Eventi
Riscrivere la "Locandiera": declinazioni di un mito calato nel sud dell'oggi
Secondo appuntamento con Goldoni per la compagnia "Teatro dei Borgia"
Barletta - mercoledì 23 marzo 2016
Lido Bellavista: un lido dimesso di terza classe, algido, sobriamente stuccato e calato in un infero e brutale paesaggio meridionale. Questa la proposta della compagnia Teatro dei Borgia – al secondo appuntamento del Progetto Goldoni - per La Locandiera, liberamente tratta dal capolavoro goldoniano, andata in scena al teatro Curci dal 18 al 20 marzo. Dopo Gl'Innamorati, la compagnia ha calcato nuovamente il palco del teatro cittadino, riscrivendo la commedia di un grande maestro, calandola però in un luogo imprecisato della costa pugliese, in cui i ritmi del testo originale si fondono con quelli ben più frenetici del nostro vivere quotidiano. La riscrittura appare pertanto la messinscena di una convulsa autorappresentazione del nostro tempo. A Goldoni si arriva dunque a ritroso, deragliando nella rifrazione, nella rissa linguistica tra poesia e prosa, creando un ponte tra il Settecento e la nostra modernità, tra il settentrione goldoniano e il meridione immaginato dal drammaturgo Fabrizio Sinisi, che avevamo intervistato qualche giorno prima del debutto sul palcoscenico barlettano.
Anche in questo caso indiscussa protagonista è Mirandolina, traccia archetipa di un personaggio che di mestiere però non fa più l'ostessa. Ora gestisce un lido di terza classe, frequentato da pochi uomini, le cui esistenze ruotano attorno al suo volere. Come nell'originale, la protagonista interpretata da Elena Cotugno esalta le doti di intelligenza, astuzia e spigliatezza tutta femminile, che esibisce con ammaliante e disinvolta ironia e crudeltà. In primo piano non più il conflitto tra classi sociali – come nell'originale - ma una serrata schermaglia tra sessi, incentrata nella volontà di rivalsa della donna sul misogino ospite interpretato da Giampiero Borgia. Una conflittualità di narcisismi ed egocentrismi si impadronisce della scena, che ruota attorno a sentimenti che celano manovre di interesse, dove l'amore non è altro che un gioco di contrasti tra uomo e donna. Si innesca così un gioco visibile di scene in grado di moltiplicare i cinque personaggi che con le loro storie e i loro caratteri si avvicendano sulla scena contendendosi il palcoscenico. Ognuno ha una propria autonomia e una propria cifra stilistica e contribuisce allo sviluppo della scena comica.
Lo spettacolo - diviso in due atti - ha il pregio di coniugare critica e narrazione, riscrivendo un classico del teatro italiano e rivelandone la grande modernità e dinamicità. Sembra sforzarsi di trovare le parole giuste, la chiave di volta per erigersi a portavoce dell'eterna schermaglia amorosa tra uomo e donna regalando qualche sorriso anche ai moralisti più intransigenti, che di certo avrebbero evitato qualche scelta di regia, come il nudo, seppur di spalle, dell'attore co-protagonista. Però proprio nelle dinamiche di esistenze marginali e dei molteplici risvolti dell' umano, la Locandiera rivela il meglio di sé, mostrando come nessun dettaglio – dal testo, alle musiche, ai costumi, alla scenografia – è pressapochistico o lasciato al caso. Lo spettacolo fumante di vita, crea un dialogo di rispondenze su di un rapporto che non è né pacifico né armonico ma che rivela diversi modi d'amare e le distinte possibilità dell'amore. La donna qui si fa epicentro di ogni tormento e godimento e nel finale giunge ad una scelta come da copione che lascia spazio all'immaginazione. Sarà stata quella giusta?
Anche in questo caso indiscussa protagonista è Mirandolina, traccia archetipa di un personaggio che di mestiere però non fa più l'ostessa. Ora gestisce un lido di terza classe, frequentato da pochi uomini, le cui esistenze ruotano attorno al suo volere. Come nell'originale, la protagonista interpretata da Elena Cotugno esalta le doti di intelligenza, astuzia e spigliatezza tutta femminile, che esibisce con ammaliante e disinvolta ironia e crudeltà. In primo piano non più il conflitto tra classi sociali – come nell'originale - ma una serrata schermaglia tra sessi, incentrata nella volontà di rivalsa della donna sul misogino ospite interpretato da Giampiero Borgia. Una conflittualità di narcisismi ed egocentrismi si impadronisce della scena, che ruota attorno a sentimenti che celano manovre di interesse, dove l'amore non è altro che un gioco di contrasti tra uomo e donna. Si innesca così un gioco visibile di scene in grado di moltiplicare i cinque personaggi che con le loro storie e i loro caratteri si avvicendano sulla scena contendendosi il palcoscenico. Ognuno ha una propria autonomia e una propria cifra stilistica e contribuisce allo sviluppo della scena comica.
Lo spettacolo - diviso in due atti - ha il pregio di coniugare critica e narrazione, riscrivendo un classico del teatro italiano e rivelandone la grande modernità e dinamicità. Sembra sforzarsi di trovare le parole giuste, la chiave di volta per erigersi a portavoce dell'eterna schermaglia amorosa tra uomo e donna regalando qualche sorriso anche ai moralisti più intransigenti, che di certo avrebbero evitato qualche scelta di regia, come il nudo, seppur di spalle, dell'attore co-protagonista. Però proprio nelle dinamiche di esistenze marginali e dei molteplici risvolti dell' umano, la Locandiera rivela il meglio di sé, mostrando come nessun dettaglio – dal testo, alle musiche, ai costumi, alla scenografia – è pressapochistico o lasciato al caso. Lo spettacolo fumante di vita, crea un dialogo di rispondenze su di un rapporto che non è né pacifico né armonico ma che rivela diversi modi d'amare e le distinte possibilità dell'amore. La donna qui si fa epicentro di ogni tormento e godimento e nel finale giunge ad una scelta come da copione che lascia spazio all'immaginazione. Sarà stata quella giusta?