La città
Il Giudice del Lavoro condanna il Comune di Barletta, «chi ha sbagliato paghi»
La Cisl ripercorre la vicenda denunciata da un dipendente
Barletta - sabato 10 maggio 2014
12.00
«Da diversi anni la pubblica amministrazione è stata interessata da numerosi interventi legislativi e contrattuali che hanno agito sia sulla parte retributiva (vedi blocco contrattazione nazionale dall'anno 2009, blocco risorse salario accessorio sia a livello individuale che collettivo alle somme previste nell'anno 2010) nonché sulla "dignità" del singolo lavoratore - Ci si riferisce a tutto il "battage" mediatico che ha visto sbattere in prima pagina il lavoratore pubblico definendolo "fannullone" o "palla al piede del governo centrale". Invero - scrive l'organizzazione sindacale aziendale CISL FP, nella persona del suo dirigente sindacale Gaetano Depalo - intendiamo dare risalto a una situazione lavorativa emblematica, che trova riscontro nella sentenza del 17/03/2014 a firma del Giudice del Lavoro, dott. Maria Antonietta Chirone. Con detto provvedimento il Giudice ha condannato il Comune di Barletta al pagamento della somma di € 50.000,00 in favore del dipendente ricorrente F.L.».
«Questi i fatti: Il ricorrente F.L., dipendente del Comune di Barletta da circa 40 anni, nell'anno 2011 ha proposto ricorso innanzi al detto Giudice, denunziando una serie di comportamenti omissivi-commissivi subiti dal lavoratore sin dall'anno 2004 ad opera del suo dirigente di settore. Egli, infatti, sin dal detto periodo, era fatto oggetto di ordini di servizio, e provvedimenti di 'mobilità interna' con i quali era adibito a mansioni non compatibili (e/o inferiori) a quella di appartenenza e comunque anche non necessarie, atteso il fatto che, per esempio, durante il periodo del trasferimento e per circa un mese, non ricevette direttive e precisazioni in ordine ai compiti da svolgere e allo stesso orario da osservare. Inoltre, in tale periodo, il dipendente non ebbe una postazione di lavoro e trascorse l'orario di servizio nella propria automobile. Tali disposizioni per la loro palese illegittimità, a seguito dell'intervento del sindacato ,vennero revocate. Successe ancora, nel prosieguo che, dal momento del rientro nel settore di appartenenza, nonostante i reiterati interventi del sindacato,al lavoratore ricorrente furono attribuite mansioni e compiti da esplicare, benché egli ne avesse fatto più volte richiesta al suo dirigente; per oltre due mesi vagò negli uffici del settore, senza avere una postazione e sapere da chi prendere disposizioni e cosa fare,ecc.. Asserisce il Giudice, a riguardo, nella sentenza citata: "il ricorrente era pian piano ed a mezzo dei diversi ordini di servizio succedutisi nel tempo, svuotato di mansioni e ridotto quasi all' inerzia ( cfr. la deposizione del dirigente sindacale Gaetano De Palo "... egli continuava a far niente, senza postazione di lavoro continuava a vagare..."). (…) Dovendosi poi tenere in debita considerazione la circostanza che il ricorrente in alcuni momenti è stato chiamato a svolgere compiti di così scarsa entità da richiedere per il loro espletamento davvero un arco di tempo brevissimo nell'ambito della giornata lavorativa, reputa questo giudice senz'altro ravvisabile un danno esistenziale, sub specie di danno all'identità professionale. Vi sono infatti indizi gravi, precisi e concordanti circa la sussistenza di ripercussioni del demansionamento oltre la dimensione strettamente tecnica. Non ci si trova in presenza solo di una sotto-utilizzazione del bagaglio di nozioni, ma di un mutamento in negativo del significato esistenziale dell'attività lavorativa, divenuta fonte di disagio e di malessere"».
«Nel corso del processo, ma anche prima, il difensore del ricorrente, avv. M. Cristina Capurso, ha più volte sottolineato l'umiliante inattività a cui era stato costretto il lavoratore e, nel contempo, la voluta inerzia dell'Amministrazione ad adottare qualsiasi provvedimento di riconversione del dipendente, mirante ad avvantaggiarsi della sua specifica professionalità . Il tutto a scapito (e con ovvio spreco) delle già scarse risorse pubbliche e in spregio dei criteri di oculata gestione delle stesse che devono informare ogni azione amministrativa».
«La CISL FP ha svolto - conclude Depalo - come si rileva dagli atti processuali, un'azione importante, incessante, complessa affinchè i diritti del lavoratore fossero riconosciuti e scendendo in campo si è trovata di fronte "muri invalicabili" che non hanno per nulla intimorito lo scrivente rappresentante. Ci si augura, che almeno questa volta, il Comune di Barletta metta in campo adeguata azione di rivalsa nei confronti di chi ha sbagliato».
«Questi i fatti: Il ricorrente F.L., dipendente del Comune di Barletta da circa 40 anni, nell'anno 2011 ha proposto ricorso innanzi al detto Giudice, denunziando una serie di comportamenti omissivi-commissivi subiti dal lavoratore sin dall'anno 2004 ad opera del suo dirigente di settore. Egli, infatti, sin dal detto periodo, era fatto oggetto di ordini di servizio, e provvedimenti di 'mobilità interna' con i quali era adibito a mansioni non compatibili (e/o inferiori) a quella di appartenenza e comunque anche non necessarie, atteso il fatto che, per esempio, durante il periodo del trasferimento e per circa un mese, non ricevette direttive e precisazioni in ordine ai compiti da svolgere e allo stesso orario da osservare. Inoltre, in tale periodo, il dipendente non ebbe una postazione di lavoro e trascorse l'orario di servizio nella propria automobile. Tali disposizioni per la loro palese illegittimità, a seguito dell'intervento del sindacato ,vennero revocate. Successe ancora, nel prosieguo che, dal momento del rientro nel settore di appartenenza, nonostante i reiterati interventi del sindacato,al lavoratore ricorrente furono attribuite mansioni e compiti da esplicare, benché egli ne avesse fatto più volte richiesta al suo dirigente; per oltre due mesi vagò negli uffici del settore, senza avere una postazione e sapere da chi prendere disposizioni e cosa fare,ecc.. Asserisce il Giudice, a riguardo, nella sentenza citata: "il ricorrente era pian piano ed a mezzo dei diversi ordini di servizio succedutisi nel tempo, svuotato di mansioni e ridotto quasi all' inerzia ( cfr. la deposizione del dirigente sindacale Gaetano De Palo "... egli continuava a far niente, senza postazione di lavoro continuava a vagare..."). (…) Dovendosi poi tenere in debita considerazione la circostanza che il ricorrente in alcuni momenti è stato chiamato a svolgere compiti di così scarsa entità da richiedere per il loro espletamento davvero un arco di tempo brevissimo nell'ambito della giornata lavorativa, reputa questo giudice senz'altro ravvisabile un danno esistenziale, sub specie di danno all'identità professionale. Vi sono infatti indizi gravi, precisi e concordanti circa la sussistenza di ripercussioni del demansionamento oltre la dimensione strettamente tecnica. Non ci si trova in presenza solo di una sotto-utilizzazione del bagaglio di nozioni, ma di un mutamento in negativo del significato esistenziale dell'attività lavorativa, divenuta fonte di disagio e di malessere"».
«Nel corso del processo, ma anche prima, il difensore del ricorrente, avv. M. Cristina Capurso, ha più volte sottolineato l'umiliante inattività a cui era stato costretto il lavoratore e, nel contempo, la voluta inerzia dell'Amministrazione ad adottare qualsiasi provvedimento di riconversione del dipendente, mirante ad avvantaggiarsi della sua specifica professionalità . Il tutto a scapito (e con ovvio spreco) delle già scarse risorse pubbliche e in spregio dei criteri di oculata gestione delle stesse che devono informare ogni azione amministrativa».
«La CISL FP ha svolto - conclude Depalo - come si rileva dagli atti processuali, un'azione importante, incessante, complessa affinchè i diritti del lavoratore fossero riconosciuti e scendendo in campo si è trovata di fronte "muri invalicabili" che non hanno per nulla intimorito lo scrivente rappresentante. Ci si augura, che almeno questa volta, il Comune di Barletta metta in campo adeguata azione di rivalsa nei confronti di chi ha sbagliato».