Territorio
Trivellazioni nel nostro mare, «resistere o assecondare le multinazionali del petrolio?»
La riflessione del geologo e professore barlettano Dellisanti
Barletta - lunedì 24 agosto 2015
«Quale pugliese e docente di geografia economica, desidero dare il mio contributo all'informazione oggettiva e all'analisi riflessiva su di una problematica particolarmente importante, per il futuro di tutti noi qual è la possibile trivellazione del mare Adriatico, antistante le nostre coste, per ricerche petrolifere». Incalza sul freschissimo tema anche il professore barlettano e geologo Ruggiero Maria Dellisanti, che espone punto per punto le sue idee sull'argomento:
1) Nel nostro ordinamento giuridico tutto quello che si trova nel sottosuolo e nel soprasuolo appartiene allo Stato. Tutti possono richiedere di effettuare una ricerca per l'estrazione di fluidi o sostanze solide dal sottosuolo e una volta accertata la presenza pagare gli oneri concessori. In particolare, in Italia, i giacimenti di idrocarburi sono patrimonio indisponibile dello Stato (articolo 826 c.c.). Quello che accade in Texas o nei paesi arabi appartiene ad altro diritto.
2) Lo Stato, per ragioni d'interesse nazionale, non può vietare la richiesta di ricerca e la successiva estrazione, perché se ciò avvenisse si troverebbe esposto a ritorsioni internazioni ad opera delle cosiddette " sette sorelle ", cioè delle principali multinazionali del petrolio, tra le quali spiccano l'inglese BP, il gruppo anglo olandese della Shell, le statunitensi Esso, Chevron, Mobil Oil, la Gulf Oil e la Texaco. Se il nostro governo dovesse impedire la ricerca e l'estrazione di petrolio le compagnie petrolifere, alleate in un cartello, potrebbero decidere di non venderci più petrolio, con immaginabili conseguenze in una società occidentale "drogata" dal petrolio.
3) Non può esserci un percorso monopolistico che privilegi la nostra compagnia petrolifera, rispetto ad altre ma essa deve sottostare alla concorrenza internazionale;
4) Il tratto interessato dalla ricerca rientra entro il limite delle acque territoriali (dodici miglia), meno profondo rispetto alle acque internazionali del mare Adriatico e quindi più conveniente rispetto alle zone centrali delle acque internazionali. Se proprio si riuscisse a bloccare l'estrazione e tutto dovesse essere vietato, il problema esisterebbe ancora poiché basterebbe spostarsi appena oltre il limite delle acque territoriali e piazzare la piattaforme petrolifera, senza particolari vincoli.
5) La parte centro meridionale del mare Adriatico si trova nelle condizioni geomorfologiche ideali per la formazioni di rocce serbatoio in grado di contenere petrolio anche se i sedimenti sono relativamente giovani. I primi risultati indicano come queste rocce dovrebbero essere ricche di petrolio, anche se di scarsa qualità, questo significa che nel breve periodo le compagnie petrolifere potrebbero non essere interessate all'estrazione a causa degli elevati costi della raffinazione, rinviando ad altri momenti economicamente più favorevoli l'utilizzo del giacimento.
6) Ricercato ed estratto il petrolio, le compagnie pagano al possessore del suolo (lo Stato italiano) i diritti di estrazione chiamate royalties. Sempre per un tacito accordo di cartello sono le compagnie petrolifere a stabilire il valore dei diritti di estrazione e non come ci si potrebbe aspettare il contrario. Nel mercato internazionale offshore le royalties valgono tra il 7 e il 10 percento del prezzo di mercato di un barile di petrolio (168 litri).
7) In teoria, i diritti di estrazione incassati dovrebbero essere erogati a titolo di rimborso e sotto forma di servizi aggiuntivi, alle popolazioni esposte alle possibili calamità e danni ambientali cagionati dall'estrazione del fluido nero. L'esperienza della Basilicata, dove è stimata una presenza di petrolio in grado di soddisfare il 50 % del nostro fabbisogno energetico per i prossimi quindici-venti anni, ha dimostrato come per i lucani il petrolio sia diventata l'ottava calamità del libro dell'apocalisse, perché non ha portato gli auspicati benefici economici alle popolazioni rurali: l'attività estrattiva richiede personale altamente qualificato. Proprio come una delle sette piaghe bibliche il petrolio ha devastato il territorio un tempo incontaminato. Le trivellazioni, gli oleodotti, il passaggio dei mezzi pesanti, la raffineria, hanno stravolto l'unica risorsa del territorio lucano, l'ambiente. Molte abitazioni sono state lesionate per micro sismi, causati all'estrazione; le acque sotterranee sono state contaminate dai fanghi di trivellazione; l'aria è diventata irrespirabile per l'inquinamento; le piogge acide, causate dall'aumento dello zolfo immesso dai processi di raffinazione, sta decimando piante e raccolti, mentre il fenomeno migratorio che doveva arrestarsi dall'improvvisa ricchezza, è ripreso in modo consistente.
8) È innegabile, per quanto io sia un convinto sostenitore dell'utilizzo delle fonti rinnovabili, che la trasformazione del petrolio in energia elettrica oggi sia la fonte economicamente più conveniente rispetto al nucleare e alle fonti rinnovabili, (solare, eolico, geotermico, idrogeno, biomasse, talassotermico e marino), ancora molto più costose e poco convenienti. In questo bilancio costi/beneficio si omette però di considerare gli effetti devastanti sui cambiamenti climatici, prodotti dall'utilizzo dei combustibili fossili (petrolio, carbone e gas).
9) In una economia asfittica, interessata da continue crisi globali, costruita esclusivamente sulla logica del profitto e della crescita economica sempre e ad ogni costo, il petrolio a buon mercato diventa inevitabilmente uno strumento da utilizzare per poter uscire dallo stagno della crisi e dare competitività attraverso un costo energetico basso, inoltre esso rappresenta una fonte considerevole di entrata per lo Stato, quando rilascia concessioni per l'estrazione e incassa proventi dalle royalties, al quale molto difficilmente si potrà rinunciare .
A questo punto sorge spontanea la domanda: cosa fare? Rassegnarsi e assistere impassibili alle logiche delle multinazionali del petrolio? Convincere i cinque governatori regionali, presenti sulla costa adriatica (anche se il problema è principalmente della Puglia), ad allearsi per indire un referendum contro l'art. 35 del Decreto Sviluppo del 2012 ? La decisione del Consiglio provinciale della BAT, di esprimere un netto NO politico alle trivellazioni nel nostro mare, credo che sia la strada da percorrere d'intesa con tutte le forze politiche provinciali, regionali, comunali e con i movimenti spontanei, aventi il solo scopo di proteggere e tutelare le nostre coste. Imporre alle compagnie petrolifere una serie di clausole vincolanti di natura ambientale in grado di tutelare le coste, l'ambiente, l'habitat e la salute dei suoi abitanti, stabilendo vincoli, controlli e sanzioni particolarmente pesanti in caso di inosservanza, costringerebbe le compagnie a intraprendere l'attività estrattiva in piena sicurezza. Quanto è accaduto sulle coste del Messico, il 20 aprile 2010, con lo sversamento in mare dalla piattaforma petrolifera, Deepwater Horizon affiliata alla British Petroleum, di milioni di barili, deve essere da monito per evitare il ripetersi di disastri ambientali per i quali la BP è stata condannata al pagamento di 18,7 miliardi di dollari, quale risarcimento per il danno causato.
1) Nel nostro ordinamento giuridico tutto quello che si trova nel sottosuolo e nel soprasuolo appartiene allo Stato. Tutti possono richiedere di effettuare una ricerca per l'estrazione di fluidi o sostanze solide dal sottosuolo e una volta accertata la presenza pagare gli oneri concessori. In particolare, in Italia, i giacimenti di idrocarburi sono patrimonio indisponibile dello Stato (articolo 826 c.c.). Quello che accade in Texas o nei paesi arabi appartiene ad altro diritto.
2) Lo Stato, per ragioni d'interesse nazionale, non può vietare la richiesta di ricerca e la successiva estrazione, perché se ciò avvenisse si troverebbe esposto a ritorsioni internazioni ad opera delle cosiddette " sette sorelle ", cioè delle principali multinazionali del petrolio, tra le quali spiccano l'inglese BP, il gruppo anglo olandese della Shell, le statunitensi Esso, Chevron, Mobil Oil, la Gulf Oil e la Texaco. Se il nostro governo dovesse impedire la ricerca e l'estrazione di petrolio le compagnie petrolifere, alleate in un cartello, potrebbero decidere di non venderci più petrolio, con immaginabili conseguenze in una società occidentale "drogata" dal petrolio.
3) Non può esserci un percorso monopolistico che privilegi la nostra compagnia petrolifera, rispetto ad altre ma essa deve sottostare alla concorrenza internazionale;
4) Il tratto interessato dalla ricerca rientra entro il limite delle acque territoriali (dodici miglia), meno profondo rispetto alle acque internazionali del mare Adriatico e quindi più conveniente rispetto alle zone centrali delle acque internazionali. Se proprio si riuscisse a bloccare l'estrazione e tutto dovesse essere vietato, il problema esisterebbe ancora poiché basterebbe spostarsi appena oltre il limite delle acque territoriali e piazzare la piattaforme petrolifera, senza particolari vincoli.
5) La parte centro meridionale del mare Adriatico si trova nelle condizioni geomorfologiche ideali per la formazioni di rocce serbatoio in grado di contenere petrolio anche se i sedimenti sono relativamente giovani. I primi risultati indicano come queste rocce dovrebbero essere ricche di petrolio, anche se di scarsa qualità, questo significa che nel breve periodo le compagnie petrolifere potrebbero non essere interessate all'estrazione a causa degli elevati costi della raffinazione, rinviando ad altri momenti economicamente più favorevoli l'utilizzo del giacimento.
6) Ricercato ed estratto il petrolio, le compagnie pagano al possessore del suolo (lo Stato italiano) i diritti di estrazione chiamate royalties. Sempre per un tacito accordo di cartello sono le compagnie petrolifere a stabilire il valore dei diritti di estrazione e non come ci si potrebbe aspettare il contrario. Nel mercato internazionale offshore le royalties valgono tra il 7 e il 10 percento del prezzo di mercato di un barile di petrolio (168 litri).
7) In teoria, i diritti di estrazione incassati dovrebbero essere erogati a titolo di rimborso e sotto forma di servizi aggiuntivi, alle popolazioni esposte alle possibili calamità e danni ambientali cagionati dall'estrazione del fluido nero. L'esperienza della Basilicata, dove è stimata una presenza di petrolio in grado di soddisfare il 50 % del nostro fabbisogno energetico per i prossimi quindici-venti anni, ha dimostrato come per i lucani il petrolio sia diventata l'ottava calamità del libro dell'apocalisse, perché non ha portato gli auspicati benefici economici alle popolazioni rurali: l'attività estrattiva richiede personale altamente qualificato. Proprio come una delle sette piaghe bibliche il petrolio ha devastato il territorio un tempo incontaminato. Le trivellazioni, gli oleodotti, il passaggio dei mezzi pesanti, la raffineria, hanno stravolto l'unica risorsa del territorio lucano, l'ambiente. Molte abitazioni sono state lesionate per micro sismi, causati all'estrazione; le acque sotterranee sono state contaminate dai fanghi di trivellazione; l'aria è diventata irrespirabile per l'inquinamento; le piogge acide, causate dall'aumento dello zolfo immesso dai processi di raffinazione, sta decimando piante e raccolti, mentre il fenomeno migratorio che doveva arrestarsi dall'improvvisa ricchezza, è ripreso in modo consistente.
8) È innegabile, per quanto io sia un convinto sostenitore dell'utilizzo delle fonti rinnovabili, che la trasformazione del petrolio in energia elettrica oggi sia la fonte economicamente più conveniente rispetto al nucleare e alle fonti rinnovabili, (solare, eolico, geotermico, idrogeno, biomasse, talassotermico e marino), ancora molto più costose e poco convenienti. In questo bilancio costi/beneficio si omette però di considerare gli effetti devastanti sui cambiamenti climatici, prodotti dall'utilizzo dei combustibili fossili (petrolio, carbone e gas).
9) In una economia asfittica, interessata da continue crisi globali, costruita esclusivamente sulla logica del profitto e della crescita economica sempre e ad ogni costo, il petrolio a buon mercato diventa inevitabilmente uno strumento da utilizzare per poter uscire dallo stagno della crisi e dare competitività attraverso un costo energetico basso, inoltre esso rappresenta una fonte considerevole di entrata per lo Stato, quando rilascia concessioni per l'estrazione e incassa proventi dalle royalties, al quale molto difficilmente si potrà rinunciare .
A questo punto sorge spontanea la domanda: cosa fare? Rassegnarsi e assistere impassibili alle logiche delle multinazionali del petrolio? Convincere i cinque governatori regionali, presenti sulla costa adriatica (anche se il problema è principalmente della Puglia), ad allearsi per indire un referendum contro l'art. 35 del Decreto Sviluppo del 2012 ? La decisione del Consiglio provinciale della BAT, di esprimere un netto NO politico alle trivellazioni nel nostro mare, credo che sia la strada da percorrere d'intesa con tutte le forze politiche provinciali, regionali, comunali e con i movimenti spontanei, aventi il solo scopo di proteggere e tutelare le nostre coste. Imporre alle compagnie petrolifere una serie di clausole vincolanti di natura ambientale in grado di tutelare le coste, l'ambiente, l'habitat e la salute dei suoi abitanti, stabilendo vincoli, controlli e sanzioni particolarmente pesanti in caso di inosservanza, costringerebbe le compagnie a intraprendere l'attività estrattiva in piena sicurezza. Quanto è accaduto sulle coste del Messico, il 20 aprile 2010, con lo sversamento in mare dalla piattaforma petrolifera, Deepwater Horizon affiliata alla British Petroleum, di milioni di barili, deve essere da monito per evitare il ripetersi di disastri ambientali per i quali la BP è stata condannata al pagamento di 18,7 miliardi di dollari, quale risarcimento per il danno causato.