Cara Barletta ti scrivo
Mascherina sul colosso di Barletta: arte o gesto da condannare?
«Occorre tutelare la statua», una lettera a difesa di Arè
mercoledì 18 marzo 2020
12.26
«Ieri in Rete sono state diffuse fotografie che mostravano il Colosso di Barletta, monumentale statua in bronzo nota col nome di Eraclio, con il volto coperto da una mascherina anticontagio. Dato il momento, un artista barlettano ha pensato di poter approfittare della situazione per proporre la sua idea di arte, salendo (autorizzato o meno) sino al volto della statua bronzea e vituperandola con una sorta di assorbente facciale. Il suo intento, forse nobile, di sensibilizzare l'opinione pubblica locale a prendere le precauzioni necessarie contro il COVID-19, è fallito nello stesso momento in cui egli stesso, per ottemperare al suo gesto, ha dovuto infrangere le regole imposte dal DPCM dell'11 marzo 2020 e da diverse ordinanze sindacali che impongono agli italiani e ai barlettani di non uscire di casa e di seguire il regime di parziale limitazione alla mobilità imposto per il bene comune. Un regime al quale il popolo italiano sta reagendo in modo composto, anche durante i flashmob più rumorosi, anche quando, per esorcizzare paura e noia, molti cittadini hanno animato le loro serate con musica, canti e rumore, partecipando ciascuno a modo proprio a iniziative spontanee nazionali.
In questo quadro, però, un giovane cittadino ha pensato (male) che fosse possibile usare una parte importante e identitaria del patrimonio monumentale locale per lanciare un messaggio e, al contempo, per farsi pubblicità. Su alcune bacheche Facebook gente che non conosce il valore e le problematiche conservative del Colosso, ha esaltato questa "azione di guerrilla comunicativa", in un certo qual modo chiarendo che non di arte si tratta ma di comunicazione. La differenza è sostanziale, e ci è stato chiaro sin da subito.
Il paragone che molti stanno facendo da ieri con la celebre azione di Marcel Duchamp sulla Gioconda è infatti improprio, per molti motivi. L'artista dadaista, disegnando i baffi sul volto della donna leonardiana, intendeva in quel modo onorare l'opera di Leonardo dissacrandola, rendendola più conforme al presente e, per questo, compiendo un'azione anticonformista rispetto al senso artistico comune. Ma egli non pensò nemmeno per un minuto di disegnare quei baffi sul quadro originale, riconoscendone il valore di capolavoro dell'arte universale, ma operò su una riproduzione fotografica della tela leonardiana. Allo stesso modo sarebbe stato salutato diversamente un intervento fatto su una riproduzione del Colosso, da far girare in Rete o da affiggere su manifesti e per le strade della città. E un primo banale punto di differenza che, però, sottende un dato preciso: quale considerazione abbiamo, noi barlettani per primi, della statua elevata su Corso Vittorio Emanuele? Ne conosciamo il valore simbolico e artistico, o la guardiamo solo come un elemento dell'arredo urbano e, per questo, in ogni momento modificabile? Eraclio fu elevato in stretta connessione con la Basilica del Santo Sepolcro, alla metà del Trecento, forse su precise disposizioni dei sovrani angioini che, con quell'azione, desideravano completare la ristrutturazione della cosiddetta "platea magna" della città, da quel momento divenuta il centro del potere civile e religioso di Barletta. Lì si svolgeva la fiera di San Martino, si amministrava la giustizia, si riconosceva, attraverso il volto del Colosso, il legame della città con la corona e con la Terra Santa. Lì fu eretto il sedile del popolo, luogo nel quale per secoli una parte della politica locale fu chiamata a prendere decisioni utili al bene della collettività, sotto lo sguardo severo dell'imperatore bizantino e della protezione della reliquia del Santo Legno della Croce venerata nella Basilica del Santo Sepolcro, cui la statua è legata da un filo diretto.
Ci domandiamo, dunque: quale senso artistico, quale creatività ha, invece, un gesto come quello di mettere la mascherina al Colosso, spacciandolo per una forma d'arte? È una domanda che ci poniamo, convinti, infatti, che l'autore di un gesto simile non comprenda in alcun modo il valore sacrale del manufatto di corso Vittorio Emanuele, la sua estrema debolezza statica, il pericolo che un precedente simile possa sdoganare azioni e gesti simili da parte di chiunque voglia in futuro utilizzare il patrimonio monumentale cittadino a fini personali, di lucro o di semplice e mera pubblicità. Ciò è tanto più grave se non si considera quanto un gesto del genere possa essere pericoloso per l'incolumità del delicatissimo manufatto e per quella dello stesso autore del gesto.
Si dirà: in passato la statua è già stata oggetto di atti di questo tipo. Circola una foto delle feriae matricularum degli anni Sessanta, con un gruppo di buontemponi che si lasciarono immortalare ai piedi del Colosso dopo avergli messo in testa una feluca, il cappello a punta simbolo dei goliardi; oppure molti ricordano ancora la sciarpa biancorossa che fu sistemata sul collo di Eraclio durante la festa per la promozione del Barletta in serie B, o il cartello appesogli al collo da un gruppo di attiviste locali. È vero, in passato è successo, ma ciò non significa che debba essere tollerato o giustificato. Si tratta, semmai, di precedenti che, pur guardati da alcuni con occhi nostalgici, dovrebbero indurre a educare le generazioni future a evitare gesti simili e non a lasciar loro pensare che un bronzo del secolo VI d.C. possa essere trattato come un qualsiasi soprammobile della propria casa. È aberrante l'idea che del nostro patrimonio pubblico e monumentale chiunque possa fare ciò che vuole e scambiare un intervento invasivo e pericoloso per se stessi e per il monumento come un fatto goliardico o, peggio, come un'idea creativa o artistica.
Si dimentica, inoltre, in tutto questo, un'altra cosa importante. Il particolare momento che stiamo attraversando dovrebbe spingerci a riservare maggiore rispetto, pur nella volontà di esorcizzarla anche in modo goliardico, nei confronti della sofferenza e della morte, anche quando esse siano apparentemente lontane e non sembrino toccarci direttamente. Anche per questo le nostre Associazioni desiderano in modo netto dissociarsi da questa azione, in rispetto per quelle comunità del Nord Italia e dei molti barlettani che vi risiedono, alcuni dei quali sono medici, operatori sanitari e volontari, impegnati in prima linea nelle corsie degli ospedali di Bergamo, Codogno, Brescia, Milano ecc..
Oggi il Colosso è, tra le grandi statue tardoantiche che sono giunte sino a noi dal passato, l'unica ancora esposta all'esterno, alle azioni corrosive degli agenti atmosferici e dell'inquinamento, all'azione violenta che su di essa può muovere l'uomo. A seguito dunque di questo ennesimo atto violento nei confronti del manufatto, rispetto al quale auspichiamo che le autorità competenti agiscano in modo sanzionatorio, desideriamo che l'Amministrazione pubblica promuova azioni concrete per la sua valorizzazione e per la corretta educazione delle generazioni future alla sua comprensione».
Victor Rivera Magos, storico Università della Basilicata
Luciana Doronzo Touring Club Italiano
Pietro Doronzo per ArcheoBarletta
Francesco Violante, storico Università di Foggia, per Associazione del Centro Studi Normanno- Svevi
Raffaele Lopez per Sigea
Luisa Filannino per Associazione Virgilio
Luisa Derosa, storica dell'arte Università di Bari
Ruggiero Doronzo, Dottore di ricerca Università di Bari e storico dell'arte
Erica Davanzante, The Walkers
Marco Bruno, The Walkers
Alessandro Cascella, The Walkers
Simona Falcetta, The Walkers
Maurizio Triggiani, storico dell'arte Associazione del Centro degli Studi Normanno -Svevi
Giulia Perrino, storica dell'arte Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Massimo Ambruoso, storico Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Marco Campese, archeologo Università di Bari
In questo quadro, però, un giovane cittadino ha pensato (male) che fosse possibile usare una parte importante e identitaria del patrimonio monumentale locale per lanciare un messaggio e, al contempo, per farsi pubblicità. Su alcune bacheche Facebook gente che non conosce il valore e le problematiche conservative del Colosso, ha esaltato questa "azione di guerrilla comunicativa", in un certo qual modo chiarendo che non di arte si tratta ma di comunicazione. La differenza è sostanziale, e ci è stato chiaro sin da subito.
Il paragone che molti stanno facendo da ieri con la celebre azione di Marcel Duchamp sulla Gioconda è infatti improprio, per molti motivi. L'artista dadaista, disegnando i baffi sul volto della donna leonardiana, intendeva in quel modo onorare l'opera di Leonardo dissacrandola, rendendola più conforme al presente e, per questo, compiendo un'azione anticonformista rispetto al senso artistico comune. Ma egli non pensò nemmeno per un minuto di disegnare quei baffi sul quadro originale, riconoscendone il valore di capolavoro dell'arte universale, ma operò su una riproduzione fotografica della tela leonardiana. Allo stesso modo sarebbe stato salutato diversamente un intervento fatto su una riproduzione del Colosso, da far girare in Rete o da affiggere su manifesti e per le strade della città. E un primo banale punto di differenza che, però, sottende un dato preciso: quale considerazione abbiamo, noi barlettani per primi, della statua elevata su Corso Vittorio Emanuele? Ne conosciamo il valore simbolico e artistico, o la guardiamo solo come un elemento dell'arredo urbano e, per questo, in ogni momento modificabile? Eraclio fu elevato in stretta connessione con la Basilica del Santo Sepolcro, alla metà del Trecento, forse su precise disposizioni dei sovrani angioini che, con quell'azione, desideravano completare la ristrutturazione della cosiddetta "platea magna" della città, da quel momento divenuta il centro del potere civile e religioso di Barletta. Lì si svolgeva la fiera di San Martino, si amministrava la giustizia, si riconosceva, attraverso il volto del Colosso, il legame della città con la corona e con la Terra Santa. Lì fu eretto il sedile del popolo, luogo nel quale per secoli una parte della politica locale fu chiamata a prendere decisioni utili al bene della collettività, sotto lo sguardo severo dell'imperatore bizantino e della protezione della reliquia del Santo Legno della Croce venerata nella Basilica del Santo Sepolcro, cui la statua è legata da un filo diretto.
Ci domandiamo, dunque: quale senso artistico, quale creatività ha, invece, un gesto come quello di mettere la mascherina al Colosso, spacciandolo per una forma d'arte? È una domanda che ci poniamo, convinti, infatti, che l'autore di un gesto simile non comprenda in alcun modo il valore sacrale del manufatto di corso Vittorio Emanuele, la sua estrema debolezza statica, il pericolo che un precedente simile possa sdoganare azioni e gesti simili da parte di chiunque voglia in futuro utilizzare il patrimonio monumentale cittadino a fini personali, di lucro o di semplice e mera pubblicità. Ciò è tanto più grave se non si considera quanto un gesto del genere possa essere pericoloso per l'incolumità del delicatissimo manufatto e per quella dello stesso autore del gesto.
Si dirà: in passato la statua è già stata oggetto di atti di questo tipo. Circola una foto delle feriae matricularum degli anni Sessanta, con un gruppo di buontemponi che si lasciarono immortalare ai piedi del Colosso dopo avergli messo in testa una feluca, il cappello a punta simbolo dei goliardi; oppure molti ricordano ancora la sciarpa biancorossa che fu sistemata sul collo di Eraclio durante la festa per la promozione del Barletta in serie B, o il cartello appesogli al collo da un gruppo di attiviste locali. È vero, in passato è successo, ma ciò non significa che debba essere tollerato o giustificato. Si tratta, semmai, di precedenti che, pur guardati da alcuni con occhi nostalgici, dovrebbero indurre a educare le generazioni future a evitare gesti simili e non a lasciar loro pensare che un bronzo del secolo VI d.C. possa essere trattato come un qualsiasi soprammobile della propria casa. È aberrante l'idea che del nostro patrimonio pubblico e monumentale chiunque possa fare ciò che vuole e scambiare un intervento invasivo e pericoloso per se stessi e per il monumento come un fatto goliardico o, peggio, come un'idea creativa o artistica.
Si dimentica, inoltre, in tutto questo, un'altra cosa importante. Il particolare momento che stiamo attraversando dovrebbe spingerci a riservare maggiore rispetto, pur nella volontà di esorcizzarla anche in modo goliardico, nei confronti della sofferenza e della morte, anche quando esse siano apparentemente lontane e non sembrino toccarci direttamente. Anche per questo le nostre Associazioni desiderano in modo netto dissociarsi da questa azione, in rispetto per quelle comunità del Nord Italia e dei molti barlettani che vi risiedono, alcuni dei quali sono medici, operatori sanitari e volontari, impegnati in prima linea nelle corsie degli ospedali di Bergamo, Codogno, Brescia, Milano ecc..
Oggi il Colosso è, tra le grandi statue tardoantiche che sono giunte sino a noi dal passato, l'unica ancora esposta all'esterno, alle azioni corrosive degli agenti atmosferici e dell'inquinamento, all'azione violenta che su di essa può muovere l'uomo. A seguito dunque di questo ennesimo atto violento nei confronti del manufatto, rispetto al quale auspichiamo che le autorità competenti agiscano in modo sanzionatorio, desideriamo che l'Amministrazione pubblica promuova azioni concrete per la sua valorizzazione e per la corretta educazione delle generazioni future alla sua comprensione».
Victor Rivera Magos, storico Università della Basilicata
Luciana Doronzo Touring Club Italiano
Pietro Doronzo per ArcheoBarletta
Francesco Violante, storico Università di Foggia, per Associazione del Centro Studi Normanno- Svevi
Raffaele Lopez per Sigea
Luisa Filannino per Associazione Virgilio
Luisa Derosa, storica dell'arte Università di Bari
Ruggiero Doronzo, Dottore di ricerca Università di Bari e storico dell'arte
Erica Davanzante, The Walkers
Marco Bruno, The Walkers
Alessandro Cascella, The Walkers
Simona Falcetta, The Walkers
Maurizio Triggiani, storico dell'arte Associazione del Centro degli Studi Normanno -Svevi
Giulia Perrino, storica dell'arte Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Massimo Ambruoso, storico Associazione del Centro degli Studi Normanno-Svevi
Marco Campese, archeologo Università di Bari