La città

Un giorno da rom tra le strade di Barletta

Storie di ordinaria povertà, tra minacce e sfruttamenti. Piccole grandi tragedie che ci sfiorano tutti i giorni

Ore 6:52 di un solito e anonimo giorno di luglio. Il treno regionale proveniente da Foggia stranamente giunge puntualmente al primo binario, dall'ultimo vagone escono fuori quasi a volersi sprigionare nella realtà che ci circonda, mentre altri proseguono verso Bari, per altri ancora - trovati senza biglietto dal controllore - il viaggio finirà anche prima, ma va bene così.

Ecco, la giornata di un rom a Barletta inizia alle ore sette nella stazione di Barletta. Ci fingiamo passeggeri in attesa di prendere il prossimo treno, ma in realtà siamo alla stazione di Barletta per iniziare la nostra giornata da rom.

In meno che non si dica invadono lo scorcio di stazione dove è ubicato il bar: alcuni si lavano il viso alla fontanella, altri entrano nel bar (sotto lo sguardo quasi sbigottito di alcuni studenti che magari la colazione non se la possono permettere) ed escono con sacchetti pieni di cornetti e cappuccini. Segue quindi la distribuzione a destra e a manca della roba presa.

Le donne nel frattempo provvedono a rendere presentabili i bimbi più piccoli, alcuni sono un po' vivaci. Si avvicina un uomo con una busta, da cui tira fuori quelle che all'apparenza possono sembrare delle normali pillole (magari il piccolo sta poco bene), solo in un secondo momento il bimbo inizia a calmarsi: forse quelle pillole sono sonniferi o tranquillanti. Questo è ciò che ci conferma un ragazzino dal braccio amputato, che ogni volta si presenta con un nome diverso.

La sosta nell'ingresso della stazione dura all'incirca mezz'ora, qualcuno ripartirà su uno dei tanti regionali che vanno e vengono verso Bari e Foggia, ma gran parte di loro vivranno la giornata tra le vie di Barletta.

Tra le tante facce, individuo alcuni tizi che danno istruzioni ai più piccini tra sguardi minacciosi e calde raccomandazioni, il tutto mentre con un tacito sguardo quei ragazzini sembrano rispondere "obbedisco". Altri tirano fuori improbabili violini e fisarmoniche, fingono di provare, ma in realtà non sanno suonare quei strumenti anche se il loro fare da musicisti professionisti può trarre in inganno, soprattutto quando cercano di accordare i loro strumenti, da cui verrà fuori il solito suono stonato.

Poi la giornata ha inizio. L'esercito dei rom parte alla conquista di Barletta, ognuno prende direzioni diverse, alcuni li ritroveremo dinanzi ai semafori di Via Foggia, altri vicino ai semafori del vecchio ospedale, altri ancora dinanzi ai semafori del Palazzo di città, dinanzi ai supermercati, dinanzi all'ingresso delle chiese, insomma ovunque e in ogni dove.

Io decido di seguire il ragazzino con il braccio amputato, è una mia vecchia conoscenza, di lui so già tanto, compreso quel braccio perso per via di un camion che lo investì mentre chiedeva l'elemosina ad un incrocio nella città di Foggia circa un paio di anni fa.
Lui finge di non sapere che io lo sto seguendo, mentre io fingo di non sapere che lui mi ha scoperto, il tutto mentre i "gentili" inviti ad allontanarsi non tardano ad arrivare dai negozianti, dai titolari di bar e supermercati.

La loro è un'invasione silenziosa nelle viscere di Barletta, sembrano muoversi tra l'odio e il disprezzo della gente a cui rispondono con quel loro sorriso sornione, una via di mezzo tra l'irriverente e l'innocente.

Un briciolo di compassione però non è difficile da trovare, anche se sembra essere merce rara in una Barletta attanagliata da mille problemi, da mille stress quotidiani.

La loro parola d'ordine è "soldi". Rifiutano qualsiasi forma di carità alternativa. Il ragazzino dal braccio amputato mi dirà in seguito che ognuno di loro deve racimolare durante la giornata per lo meno 100 euro, almeno per evitare brutte ritorsioni. Ecco quindi che il panino farcito che la signora gli ha gentilmente comprato al supermarket, dopo qualche morso viene buttato in un cassonetto subito dopo aver girato la strada.

Non c'è bar che non passino a setaccio, così come non c'è supermarket che non gli sfugge. Dal quartiere Settefrati al quartiere Borgovilla, da Santa Maria alla 167. Non c'è incrocio, non c'è semaforo che non veda la loro mano tesa, mentre sui loro visi si intravedono tracce di una vita che non ha bisogno di libri e banchi di scuola.

Il caldo mette a duro qualsiasi comune mortale, mentre per loro è solo un dettaglio. Nonostante tutto riescono anche a sorridere fra di loro, sembrano avere poco o niente, sembrano accontentarsi di quella vita fatta senza regole, almeno così sembra.

La loro giornata prosegue tra i banchi di una chiesa, tra gli ombrelloni di una spiaggia, tra i tavolini dei tanti bar che prendono il sole sotto il cielo della nostra Barletta.

La giornata giunge così al termine: alcuni prendono la via del ritorno, il ragazzino che abbiamo seguito - per esempio - incontrerà alla stazione un uomo di circa cinquant'anni, e con l'unica mano rimasta tirerà fuori una busta piena di spiccioli e gliela consegnerà. Ora il ragazzino dal braccio amputato rimarrà qui a Barletta a "godersi" la movida barlettana, entrando e uscendo dalle pizzerie ora con un pezzo di pizza, ora con una porzioni di patatine fritte: lui ne va ghiotto, questo lo ricordo bene.
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