Cronaca
Inchiesta "Paradisi perduti", «evasione fiscale come caratteristica "genetica"»
Depositate le motivazioni della sentenza di primo grado
Barletta - giovedì 3 luglio 2014
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Il giudice monocratico del Tribunale di Trani Francesco Messina ha depositato le motivazioni della sentenza di primo grado per cui il 3 febbraio ha condannato sei imprenditori edili barlettani accusati di evasione fiscale nell'ambito dell'indagine del 2009 battezzata "Paradisi Perduti". L'inchiesta, che fu condotta dalla Guardia di Finanza di Barletta, ebbe origine da un servizio mandato in onda dal programma tv "Le Iene". Il 20 marzo 2009 denunciò il sistema del mercato immobiliare barlettano. Secondo l'accusa, sostenuta dal pubblico ministero Michele Ruggiero, diversi imprenditori barlettani tra il 2005 ed il 2009 avrebbero sottratto milioni di euro ad imposizione fiscale grazie al fatto che nei rogiti notarili s'indicava un prezzo di alienazione inferiore rispetto a quello effettivamente pagato dai compratori. Il giudice Messina ha ritenuto che «tale attività non è stata mai occasionale o dettata da esigenze o scelte del momento ma ha costituito una caratteristica, per così dire, "genetica" dell'agire imprenditoriale».
Tra le risultanze dibattimentali il magistrato evidenzia «dichiarazioni che, nel loro significato paradigmatico, hanno dimostrato non solo l'accettazione del fenomeno criminoso ma la sua inaccettabile "giustificazione" all'interno di un contesto economico ben limitato e frequentato da soggetti con notevolissime disponibilità economiche. In sostanza, da soggetti imprenditori in grado di gestire importanti capitali si pretende la realizzazione di condotte di rigorosa, assoluta, osservanza della legge e certamente ancor di più rispetto a chi ha meno strumenti culturali, meno possibilità di interagire con rappresentanti istituzionali, meno possibilità economiche. Ne consegue che ciò che, in modo quanto mai superficiale, si è cercato d'indicare come un'inesorabile e non mutabile "destino" di chi opera in ambito imprenditoriale (quello di incassare somme di denaro "in nero", altrimenti si sarebbe "fuori dal mercato") altro non è se una comoda (e proficua) condivisione di quell'inquietante situazione economico/contrattuale/esistenziale in cui chi gestisce risorse economiche e condiziona la vita dei cittadini (la possibilità di aver una casa in cui vivere) impone a essi regole negoziali fonti di illiceità. La conoscenza (anche eventuale) da parte di qualsiasi imprenditore di modi di operare economicamente illeciti impone a un onere di denuncia, di segnalazione alle Forze dell'Ordine e all'Autorità Giudiziaria, esattamente come hanno fatto, in altri contesti socio-ambientali più difficili e drammatici di quello barlettano, altri esempi di classe imprenditoriale nazionale».
Come si ricorderà, il 3 febbraio il Tribunale di Trani condannò a 3 anni di reclusione Giuseppe Prascina, noto come il re del mattone di Barletta; Antonio Maria Di Bari ed Antonio Chiarazzo. Due anni e 6 mesi la pena che fu comminata a Gennaro Ziri nonostante l'assoluzione (con l'equivalente della vecchia insufficienza di prove) da un capo d'imputazione. Due anni per Alfonso Prascina, figlio di Giuseppe, ed 1 anno ed 8 mesi di reclusione fu la sanzione pronunciata per Filomena Ziri.
Tra le risultanze dibattimentali il magistrato evidenzia «dichiarazioni che, nel loro significato paradigmatico, hanno dimostrato non solo l'accettazione del fenomeno criminoso ma la sua inaccettabile "giustificazione" all'interno di un contesto economico ben limitato e frequentato da soggetti con notevolissime disponibilità economiche. In sostanza, da soggetti imprenditori in grado di gestire importanti capitali si pretende la realizzazione di condotte di rigorosa, assoluta, osservanza della legge e certamente ancor di più rispetto a chi ha meno strumenti culturali, meno possibilità di interagire con rappresentanti istituzionali, meno possibilità economiche. Ne consegue che ciò che, in modo quanto mai superficiale, si è cercato d'indicare come un'inesorabile e non mutabile "destino" di chi opera in ambito imprenditoriale (quello di incassare somme di denaro "in nero", altrimenti si sarebbe "fuori dal mercato") altro non è se una comoda (e proficua) condivisione di quell'inquietante situazione economico/contrattuale/esistenziale in cui chi gestisce risorse economiche e condiziona la vita dei cittadini (la possibilità di aver una casa in cui vivere) impone a essi regole negoziali fonti di illiceità. La conoscenza (anche eventuale) da parte di qualsiasi imprenditore di modi di operare economicamente illeciti impone a un onere di denuncia, di segnalazione alle Forze dell'Ordine e all'Autorità Giudiziaria, esattamente come hanno fatto, in altri contesti socio-ambientali più difficili e drammatici di quello barlettano, altri esempi di classe imprenditoriale nazionale».
Come si ricorderà, il 3 febbraio il Tribunale di Trani condannò a 3 anni di reclusione Giuseppe Prascina, noto come il re del mattone di Barletta; Antonio Maria Di Bari ed Antonio Chiarazzo. Due anni e 6 mesi la pena che fu comminata a Gennaro Ziri nonostante l'assoluzione (con l'equivalente della vecchia insufficienza di prove) da un capo d'imputazione. Due anni per Alfonso Prascina, figlio di Giuseppe, ed 1 anno ed 8 mesi di reclusione fu la sanzione pronunciata per Filomena Ziri.