Politica
Il cavaliere Berlusconi non è finito, le larghe intese sì
Il commento di Riccardo Memeo
Barletta - lunedì 2 dicembre 2013
Nel Dicembre 1994, dopo soli sei mesi, la Lega di Bossi tolse la fiducia al Governo e Silvio Berlusconi dovette rassegnare le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. In quei giorni, tutti i più illustri politologi e commentatori buttarono fiumi di inchiostro, per spiegarci che questo strano fenomeno politico era già finito, e che l'anomalia del Cavaliere in politica non era stata che una breve parentesi. Sappiamo tutti che la storia è andata molto diversamente: la sconfitta del'96, i cinque anni all'opposizione, la vittoria del 2001, la "quasi sconfitta" del 2006, la nuova vittoria del 2008, il pareggio clamoroso nel 2013: negli ultimi 20 anni Berlusconi è stato l'indiscusso, assoluto protagonista della politica italiana, nonché il Premier più longevo che la nostra Repubblica ricordi. Basterebbe questo per essere quantomeno prudenti nel predire la sua fine politica oggi, che pure é indubbiamente il momento storico più critico per il Cav.
Non è questa la sede per dare un giudizio a questo ventennio, però vale la pena di soffermarsi sull'attuale situazione politica nazionale. A Febbraio scorso, com'è noto, il PD di Bersani mancò incredibilmente una vittoria data da tutti per scontata e, ciò che è peggio, all'indomani delle Elezioni perse due mesi di tempo a rincorrere invano Beppe Grillo e ad impallinare due suoi candidati alla Presidenza della Repubblica. Forse in pochi l'hanno sottolineato, ma ci trovammo di fronte ad un vuoto politico –istituzionale senza precedenti: senza Governo, senza Capo dello Stato, senza una chiara maggioranza in Parlamento. Fu Berlusconi per primo ad indicare la via d'uscita da questa crisi: rieleggere Napolitano al Colle, e dare vita ad un Governo di larghe intese, che doveva raggiungere due grandi obiettivi. Innanzitutto attuare quelle profonde Riforme strutturali che servono al Paese: fare cioè insieme quello che nessuno dei due schieramenti aveva saputo affrontare fino ad allora, per timore che la parte politica avversa cavalcasse il malcontento popolare; e avviare un processo di pacificazione nazionale, che ponesse fine alla guerra civile permanente che da vent'anni contrappone il Berlusconismo all'anti-Berlusconismo. Dopo pochi mesi, le larghe intese sono naufragate sulla questione più spinosa, attorno alla quale ruota tutto il dibattito politico italiano da 20 anni: la Giustizia. La mia opinione (e quella di almeno la metà degli italiani) è che Berlusconi, che per i primi 58 anni della sua vita di uomo d'affari non era mai stato indagato, dal 1994 è stato sottopoto ad un numero di procedimenti penali che non ha eguali nella storia dell'Occidente.
Volendo contare solo i processi, si arriva a 44 (quarantaquattro!), e tutti messi in piedi da magistrati appartenenti ad una associazione (Magistratura Democratica) che nei suoi congressi teorizza la lotta politica attraverso l'esercizio del potere giudiziario. Personalmente non credo ad una regia politica della sinistra di questa condotta: penso piuttosto che quella parte politica si sia limitata a godere dei (presunti) vantaggi dell'azione di questi magistrati. Va detto che il centrodestra non è esente da responsabilità su questo fronte: pur avendo governato il Paese per lunghi anni, e pur avendo avuto ampio mandato dagli elettori per riformare profondamente la Giustizia, non lo ha mai fatto, preferendo rincorrere i magistrati nella battaglia contro Berlusconi, e producendo solo leggi sporadiche "tappabuchi". La decadenza del Cav. da Senatore va letta con la stessa ottica: il PD si è prestato ad una serie incredibili di forzature procedurali e regolamentari, pur di presentare al suo elettorato lo scalpo del nemico storico, e ha preferito ancora una volta non affrontare seriamente il tema, e non approfittare delle larghe intese per contribuire a cambiare un sistema che presenta degli eccessi assurdi per un Paese civile. D'altra parte Berlusconi non poteva continuare a governare con chi ha cercato di eliminarlo politicamente in questo modo. Dunque il Governo Letta ha già fallito in uno dei due obiettivi, quello della pacificazione, tanto che oggi più che mai il livello dello scontro è altissimo.
In questo scenario, con alle porte un nuovo, ennesimo capitolo della "guerra dei 20 anni", Berlusconi ha deciso di rilanciare Forza Italia; lo ha fatto per cercare di svecchiare, smuovere un partito (il Pdl) ormai avvitato su sé stesso, incapace di emozionare i suoi elettori. Ma lo ha fatto anche e soprattutto per dare una rappresentazione plastica del fatto che lui c'è ancora, come nel '94, e che come è stato dal '94 ad oggi, il leader dei moderati italiani resta lui. Un drappello di suoi parlamentari però non lo ha seguito, né sulla rinascita di FI né tantomeno sul passaggio all'opposizione. Questa scelta di Alfano e dei suoi sodali ha certamente avuto l'effetto di indebolire il Cav, quantomeno sul piano Parlamentare, dove ora non è più indispensabile per mantenere la Maggioranza. Inoltre, la nascita del "Nuovo Centrodestra" ha trasformato completamente la compagine che sostiene il Governo: dalle larghe intese, si è passati ad un Esecutivo di "sinistra-centro", in cui il 70% dei parlamentari è del PD ("Il Governo è fatto dal PD e da altri 3 o 4 partitini", ha detto Renzi). Chi ha seguito Alfano, quindi, sta di fatto appoggiando un Governo della parte politica opposta rispetto a quella in cui è stato eletto; senza contare che quei parlamentari stanno lì grazie ai voti recuperati dal Cav in una strepitosa campagna elettorale. C'è ora da chiedersi se questa nuova maggioranza reggerà alle bordate che di sicuro arriveranno da Renzi, Berlusconi e Grillo: i tre leader dei dei tre principali partiti, per altro tutti e tre fuori dal Parlamento. E soprattutto cosa farà il Presidente della Repubblica, il quale (lo ricordo) ad Aprile ha accettato il reincarico, legandolo però alla condizione di dar vita ad un Governo di unità nazionale: ora che questa unità è andata a farsi benedire, il Capo dello Stato manterrà fede alla promessa-minaccia di dimettersi, fatta davanti alle Camere nel suo discorso di insediamento?
[Riccardo Memeo]
Non è questa la sede per dare un giudizio a questo ventennio, però vale la pena di soffermarsi sull'attuale situazione politica nazionale. A Febbraio scorso, com'è noto, il PD di Bersani mancò incredibilmente una vittoria data da tutti per scontata e, ciò che è peggio, all'indomani delle Elezioni perse due mesi di tempo a rincorrere invano Beppe Grillo e ad impallinare due suoi candidati alla Presidenza della Repubblica. Forse in pochi l'hanno sottolineato, ma ci trovammo di fronte ad un vuoto politico –istituzionale senza precedenti: senza Governo, senza Capo dello Stato, senza una chiara maggioranza in Parlamento. Fu Berlusconi per primo ad indicare la via d'uscita da questa crisi: rieleggere Napolitano al Colle, e dare vita ad un Governo di larghe intese, che doveva raggiungere due grandi obiettivi. Innanzitutto attuare quelle profonde Riforme strutturali che servono al Paese: fare cioè insieme quello che nessuno dei due schieramenti aveva saputo affrontare fino ad allora, per timore che la parte politica avversa cavalcasse il malcontento popolare; e avviare un processo di pacificazione nazionale, che ponesse fine alla guerra civile permanente che da vent'anni contrappone il Berlusconismo all'anti-Berlusconismo. Dopo pochi mesi, le larghe intese sono naufragate sulla questione più spinosa, attorno alla quale ruota tutto il dibattito politico italiano da 20 anni: la Giustizia. La mia opinione (e quella di almeno la metà degli italiani) è che Berlusconi, che per i primi 58 anni della sua vita di uomo d'affari non era mai stato indagato, dal 1994 è stato sottopoto ad un numero di procedimenti penali che non ha eguali nella storia dell'Occidente.
Volendo contare solo i processi, si arriva a 44 (quarantaquattro!), e tutti messi in piedi da magistrati appartenenti ad una associazione (Magistratura Democratica) che nei suoi congressi teorizza la lotta politica attraverso l'esercizio del potere giudiziario. Personalmente non credo ad una regia politica della sinistra di questa condotta: penso piuttosto che quella parte politica si sia limitata a godere dei (presunti) vantaggi dell'azione di questi magistrati. Va detto che il centrodestra non è esente da responsabilità su questo fronte: pur avendo governato il Paese per lunghi anni, e pur avendo avuto ampio mandato dagli elettori per riformare profondamente la Giustizia, non lo ha mai fatto, preferendo rincorrere i magistrati nella battaglia contro Berlusconi, e producendo solo leggi sporadiche "tappabuchi". La decadenza del Cav. da Senatore va letta con la stessa ottica: il PD si è prestato ad una serie incredibili di forzature procedurali e regolamentari, pur di presentare al suo elettorato lo scalpo del nemico storico, e ha preferito ancora una volta non affrontare seriamente il tema, e non approfittare delle larghe intese per contribuire a cambiare un sistema che presenta degli eccessi assurdi per un Paese civile. D'altra parte Berlusconi non poteva continuare a governare con chi ha cercato di eliminarlo politicamente in questo modo. Dunque il Governo Letta ha già fallito in uno dei due obiettivi, quello della pacificazione, tanto che oggi più che mai il livello dello scontro è altissimo.
In questo scenario, con alle porte un nuovo, ennesimo capitolo della "guerra dei 20 anni", Berlusconi ha deciso di rilanciare Forza Italia; lo ha fatto per cercare di svecchiare, smuovere un partito (il Pdl) ormai avvitato su sé stesso, incapace di emozionare i suoi elettori. Ma lo ha fatto anche e soprattutto per dare una rappresentazione plastica del fatto che lui c'è ancora, come nel '94, e che come è stato dal '94 ad oggi, il leader dei moderati italiani resta lui. Un drappello di suoi parlamentari però non lo ha seguito, né sulla rinascita di FI né tantomeno sul passaggio all'opposizione. Questa scelta di Alfano e dei suoi sodali ha certamente avuto l'effetto di indebolire il Cav, quantomeno sul piano Parlamentare, dove ora non è più indispensabile per mantenere la Maggioranza. Inoltre, la nascita del "Nuovo Centrodestra" ha trasformato completamente la compagine che sostiene il Governo: dalle larghe intese, si è passati ad un Esecutivo di "sinistra-centro", in cui il 70% dei parlamentari è del PD ("Il Governo è fatto dal PD e da altri 3 o 4 partitini", ha detto Renzi). Chi ha seguito Alfano, quindi, sta di fatto appoggiando un Governo della parte politica opposta rispetto a quella in cui è stato eletto; senza contare che quei parlamentari stanno lì grazie ai voti recuperati dal Cav in una strepitosa campagna elettorale. C'è ora da chiedersi se questa nuova maggioranza reggerà alle bordate che di sicuro arriveranno da Renzi, Berlusconi e Grillo: i tre leader dei dei tre principali partiti, per altro tutti e tre fuori dal Parlamento. E soprattutto cosa farà il Presidente della Repubblica, il quale (lo ricordo) ad Aprile ha accettato il reincarico, legandolo però alla condizione di dar vita ad un Governo di unità nazionale: ora che questa unità è andata a farsi benedire, il Capo dello Stato manterrà fede alla promessa-minaccia di dimettersi, fatta davanti alle Camere nel suo discorso di insediamento?
[Riccardo Memeo]