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Pino Maniaci al TEDx di Barletta, l'intervista: «Sono un pazzo che grida nel deserto»
Le parole del giornalista siciliano, volto e padre dell'emittente Tv Telejato
Barletta - lunedì 29 agosto 2022
Tra le personalità presenti al TEDx Barletta 2022, che avrà luogo sabato 3 settembre presso il Castello Svevo di Barletta e che avrà come tema centrale la parola "tensione", ci sarà il giornalista e imprenditore Pino Maniaci: un uomo da sempre in prima linea in Sicilia contro la criminalità mafiosa.
Pino Maniaci è noto al pubblico per aver rilevato nel 1999 (o per meglio dire salvato dal tracollo economico) l'emittente televisiva siciliana Telejato, e per avere tramite quest'ultima più e più volte denunciato la pesante ingerenza delle cosche della Sicilia occidentale nella vita economica e amministrativa di territori come Corleone, Alcamo, Partinico, San Giuseppe Jato, Cinisi ecc. Naturalmente la meritoria crociata di Maniaci non poteva non essere foriera di spiacevoli conseguenze quali minacce, attentati, aggressioni da parte di quella che sempre più convenzionalmente (e quindi sempre più superficialmente) chiamiamo mafia; ma anche non poche rogne causategli da certa "antimafia". Più "tensione" di così...
Signor Maniaci, come per ogni intervista che si rispetti iniziamo con una domanda banale: a breve Lei sarà graditissimo ospite della città di Barletta per il TEDx avente come tema centrale la parola "tensione". Che cos'è la tensione per chi affronta a viso aperto Cosa Nostra?
«Le persone sottoposte a tensione possono spezzarsi. Farsi del male. Fare del male agli altri. Vivo il mio lavoro in costante tensione, nel costante timore che le mie azioni e le mie inchieste (vedi quella sulla Saguto) possano danneggiare irreparabilmente la mia famiglia, i miei collaboratori, i ragazzi che frequentano la televisione. Eppure è creando tensione che riusciamo a sollevare attenzione verso le tante storture che documentiamo e denunciamo. Posso dire che la tensione è una compagna costante e sempre presente da quando rilevai Telejato».
Sempre a proposito di "tensione", quest'anno ricorre il trentennale delle stragi di Capaci e Via D'Amelio, precedute tra l'altro dall'omicidio dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima. Una sorta di "strategia della tensione" in salsa mafiosa, peraltro vaticinata dallo stesso Giovanni Falcone in una famosa trasmissione televisiva del 1991. Che aria si respirava nella Sicilia di quegli anni prima e dopo le stragi?
«Erano gli anni in cui prevaleva la mafia militare, la mafia di Riina, la mafia che regolava i propri conti interni ed esterni attraverso l'uso massiccio del piombo. Erano gli anni in cui a Palermo i giornali contavano i morti per le strade. A cadere erano magistrati, investigatori, imprenditori che si ribellavano al pizzo. Erano gli anni in cui il patto tra la mafia e la politica si ruppe.
Erano gli anni in cui un piccolo gruppetto di magistrati ebbe la pretesa di pensare che la loro missione era servire lo Stato e difendere la Costituzione. Erano gli anni in cui ci fu un reale risveglio delle coscienze e le giovani menti facevano realmente il tifo per Falcone e Borsellino. Ma erano anche gli anni in cui menti raffinatissime tessevano la tela del depistaggio, dell'inquinamento delle acque. Erano gli anni in cui i giocatori in campo non si capiva realmente da che parte stavano. Erano gli anni in cui si preparavano delitti eccellenti e si gettavano contestualmente le basi per uccidere e seppellire, assieme agli irriducibili amanti della legalità, la verità su quelle bombe e su quelle stragi.
Erano gli anni in cui magistrati sedicenti eredi di Falcone e Borsellino, oggi in collegi blindati per la Camera e il Senato, firmavano la richiesta di archiviazione del fascicolo mafia e appalti che Borsellino inseguì fino al pomeriggio del 19 luglio del 1992, ed è tutto lì lo snodo principale di quei terribili anni».
Altra domanda banale: che cos'è la mafia? Come si diventa mafiosi?
«La mafia è una struttura parallela allo Stato. La mafia è la pretesa di pochi di governare su tutti gli altri, imporre regole, dettare condizioni, rilasciare permessi e licenze, decidere chi deve vivere e chi deve morire, chi ha torto e chi ha ragione. È la legge del più forte. È potere legislativo, esecutivo e giudiziario tutto racchiuso nelle mani di un singolo o comunque di una cupola, di una ristretta cerchia di pezzi di merda. È la negazione della democrazia. È la negazione della vita stessa.
Mafiosi si diventa perché si nasce e cresce in quei contesti, per scelta, per convinzione, per convenienze. La mafia prolifera dove lo Stato è assente, distratto, poco incisivo, incapace di tutelare e proteggere, incapace di risposte risolute, certe e rapide a quelle che sono le legittime istanze di un popolo, di un quartiere, di una borgata. Ma mafiosi si può diventare anche per caso oppure per una "forma di formaggio": e questa è la storia della breve reggenza a Partinico di Michele Seidita divenuto mafioso e successivamente capo mafia perché piacque molto ai Fardazza il suo piglio nel richiedere alla potente famiglia dei Vitale il pagamento di quella "forma di formaggio"».
In merito alle stragi e ai rapporti tra Cosa Nostra e le istituzioni, a quale "scuola di pensiero" Lei si sente più affine? Quella basata sul "papello" di Totò Riina, o quella delle "menti raffinatissime" citate da Giovanni Falcone?
«I rapporti tra pezzi corrotti dello Stato e la mafia sono ormai noti, notori e certificati da sentenze. Non dimentichiamoci che abbiamo avuto politici e funzionari di primordine che sono finiti in galere per associazione mafiosa. Non dimentichiamoci che il sistema Montante è la rappresentazione plastica, assieme alla vicenda della Saguto, di come mafia, appalti, incarichi, politica, affari sono andati e vanno ancora a braccetto. Stiamo attenti: abbiamo decapitato alcune teste, ma il sistema è ancora lì, intatto e continua a fare affari. Solo che i soldi passano da altri "conti corrente"».
Lei ha mostrato in diretta i segni di un'aggressione subita. Come hanno reagito i vostri concittadini? Ha ricevuto più attestati di solidarietà o ha prevalso l'indifferenza? Ma soprattutto, lo rifarebbe?
«Ho sempre ricevuto la solidarietà da tutto il mondo, tranne che dalla mia Partinico. A parte qualche messaggio privato di liberi cittadini, in linea di massima, da parte delle istituzioni e della politica è prevalsa l'indifferenza o tutt'al più qualche striminzito e asettico "comunicaticchio" stampa».
Rispetto al 1992 qual è il sentimento dei siciliani nei confronti di Cosa Nostra?
«È un momento pericoloso e delicato poiché prima abbiamo acceso i fari e mostrato al popolo le nefandezze di cui la mafia è capace. Abbiamo fatto vedere quanto la mafia faccia schifo e quanto essa soffochi e inquini la società. Ma purtroppo oggi siamo stati costretti a raccontare di come l'Antimafia si sia dimostrata ancora più subdola e schifosa della mafia.
Di come nel nome di Falcone e Borsellino, abbia fatto affari, "piccioli" a palate. Di come si sono costruite certe carriere . Di come si specula nei terreni confiscati alla mafia e di come si specula con i prodotti creati in quei terreni. Di come la palude dell'antimafia sia diventata mafia essa stessa tanto da rivendicare corsie preferenziali, affidamenti diretti senza bando, elargizioni di somme di denaro e sponsorizzazioni da brividi. Perfino chi porta determinati cognomi, cognomi che ci hanno rimesso la pelle per assolvere al proprio dovere, è disposto a tutto pur di avere una poltroncina alla Camera o al Senato».
Chi è Pino Maniaci?
«Pino Maniaci è uno, nessuno e centomila. Pino Maniaci è un pazzo che grida nel deserto. Pino Maniaci è un uomo con più difetti che pregi. Pino Maniaci è un uomo che ha fatto una marea di errori, che li ha accettati, pagati, scontati. Pino Maniaci è un uomo che ha vissuto la propria vita sempre al limite, senza riserva di energie, senza progettare troppo il futuro, senza cercare garanzie e sicurezze, senza guardare a ciò che è conveniente piuttosto che giusto.
Pino Maniaci accende la sua telecamera, apre il microfono e mette in onda l'audio e il video così com'è, senza filtri, senza fronzoli, senza edulcorazione alcuna. Mostriamo la verità anche quando questa ci costa le oltre 200 querele accumulate in questi anni, anche quando la verità ci è costata tonnellate di fango fino a quasi la chiusura (il riferimento è al caso Saguto ovviamente), mettiamo in onda la verità e ogni giorno siamo fieri di veder allungare la lista dei nostri amici e detrattori.
Pino Maniaci è un capriccio della Storia che troverà pace e apprezzamento solo quando passerà a miglior vita….ma fino ad allora rimarrò una spina nel fianco di tutti coloro i quali pensano di costruire le loro fortune sulle spalle della povera gente».
Pino Maniaci è noto al pubblico per aver rilevato nel 1999 (o per meglio dire salvato dal tracollo economico) l'emittente televisiva siciliana Telejato, e per avere tramite quest'ultima più e più volte denunciato la pesante ingerenza delle cosche della Sicilia occidentale nella vita economica e amministrativa di territori come Corleone, Alcamo, Partinico, San Giuseppe Jato, Cinisi ecc. Naturalmente la meritoria crociata di Maniaci non poteva non essere foriera di spiacevoli conseguenze quali minacce, attentati, aggressioni da parte di quella che sempre più convenzionalmente (e quindi sempre più superficialmente) chiamiamo mafia; ma anche non poche rogne causategli da certa "antimafia". Più "tensione" di così...
Signor Maniaci, come per ogni intervista che si rispetti iniziamo con una domanda banale: a breve Lei sarà graditissimo ospite della città di Barletta per il TEDx avente come tema centrale la parola "tensione". Che cos'è la tensione per chi affronta a viso aperto Cosa Nostra?
«Le persone sottoposte a tensione possono spezzarsi. Farsi del male. Fare del male agli altri. Vivo il mio lavoro in costante tensione, nel costante timore che le mie azioni e le mie inchieste (vedi quella sulla Saguto) possano danneggiare irreparabilmente la mia famiglia, i miei collaboratori, i ragazzi che frequentano la televisione. Eppure è creando tensione che riusciamo a sollevare attenzione verso le tante storture che documentiamo e denunciamo. Posso dire che la tensione è una compagna costante e sempre presente da quando rilevai Telejato».
Sempre a proposito di "tensione", quest'anno ricorre il trentennale delle stragi di Capaci e Via D'Amelio, precedute tra l'altro dall'omicidio dell'europarlamentare democristiano Salvo Lima. Una sorta di "strategia della tensione" in salsa mafiosa, peraltro vaticinata dallo stesso Giovanni Falcone in una famosa trasmissione televisiva del 1991. Che aria si respirava nella Sicilia di quegli anni prima e dopo le stragi?
«Erano gli anni in cui prevaleva la mafia militare, la mafia di Riina, la mafia che regolava i propri conti interni ed esterni attraverso l'uso massiccio del piombo. Erano gli anni in cui a Palermo i giornali contavano i morti per le strade. A cadere erano magistrati, investigatori, imprenditori che si ribellavano al pizzo. Erano gli anni in cui il patto tra la mafia e la politica si ruppe.
Erano gli anni in cui un piccolo gruppetto di magistrati ebbe la pretesa di pensare che la loro missione era servire lo Stato e difendere la Costituzione. Erano gli anni in cui ci fu un reale risveglio delle coscienze e le giovani menti facevano realmente il tifo per Falcone e Borsellino. Ma erano anche gli anni in cui menti raffinatissime tessevano la tela del depistaggio, dell'inquinamento delle acque. Erano gli anni in cui i giocatori in campo non si capiva realmente da che parte stavano. Erano gli anni in cui si preparavano delitti eccellenti e si gettavano contestualmente le basi per uccidere e seppellire, assieme agli irriducibili amanti della legalità, la verità su quelle bombe e su quelle stragi.
Erano gli anni in cui magistrati sedicenti eredi di Falcone e Borsellino, oggi in collegi blindati per la Camera e il Senato, firmavano la richiesta di archiviazione del fascicolo mafia e appalti che Borsellino inseguì fino al pomeriggio del 19 luglio del 1992, ed è tutto lì lo snodo principale di quei terribili anni».
Altra domanda banale: che cos'è la mafia? Come si diventa mafiosi?
«La mafia è una struttura parallela allo Stato. La mafia è la pretesa di pochi di governare su tutti gli altri, imporre regole, dettare condizioni, rilasciare permessi e licenze, decidere chi deve vivere e chi deve morire, chi ha torto e chi ha ragione. È la legge del più forte. È potere legislativo, esecutivo e giudiziario tutto racchiuso nelle mani di un singolo o comunque di una cupola, di una ristretta cerchia di pezzi di merda. È la negazione della democrazia. È la negazione della vita stessa.
Mafiosi si diventa perché si nasce e cresce in quei contesti, per scelta, per convinzione, per convenienze. La mafia prolifera dove lo Stato è assente, distratto, poco incisivo, incapace di tutelare e proteggere, incapace di risposte risolute, certe e rapide a quelle che sono le legittime istanze di un popolo, di un quartiere, di una borgata. Ma mafiosi si può diventare anche per caso oppure per una "forma di formaggio": e questa è la storia della breve reggenza a Partinico di Michele Seidita divenuto mafioso e successivamente capo mafia perché piacque molto ai Fardazza il suo piglio nel richiedere alla potente famiglia dei Vitale il pagamento di quella "forma di formaggio"».
In merito alle stragi e ai rapporti tra Cosa Nostra e le istituzioni, a quale "scuola di pensiero" Lei si sente più affine? Quella basata sul "papello" di Totò Riina, o quella delle "menti raffinatissime" citate da Giovanni Falcone?
«I rapporti tra pezzi corrotti dello Stato e la mafia sono ormai noti, notori e certificati da sentenze. Non dimentichiamoci che abbiamo avuto politici e funzionari di primordine che sono finiti in galere per associazione mafiosa. Non dimentichiamoci che il sistema Montante è la rappresentazione plastica, assieme alla vicenda della Saguto, di come mafia, appalti, incarichi, politica, affari sono andati e vanno ancora a braccetto. Stiamo attenti: abbiamo decapitato alcune teste, ma il sistema è ancora lì, intatto e continua a fare affari. Solo che i soldi passano da altri "conti corrente"».
Lei ha mostrato in diretta i segni di un'aggressione subita. Come hanno reagito i vostri concittadini? Ha ricevuto più attestati di solidarietà o ha prevalso l'indifferenza? Ma soprattutto, lo rifarebbe?
«Ho sempre ricevuto la solidarietà da tutto il mondo, tranne che dalla mia Partinico. A parte qualche messaggio privato di liberi cittadini, in linea di massima, da parte delle istituzioni e della politica è prevalsa l'indifferenza o tutt'al più qualche striminzito e asettico "comunicaticchio" stampa».
Rispetto al 1992 qual è il sentimento dei siciliani nei confronti di Cosa Nostra?
«È un momento pericoloso e delicato poiché prima abbiamo acceso i fari e mostrato al popolo le nefandezze di cui la mafia è capace. Abbiamo fatto vedere quanto la mafia faccia schifo e quanto essa soffochi e inquini la società. Ma purtroppo oggi siamo stati costretti a raccontare di come l'Antimafia si sia dimostrata ancora più subdola e schifosa della mafia.
Di come nel nome di Falcone e Borsellino, abbia fatto affari, "piccioli" a palate. Di come si sono costruite certe carriere . Di come si specula nei terreni confiscati alla mafia e di come si specula con i prodotti creati in quei terreni. Di come la palude dell'antimafia sia diventata mafia essa stessa tanto da rivendicare corsie preferenziali, affidamenti diretti senza bando, elargizioni di somme di denaro e sponsorizzazioni da brividi. Perfino chi porta determinati cognomi, cognomi che ci hanno rimesso la pelle per assolvere al proprio dovere, è disposto a tutto pur di avere una poltroncina alla Camera o al Senato».
Chi è Pino Maniaci?
«Pino Maniaci è uno, nessuno e centomila. Pino Maniaci è un pazzo che grida nel deserto. Pino Maniaci è un uomo con più difetti che pregi. Pino Maniaci è un uomo che ha fatto una marea di errori, che li ha accettati, pagati, scontati. Pino Maniaci è un uomo che ha vissuto la propria vita sempre al limite, senza riserva di energie, senza progettare troppo il futuro, senza cercare garanzie e sicurezze, senza guardare a ciò che è conveniente piuttosto che giusto.
Pino Maniaci accende la sua telecamera, apre il microfono e mette in onda l'audio e il video così com'è, senza filtri, senza fronzoli, senza edulcorazione alcuna. Mostriamo la verità anche quando questa ci costa le oltre 200 querele accumulate in questi anni, anche quando la verità ci è costata tonnellate di fango fino a quasi la chiusura (il riferimento è al caso Saguto ovviamente), mettiamo in onda la verità e ogni giorno siamo fieri di veder allungare la lista dei nostri amici e detrattori.
Pino Maniaci è un capriccio della Storia che troverà pace e apprezzamento solo quando passerà a miglior vita….ma fino ad allora rimarrò una spina nel fianco di tutti coloro i quali pensano di costruire le loro fortune sulle spalle della povera gente».