Michele Disastro Ferroviario
Michele Disastro Ferroviario
Cronaca

Strage ferroviaria della Bari-Nord, Michele "il ragazzo coraggioso" era lì

«Aureliana non poteva muoversi e mi pregava di non lasciarla sola»

Michele ha appena 16 anni ma ha la mente e l'anima di un uomo maturo. Ha appena terminato il primo anno dell'ITIS "Jannuzzi" di Andria, lo stesso istituto tecnico frequentato da Antonio Summo e Francesco Tedone, due nomi che abbiamo sentito spesso in questi ultimi giorni, due ragazzi che purtroppo sono rimasti vittime nel drammatico incidente ferroviario della Ferrotramviaria, la "Bari-Nord". Michele è uscito da quell'inferno incolume e non è un'esperienza che può essere dimenticata o sottaciuta.

Dove eri diretto tre giorni fa, quando sei salito sul treno del disastro?
«Quel treno doveva condurmi a Corato. Mi trovavo ad Andria poiché avevo appena terminato il corso di recupero di Fisica. Anche Antonio Summo frequentava il mio stesso corso. Ma non sapevo che fosse su quel maledetto treno. Avevo deciso di andare a trovare la mia ragazza e alle 10,58 sono salito sul quel treno».

Tuo fratello Francesco ha rassicurato i vostri amici e famigliari attraverso Facebook: "Michele è salvo. Per il caso fortuito, o per il più autentico e prezioso miracolo che finora abbia mai ricevuto. Riposa esausto adesso, qui accanto a me, solo dopo esser scoppiato in lacrime, accumulate e trattenute per troppe ore... uno dei pianti più strazianti a cui io abbia potuto assistere". Scrivendo della tua tragica esperienza, ha riportato le tue seguenti parole: «non riesco a descrivere quel rumore».

Quale suono aveva quel rumore?
«Credo che quel rumore assordante non lo scorderò mai. È un suono che non viene solo percepito dalle tue orecchie, ma da tutto il tuo corpo. Ascoltavo la musica in quel momento. Immagino, dunque che il suono sia stato ancora più forte rispetto a quello che ho avvertito. In molti mi hanno domandato se ricordassi quale canzone stessi ascoltando e io ho risposto loro che l'urto ha cancellato tutto».

Quando hai rivolto il tuo sguardo verso i passeggeri presenti all'interno del tuo vagone, cosa vi hai letto?
«Negli occhi degli adulti ho visto tanta paura e sgomento, mentre in quelli dei più giovani ho visto coraggio e fermezza. Noi eravamo più calmi, probabilmente solo per la nostra incoscienza».

Hai solo 16 anni, eppure hai prestato soccorso a chi aveva bisogno d'aiuto. Il tuo istinto non ti ha consigliato di fuggire da quell'inferno?
«Assolutamente no. Subito dopo lo schianto mi sono rannicchiato e ho portato le mani sul capo, come per ripararmi da qualcosa. Il nostro timore è stato che qualcosa potesse cadere dall'alto. In seguito ho lasciato la mia postazione e ho controllato che non avessi ferite. Io non avevo riportato alcun trauma fisico. C'era gente con il volto e il corpo insanguinato. Ho pensato che dovessi aiutarli».

Dopo ricordi cosa è accaduto?
«Ricordo che pochi sedili da dove mi trovavo, una donna sulla quarantina è stata scaraventata a terra, a causa dell'impatto. Riportava gravi ferite alla testa. Ricordo di aver rotto il finestrino, e di averlo preso a calci. Dovevamo far presto e andare via da lì. In quel momento ho visto una ragazza (più tardi ho scoperto il suo nome). Aureliana non poteva muoversi, era sporca di sangue e tanto spaventata. Con l'aiuto di altre persone abbiamo condotto Aureliana fuori dal vagone. Questo è stato possibile grazie all'intervento di un uomo che è riuscito a sbloccare le porte del vagone. Lei non riusciva a tenersi in piedi, non avrebbe potuto di certo abbandonare ciò che era rimasto del vagone attraverso il finestrino. Usciti dall'inferno di lamiere, la polvere ci ha assaliti. Abbiamo adagiato la ragazza in una zona d'ombra mentre mi pregava di non lasciarla sola. La sua borsa era rimasta sotto alle macerie e seppur io abbia cercato di recuperarla non ci sono riuscito. Ho avvertito io sua madre dell'accaduto. Nel frattempo sono giunti i primi soccorsi e l'elicottero l'ha condotta in ospedale a Barletta. Non molto lontano da noi, vi era un uomo sulla cinquantina disteso a terra. Era più morto che vivo e respirava a stento. Ricordo solo che un volontario si avvicinò a me e mi chiese di reggere con una mano la cannula dell'ossigeno e con l'altra di tenere alta la flebo. Mentre ero fermo davanti a quell'uomo, ho voltato lo sguardo: i corpi che giacevano inermi erano a pochi centimetri da me. Era uno scenario orribile. Subito dopo ho avuto il tempo di chiamare mio padre e di rassicurarlo. Sono stato condotto per alcuni accertamenti presso l'ospedale di Andria da due terlizzesi. Mio padre mi ha raggiunto e alle 14.30 ero a casa. Finalmente».

Quando chiudi gli occhi e ripensi a quel drammatico giorno cosa vedi?
«Nulla, solo il buio. Più che immagini quando chiudo gli occhi e cerco di riposare, mi ritorna in mente il rumore assordante dello schianto. Anche i più piccoli rumori ormai mi spaventano. Dopo che il tuo orecchio sente un rumore così forte, rimani in uno stato di ansia perenne, per tanto anche il più insignificante rumore improvviso ti fa sobbalzare».

Caparezza è uno degli artisti musicali che maggiormente apprezzi. In una sua famosa canzone intitolata: "Vieni a ballare in Puglia" scrive: «Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo paese, dove quei furbi che fanno le imprese, no non badano a spese». Ci sono state 23 vittime e 51 feriti. Chi credi debba pagare?
«Credo che questa frase possa racchiudere esattamente il mio pensiero circa tutta questa tremenda vicenda. Io non ritengo che sia giusto colpevolizzare l'operato dei macchinisti o tanto meno quello dei capi stazione. Accuso l'infrastruttura. A questo punto devono ammettere le proprie colpe e domandare perdono alle famiglie delle 23 vittime».

Perché hai voluto raccontarci la tua storia?
«Questa tragedia non deve essere semplicemente un evento da ricordare e per cui piangere. Deve infonderci un sentimento d'amore, ricordarci cosa siamo. Quando sei a un soffio dalla morte comprendi il giusto valore della vita. Io ho voluto raccontare la mia esperienza per trasmettere tutto questo».

Michele ci colpisce con la sua forza e la sua dolcezza. La madre di Michele, la signora Paola, interviene dicendomi: «io non sapevo che fosse salito su quel treno. Ero convinta che stesse tornando a casa. Quando sono stata avvisata da mio marito, il mio mondo ha cominciato pian piano a sgretolarsi. Non so se chiamarlo caso o destino. Credo che mio figlio fosse destinato a trovarsi sul quel treno. Michele doveva essere lì per aiutare Aureliana e infondere a tutti il suo grande coraggio».
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