Cronaca
Pietro Mennea, oggi a Roma l'ultimo saluto
Questa mattina si sono tenuti i funerali presso la Basilica di Santa Sabina. Tanta commozione per l'addio alla leggenda barlettana
Barletta - sabato 23 marzo 2013
15.32
La Basilica di Santa Sabina a Roma ha ospitato questa mattina i funerali di Pietro Mennea, campione assoluto al di là dei confini locali e nazionali, simbolo di generazioni intere, icona per migliaia di sportivi. A 27 anni aveva sorpassato il mondo intero, conquistandosi il soprannome di "Freccia del Sud", a 61 l'ha lasciato sconfitto da un male incurabile, una scomparsa che ha posto dietro di sé una enorme scia di commozione e un grande vuoto, a livello umano e sportivo. Quello di un ragazzo che da Barletta è andato alla conquista del mondo (non solo quello sportivo), contando su un fisico normale ma un carattere e una forza di volontà d'acciaio.
Nato in una modesta famiglia di Barletta, da padre sarto e mamma casalinga, nel palmares di Mennea le Olimpiadi di Monaco, Montreal, Mosca, Los Angeles e Seul, 528 gare complessive, 23 libri e soprattutto il record mondiale del 1979 a Città del Messico, dove corse i 200 metri in 19" e 72"', primato rimasto in piedi per ben 17 anni e ancora intatto su scala europea. Un oro e due bronzi olimpici. A soli quindici anni sfidava Porsche ed Alfa Romeo, in viale Giannone a Barletta, Pietro Paolo Mennea; i giovani dell'epoca si intrattenevano a vederlo correre sino alle tre di notte, perché era un piacere assistere alla folle corsa di questo giovinetto, che con le 500lire vinte da queste piccole scommesse, si pagava la merenda per la scuola. Tante "seconde vite" professionali: avvocato, insegnante, commercialista, deputato europeo, anche candidato sindaco nel 2002, con esiti però da dimenticare. Si è laureato a Bari una prima volta in scienze politiche, allora ministro degli Esteri. Uomo poliedrico, Mennea aveva anche conseguito anche le lauree in giurisprudenza, scienze dell'educazione motoria e lettere. Eletto al Parlamento europeo dal 1999 al 2004, Mennea era stato membro del gruppo non-inscritti. È stato anche Vice-presidente della delegazione per le relazioni con i paesi del Mashreq e degli Stati del Golfo oltre che membro della Commissione cultura, gioventù, educazione, media e sport. Sudore, sacrificio e passione erano le sue uniche ricette: queste le parole d'ordine che ne hanno costellato la vita da atleta e le tante "seconde vite" successive. La sua riservatezza, la sua forza d'animo ne hanno caratterizzato la vita: dai successi, ai record, fino al desiderio di combattere contro il "male del secolo" nel silenzio, senza cercare compassione o solidarietà.
Un lungo applauso ha accolto l'arrivo del feretro dell'olimpionico, poco prima della cerimonia funebre cominciata alle 10 e officiata da padre Antonio Truda. Oltre 5000 persone ne hanno onorato la memoria: alla famiglia si sono uniti tanti campioni dello sport, amici e autorità. Tra le corone accanto al feretro, quelle del ministero dello Sport della Regione Lazio, oltre ai gonfaloni della Provincia di Barletta Andria e Trani, delle città di Barletta e Formia. Il tempo si è quasi fermato, nell'angolo della Capitale che ha omaggiato la memoria di Pietro: quasi che ognuno legasse il nome di Mennea a un suo ricordo, a delle emozioni intense che aveva provato grazie a lui, a un sogno del quale il campione barlettano era stato al tempo stesso causa ed effetto. Tanti, forse tutti, hanno uno spazio nei loro cuori colmato dal ricordo di Pietro Mennea.
Tanti hanno omaggiato Mennea sull'altare della Basilica romana: da Giovanni Malagò, neo presidente del Coni, all' amico magistrato Ferdinando Imposimanto fino al grande giornalista Gianni Minà. A noi piace ricordarne l'imperitura memoria, usando le sue parole per descrivere i momenti finali della gara che gli regalò l'oro di Mosca 1980, raccolte nel volume "La corsa non finisce mai", una delle sue biografie. "Trenta metri alla fine. Davanti c'è solo Wells, ancora in testa quando passiamo dagli ultimi venti metri. Sento davvero le gambe, i piedi mordere la pista: spingo con i muscoli e tutta la volontà che ho. Cerco l'impulso dei tendini nel contatto delle scarpe con il manto, faccio esplodere di reattività la caviglia, faccio del piede un piccolo potente remo che spinge avanti. Wells capisce il mio rientro (…) Tre passi ancora, gli sono affianco, intuisco il suo profilo e l'asse delle spalle quasi in linea con le mie. Due passi, siamo pari. Un appoggio: è dietro. Le braccia, quasi da sole, mi scattano in alto che ancora non ho oltrepassato il traguardo. E' finita. Alzai il famoso ditino della mano destra verso il pubblico (…) e cominciai il giro d'onore". Addio Pietro, la tua corsa è finita in una Patria dove non ci sono più dolori e affanni. E' cominciato il tuo più grande giro d'onore, quello della memoria, quella sì, imperitura.
Nato in una modesta famiglia di Barletta, da padre sarto e mamma casalinga, nel palmares di Mennea le Olimpiadi di Monaco, Montreal, Mosca, Los Angeles e Seul, 528 gare complessive, 23 libri e soprattutto il record mondiale del 1979 a Città del Messico, dove corse i 200 metri in 19" e 72"', primato rimasto in piedi per ben 17 anni e ancora intatto su scala europea. Un oro e due bronzi olimpici. A soli quindici anni sfidava Porsche ed Alfa Romeo, in viale Giannone a Barletta, Pietro Paolo Mennea; i giovani dell'epoca si intrattenevano a vederlo correre sino alle tre di notte, perché era un piacere assistere alla folle corsa di questo giovinetto, che con le 500lire vinte da queste piccole scommesse, si pagava la merenda per la scuola. Tante "seconde vite" professionali: avvocato, insegnante, commercialista, deputato europeo, anche candidato sindaco nel 2002, con esiti però da dimenticare. Si è laureato a Bari una prima volta in scienze politiche, allora ministro degli Esteri. Uomo poliedrico, Mennea aveva anche conseguito anche le lauree in giurisprudenza, scienze dell'educazione motoria e lettere. Eletto al Parlamento europeo dal 1999 al 2004, Mennea era stato membro del gruppo non-inscritti. È stato anche Vice-presidente della delegazione per le relazioni con i paesi del Mashreq e degli Stati del Golfo oltre che membro della Commissione cultura, gioventù, educazione, media e sport. Sudore, sacrificio e passione erano le sue uniche ricette: queste le parole d'ordine che ne hanno costellato la vita da atleta e le tante "seconde vite" successive. La sua riservatezza, la sua forza d'animo ne hanno caratterizzato la vita: dai successi, ai record, fino al desiderio di combattere contro il "male del secolo" nel silenzio, senza cercare compassione o solidarietà.
Un lungo applauso ha accolto l'arrivo del feretro dell'olimpionico, poco prima della cerimonia funebre cominciata alle 10 e officiata da padre Antonio Truda. Oltre 5000 persone ne hanno onorato la memoria: alla famiglia si sono uniti tanti campioni dello sport, amici e autorità. Tra le corone accanto al feretro, quelle del ministero dello Sport della Regione Lazio, oltre ai gonfaloni della Provincia di Barletta Andria e Trani, delle città di Barletta e Formia. Il tempo si è quasi fermato, nell'angolo della Capitale che ha omaggiato la memoria di Pietro: quasi che ognuno legasse il nome di Mennea a un suo ricordo, a delle emozioni intense che aveva provato grazie a lui, a un sogno del quale il campione barlettano era stato al tempo stesso causa ed effetto. Tanti, forse tutti, hanno uno spazio nei loro cuori colmato dal ricordo di Pietro Mennea.
Tanti hanno omaggiato Mennea sull'altare della Basilica romana: da Giovanni Malagò, neo presidente del Coni, all' amico magistrato Ferdinando Imposimanto fino al grande giornalista Gianni Minà. A noi piace ricordarne l'imperitura memoria, usando le sue parole per descrivere i momenti finali della gara che gli regalò l'oro di Mosca 1980, raccolte nel volume "La corsa non finisce mai", una delle sue biografie. "Trenta metri alla fine. Davanti c'è solo Wells, ancora in testa quando passiamo dagli ultimi venti metri. Sento davvero le gambe, i piedi mordere la pista: spingo con i muscoli e tutta la volontà che ho. Cerco l'impulso dei tendini nel contatto delle scarpe con il manto, faccio esplodere di reattività la caviglia, faccio del piede un piccolo potente remo che spinge avanti. Wells capisce il mio rientro (…) Tre passi ancora, gli sono affianco, intuisco il suo profilo e l'asse delle spalle quasi in linea con le mie. Due passi, siamo pari. Un appoggio: è dietro. Le braccia, quasi da sole, mi scattano in alto che ancora non ho oltrepassato il traguardo. E' finita. Alzai il famoso ditino della mano destra verso il pubblico (…) e cominciai il giro d'onore". Addio Pietro, la tua corsa è finita in una Patria dove non ci sono più dolori e affanni. E' cominciato il tuo più grande giro d'onore, quello della memoria, quella sì, imperitura.