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La città

Un racconto per celebrare l'estate: la firma è del professore barlettano Giuseppe Lagrasta

Una pagina dedicata all'estate a cura del Presidente del Comitato Dante Alighieri di Barletta

L'estate di un tempo che fu, i giochi semplici sotto il sole per ore, i tuffi dal Trabucco e i baci al sapore di sale. Per celebrare Ferragosto, condividiamo un racconto a firma del professore barlettano Giuseppe Lagrasta, Presidente del Comitato Dante Alighieri di Barletta.

Agosto, il Mare Adriatico e il suono dei tamburelli

Il vicolo dove abitavo distava circa cinquecento metri dal mare. Uscivamo di casa io e Jack, con le madri a lavoro nei campi, e noi soli che andavamo al mare. Eravamo già pronti. Indossavamo soltanto il costume da bagno. A duecento metri dal mare c'era un terreno incolto. Dove si giocava a pallone, dove si correva e gridava fino a tarda sera. Spesso anche le ragazze giocavano con noi a palla avvelenata o al salto con la corda. Sally non aveva paura di niente e spesso tirava a calci a un pallone con le altre amiche. Ma poi doveva correre perché si faceva tardi. Sally sapeva nuotare ed era già al mare quando arrivavamo sudati e arrabbiati perché le nostre madri nella fretta del mattino, avevano dimenticato di lasciare sul tavolo da cucina le dieci lire per comprare la nutella.
Quindi niente colazione. Un bicchiere di latte freddo e la fuga verso il mare. Sally se ne veniva al mare con un libro. La guardavamo di sottecchi. Forse con una certa invidia. Solo che non ci pensavamo più di tanto. Eravamo in seconda media. Sally era la più brava della classe e spesso ci aiutava a fare i compiti. Avevamo la stessa età ma sembrava molto più grande di noi. Era bella Sally e aveva occhi azzurri, capelli color oro e noi due ch'eravamo già cotti di lei.
Una volta Sally ci mostrò un libro di favole. Un'altra volta ci parlò di un romanzo di avventure, il protagonista era "Ivanhoe". Poi ci parlò del romanzo, "Il gran sole di Hiroshima", e ancora di "Robinson Crusoe" e di "Moll Flanders". La madre di Sally era al mare con noi, e tutte le mattine ci offriva della frutta fresca. E poi Sally aveva i tamburelli e noi dimenticandoci del caldo, del mare, del sole e perfino di Sally, giocavamo per ore e ore.
Poi la madre di Sally si ammalò. E per un certo tempo di Sally non si seppe più nulla. Non usciva più di casa. Aiutava la madre nelle faccende domestiche e le faceva compagnia. E noi che non sapevamo come fare per incontrarla.
Mentre agosto volgeva al termine, una bella mattina Sally apparve sulla spiaggia in compagnia della nonna. Sally aveva degli occhioni tristi che le divoravano il viso. Ma prese a giocare a tamburelli con me. Anche la nonna ci preparava la frutta fresca. Le nostre mamme andavano a lavorare nei campi e tornavano distrutte dal sole ma innamorate della vita. Dicevano la sera, sedute al fresco sull'uscio di casa che la vita era sorte e malasorte e che occorreva combattere.
La madre di Sally non c'era più e noi non sapevamo come fare per parlarne con Sally che ormai parlava poco e diceva soltanto: "Ulisse, il sole è amaro questa mattina, com'è amaro. Vero?" E io non sapendo cosa dire, annuivo. Ma una mattina, mentre eravamo in mare, tra le onde, baciai Sally. Le sue labbra sapevano di sole e di sale. "Michelangelo, Michelangelo! Facciamo attenzione." Riuscii anche ad abbracciarla, ma era già lì, pronta nonna Luisa che sorridendo apostrofò: "Ciao, guagliò, piano piano, ragazzino, non esageriamo. Insomma, perché ti chiamano Ulisse tu che ti chiami Michelangelo?" E io risposi: "Mi chiamano così perché ho avuto un cane chiamato Argo. Il nome del mio cane fu scelto da tutta la classe con l'aiuto della prof. di Italiano. E da quel momento fui Ulisse per tutti. Ma chiamare Ulisse un ragazzino è una cosa un po' strana, almeno per me. Forse Michelangelo è più bello!" – rispose Ulisse -. Ma io non ci faccio più caso - aggiunse -. " "Fai bene, fai bene Michelangelo! – aggiunse Sally. – Fai bene. Te ne devi infischiare." -. E la nonna, salutando Ulisse gli diede un buffetto sulla guancia. I giorni passavano e Ulisse si divertiva sempre più sul mare con Jack e gli altri amici del vicolo. Spesso andava con loro sul Trabucco a Levante, per fare i tuffi. E allora, in un momento di solitudine, tra le ombre del Trabucco, sognava un'altra vita, un'altra sorte: pensava a Sally e a quando avrebbe potuto sposarla.
Poi, un giorno Sally gli regalò i suoi tamburelli. E scomparve. Argo era scappato e io e Jack aspettavamo l'inizio dell'anno scolastico per incontrare Sally. Un pomeriggio nonna Luisa ci lesse una lettera che Sally ci aveva indirizzato: "Caro Ulisse, caro Jack, - scriveva - sono a casa di zia Margherita, sulla Murgia. Qui tutto è silenzio. Ci sono gatti e cani, silenziosi. E le pietre viventi. E gli alberi d'ulivo che mi parlano e mi raccontano di anni e di secoli. Poi ho i miei libri. Sento la mancanza del mare e, anche la vostra. Tornerò per la scuola. E tu Ulisse, leggi i libri che ho lasciato per te, salutando tua madre. E tu, Jack leggi le favole, fanno bene al cuore e accendono luci.
All'inizio dell'anno scolastico di Sally non c'era nessuna traccia. Nei giorni precedenti Ulisse e Jack avevamo visto la nonna di Sally dirigersi verso la stazione ferroviaria con una grossa valigia, in compagnia di un uomo, che a sua volta, trascinava un valigione, pesantissimo. Di Sally più nessuna traccia. Le nostre mamme dissero che il padre della nostra amica era andato a cercare lavoro al Nord, tra Torino e Milano. Altri dicevano che si trovava in Belgio o in Francia. E aveva deciso di rimanerci. Così la ragazza e la nonna lo avrebbero seguito. E di Sally ci rimasero i libri e i tamburelli, i suoi occhi azzurri e i capelli d'oro.

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