Pietro Mennea vincente
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Pietro Mennea "da Barletta", lacrime ed emozioni per la freccia del sud su Rai 1

Un ricordo dalla storia, le parole "a caldo" del campione

Ieri sera Barletta ha vissuto il suo Pietro Mennea nel modo migliore possibile: atmosfera da mondiali di calcio, strade vuote e in giro tantissimi parlavano solo della fiction e del campione grazie all'ottimo lavoro su Rai 1 di Luca Barbareschi, Ricky Tognazzi e tutto il cast. Qualche giorno fa parlavamo dell'epica dell'impegno che ha ieri sera ricevuto un'epica conclusione e sui maggiori social network abbiamo letto di qualche buona lacrimuccia dei telespettatori nel rivedere questa vita troppo veloce, troppo breve.

Ringraziando il buon Nino Vinella per aver riproposto alcuni spezzoni di storia che ci ricordano "La Freccia del Sud" (spesso, spessissimo indicato - lo ricordo sui rotocalchi - anche come "Freccia di Barletta" e non solo per difetto di sinonimi). Ne riportiamo uno, rilasciato a caldo dopo la medaglia d'oro a Mosca che abbiamo rivisto nella convincente interpretazione di Michele Riondino. Non vorremmo aggiungere altro se non una piccola cosa: proprio nella capitale sovietica Pietro "da Barletta" conobbe un'amara disfatta nei 100 metri solo due giorni prima della medaglia d'oro nei 200 metri (ricordiamolo, a 28 anni - un vecchio - e nell'ottava corsia). Barletta i 100m li ha persi e i due giorni sono già passati. Non smetteremo di pensare a questo uomo così veloce per ispirarci e cambiare tutto.

Dalla Storia, per tutti

«Ero arrivato a Mosca molto teso e sinceramente preoccupato. Lo strano clima di queste Olimpiadi mi aveva disorientato già alla preparazione. E poi le polemiche, le incertezze continue. Nei 100 metri, lo confesso, ho corso scarico, la mia grinta era appannata. Non dormivo bene. Non mi sono nemmeno troppo piaciute le cose che subito su di me si sono affrettati a scrivere alcuni giornali italiani pronti a saltarmi addosso al più piccolo sbaglio. Ma forse è stato questo pizzico di veleno a ricaricarmi. Mi sono detto che potevo vincere. Mi sono messo a studiare a fondo Wells, l'atleta che ho sempre temuto di più. Nel mio cervello ha ricominciato a funzionare un piccolo calcolatore: Wells sarebbe partito fortissimo ma sulla distanza potevo bruciarlo se avessi dato al mio scatto progressivo il necessario vigore. Ho cominciato, per prepararmi meglio, ad isolarmi di più. Non volevo sapere che cosa scrivevano di altro i giornali italiani. Mi sono chiuso in camera, mi sono disteso. Mi sono fatto un profondo esame di coscienza: si, potevo vincere, dovevo farcela, è una prova di carattere, la cercavo, la volevo. Quando mi è stata assegnata l'ottava corsia ho avuto un brivido. Non mi è mai piaciuta. E poi, nella settima, partiva proprio Wells, l'uomo che dovevo battere. Spero di aver confermato con questa mia prova che so mantenere i miei impegni. Molta gente del clan sportivo non ha mai voluto capire che gli atleti sono uomini come tutti gli altri e che conta moltissimo per noi cosa abbiamo nella testa nel momento in cui ci avviciniamo allo starter.
In quel momento nella mia testa c'era solo un imperativo: posso vincere. devo vincere. Ce l'ho fatta e sono contento per tutti gli sportivi italiani. Non sono un atleta finito. Mentre correvo avevo il fuoco dentro. E' stato questo che mi ha dato la forza di battere Wells. Credetemi: sono soddisfattissimo.
[Pietro Mennea]
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