La devozione di Barletta nella processione del Venerdì Santo. <span>Foto Cosimo Campanella</span>
La devozione di Barletta nella processione del Venerdì Santo. Foto Cosimo Campanella
Religioni

Processione del venerdì Santo a Barletta, il racconto di Michele Grimaldi

Un rito che si rinnova da secoli

La processione del venerdì Santo a Barletta, il racconto dello storico e archivista Michele Grimaldi.

Innanzitutto bisogna inquadrare, dal punto di vista religioso, la Processione del Venerdì Santo a Barletta. Il tradizionale evento religioso, una delle più antiche espressioni di fede e spiritualità della Comunità barlettana, è un momento particolarissimo per i credenti e questo significato centrale non va mai dimenticato, un momento di intensa emozione collettiva. In questa speciale occasione, in una giornata di profonda spiritualità, i barlettani riscoprono le loro radici cattoliche e la comunità si ritrova per celebrare la più grande testimonianza di fede che si vive nella nostra Città.

Infatti sono tantissimi gli elementi unici che contraddistinguono la nostra processione, un mix di spiritualità e partecipazione popolare, fede e devozione, mondo religioso e mondo laico, arte e cultura completando il mosaico di una Barletta dalla storia antica ma rivolta al futuro senza rinunciare alle proprie radici.

A questo punto è d'obbligo fare un passo indietro e spiegare la nemesi dell'evento.
Il tutto risale al voto che, la Città di Barletta, pronunziò in occasione della cessazione della peste del 1656 allorquando i nostri progenitori, vista l'incredibile virulenza del contagio, ricorsero all'unico "Benefattore" ed alla sua divina misericordia, per far si che la peste fosse debellata.

Le "cronache" dell'epoca riportarono l'inspiegabile e repentina cessazione della peste che non mieté più vittime proprio nella notte tra il Giovedì Santo e il Venerdì 21 aprile 1656 allorquando sulla Città si abbatté una nevicata di incredibile intensità mentre il corteo transitava dalle parti dell'attuale via Romania.

In seguito alla fondamentale intercessione ricevuta, non soltanto il clero ma l'intera Città di Barletta "formalizzò" il Voto di ringraziamento.
Nel rogito notarile si legge "[…] Potendo dire con verità che nelle universali miserie che affliggono in questi tempi questo regno: manus Domini tetigit nos (la mano del Signore ci ha toccato) che col flagello del contagio ha dato principio d'alcuni giorni in qua punire i nostri peccati e scelleraggini (la peste investì Barletta tra il 28 luglio 1655 e il 22 giugno 1656 la malattia uccise tra le 8000 e le 13.000 persone) […] Onde noi Sindaco (Marco Antonio Bonelli), Eletti e Deputati in nome di tutto il Pubblico […] facciamo voto e giuriamo, intendendo di obbligare a tal voto e giuramento le nostre vite e di tutti i nostri cittadini presenti e futuri, di far fabbricare un trofeo delle divine misericordie, acciò sia questa città libera dal contagio: una Cassa o una urna d'argento di valore di scudi duecento, nel quale si debba portare in processione per la città il Santissimo Sacramento il Venerdì Santo a sera ".

A proposito della "Cassa o urna d'argento" è da precisare che quella portata in processione oggi non è la stessa costruita circa mezzo millennio fa perché l'originaria "di velluto nero guarnita di argento massiccio" era servita per pagare un debito. Infatti all'indomani dei fatti avvenuti in seguito al passaggio delle truppe francesi fra marzo e aprile del 1799, fu richiesta alla municipalità barlettana, da parte del generale Sarascin, la somma di ventimila ducati, secondo quanto riferisce Monsignor Salvatore Santeramo.

Il verbale della riunione dell'Arciconfraternita del Santissimo del 15 settembre 1799, riporta che il priore, Antonio De Leone, fa sapere che "[…] l'urna donata dal confratello D. Ignazio Queralt, tutta in argento massiccio" era stata consegnata ai francesi il 20 aprile dello stesso anno a "riparazione della somma richiesta". Nella stessa riunione veniva deliberato di provvedere all'esecuzione di una nuova urna.

Dopo aver raggiunto la somma necessaria attraverso una "colletta" tra le famiglie più in vista della Città, si provvide a rifare l'urna e Camillo Elefante, nella sua "Cronaca", al giorno 11 aprile del 1800, Venerdì Santo di quell'anno, effettuava una preziosissima e dettagliata descrizione della nuova urna, portata per la prima volta in processione. Inoltre veniva ricordato ciò che era accaduto l'anno prima e conseguentemente portato alla costruzione della nuova urna ed Elefante annotava che "[…] è stata rifatta la cassa, mentre la base rimase". Questa è l'urna che ancor oggi si porta in processione e da un attento studio dei materiali specificatamente riferito ai punzoni, è scaturita l'esattezza della ricostruzione fatta dal Santeramo.

Potremmo considerare questo un semplice atto di magnanimità da parte dell'amministrazione dell'epoca se la frase fosse letta estrapolandola dal contesto del "Voto" fatto dalla "Fedelissima Città di Barletta in occasione del contagio".

Avete inteso bene perché quello di cui stiamo parlando, ma che qualcuno vorrebbe stravolgere nel suo effettivo significato, è proprio un "Voto". In ambito religioso si definisce voto una promessa fatta a Dio. La promessa è obbligante e quindi differisce dalla semplice risoluzione, che è un proposito presente di fare o di non fare delle determinate cose in futuro.

E l'aver scelto la forma della "promessa obbligante" non è stata proferita da un cittadino qualsiasi ma, come si legge nell'atto notarile, dal Sindaco.

Insomma questa manifestazione di fede profonda, non può e non deve essere considerata una semplice usanza popolare in quanto il suo vero significato è riconducibile al mistero stesso della Pasqua e della Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo in quanto il dono dell'Eucaristia, che viene portata in processione, unico caso al mondo, grazie alla Bolla di Leone X del 1517, si compirà proprio nella Passione, Morte e Resurrezione che si celebra ogni anno con il Triduo Pasquale.
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