.
E sapete a cosa porta il non sapere? A quello che è accaduto qualche anno fa, alla vigilia del "Giorno del Ricordo", allorquando fu danneggiata, da pavidi idioti, la lapide commemorativa dedicata ai martiri delle Foibe fatta apporre meritoriamente, nel 2010, dall'Amministrazione Comunale guidata dal Sindaco Nicola Maffei in via Manfredi sulla facciata dell'ex Caserma Stennio, prossima sede dell'Archivio di Stato di Barletta, all'interno della quale nel 1949 furono ospitati i profughi provenienti dalle terre Dalmate-Giuliane, scampati alla pulizia etnica messa in atto dal dittatore comunista Tito.
Mi chiedo come sia possibile che (e la situazione mi rattrista ed indigna), almeno in questi casi, non si metta da parte la propria idea politica e si lasci spazio solo al rispetto e al ricordo di stragi assurde e inconcepibili le quali vanno doverosamente ricordate affinchè non si permetta l'oltraggio di dimenticare tutto, per colpa dell'esecrabile oblio dell'indifferenza. Eppure sono nella storia i flussi di profughi rifugiatisi a Barletta, come gli abitanti di Canne, trasferitisi nel 1083 per sfuggire alla distruzione della cittadella da parte di Roberto il Guiscardo e stabilitisi in quello che oggi è il rione San Giacomo.
I principali campi dell'Italia meridionale si trovavano in Puglia, dove i profughi giungevano spesso attraverso una seconda via clandestina che consisteva nell'attraversare l'Adriatico partendo dalla Jugoslavia con piccole imbarcazioni e che fu sfruttata soprattutto dopo il novembre 1945, quando l'inverno troppo freddo rese inaccessibili i valichi alpini. Nelle vicinanze di Bari erano attivi i campi di Barletta, Trani, Palese ed uno nella stessa città di Bari.
Si possono identificare due momenti principali: una prima fase, fino al 1950, in cui è prevalente la presenza di profughi, provenienti da diversi Paesi europei, soprattutto Polonia ed ex Jugoslavia. La gran parte di questi profughi era ebrea. Alla data del 31 marzo 1948, gli Ebrei presenti nei campi profughi italiani erano 19.084: di questi ben 1.968 si trovavano a Barletta. Una seconda fase, fra il 1951 e il 1954, in cui è prevalente la presenza di profughi di lingua italiana, provenienti dall'Etiopia, dalla Grecia, dalla Turchia, dall'Istria. La gran parte di questi profughi erano Giuliano - Dalmati.
La prima fase è legata ad un sito ben preciso: il DP camp n. 3 bl, ovvero la Caserma "R.Stella" sita in via Andria. La seconda fase è legata al Centro Raccolta Profughi sito in via Manfredi, dove si trovavano le Caserme "Stennio", ancora esistente e "Fieramosca" abbattuta agli inizi degli anni '60.
Tra gli stranieri inviati nei campi, si vennero a trovare anche alcuni ebrei reduci dai lager nazisti. Questi si trovarono a condividere le stesse baracche con ex criminali di guerra e collaborazionisti dei nazifascisti. Nonostante le proteste delle associazioni ebraiche, per diversi mesi, rimasero internati nel campo.
Inizialmente i profughi furono posti sotto la giurisdizione alleata, mentre la gestione del campo dipendeva dalle autorità italiane. Verso la fine del 1946, anche il controllo degli stranieri passò definitivamente sotto le autorità italiane.
Le condizioni di vita furono assai complesse. In pochi mesi il "Centro" di Barletta, che aveva superato le cinquecento presenze, divenne una piccola cittadella cosmopolita dove furono costretti a vivere coattamente uomini e donne provenienti da oltre venticinque nazioni diverse. La promiscuità e i disagi dovuti all'ozio forzato e alle precarie condizioni igienico sanitarie, resero la vita a molti di essi assai dura.
Con il passare del tempo, i campi andarono via via svuotandosi sino ad arrivare alla definitiva chiusura avvenuta alla fine degli anni cinquanta.
Coltivare la memoria di quanto è accaduto è indispensabile per ristabilire la verità storica. E a questo, penso gioverà ricordare i nomi dei 20 barlettani infoibati: Antonucci Francesco, Ardito Giovanni, Capolongo Francesco Paolo, Cortellino Angelo, Delvecchio Antonio, Delvecchio Francesco, Donvito Angelo, Gaeta Vitantonio, Gargano Sabino, Giannini Francesco, Giuliano Gennaro, Goffredo Giovanni, Lionetti Vincenzo, Marzocca Ruggiero, Paolicelli Michele, Rendina Luigi, Sciominio Francesco, Scommegna Francesco, Sfregola Cosimo Damiano e Surdi Giovanni.
Un ultimo pro memoria qualora dovesse essere sfuggito a qualcuno: gli Istriani, oltre ad essere Persone erano Italiani … o qualcuno lo ignora?».
Michele Grimaldi, Direttore Archivio di Stato di Bari Barletta e Trani