Cronaca
I giovani di Barletta e le droghe
Tra allarme sociale e tacita tolleranza, si accende il dibattito in rete
Barletta - mercoledì 13 gennaio 2021
10.02
Nei giorni scorsi le forze dell'ordine hanno preceduto al fermo (l'ennesimo) di un giovane che dovrà rispondere (?) del reato di possesso ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Una delle tantissime news di cronaca che ormai non fanno neanche più notizia da quanto siamo oramai assuefatti a questo stato di cose sul quale peraltro non vorremmo dilungarci oltre.
Quel che si è sembrato piuttosto interessante è invece la discussione animatasi sui social sul tema del rapporto tra giovani e droghe cosiddette leggere, con al centro dell'attenzione il sempiterno tema della legalizzazione o meno di determinate sostanze stupefacenti.
Premesso che non è nostra intenzione giudicare nessuno, ci preme analizzare non tanto il perché tali sostanze siano ormai diventate di uso comune tra i nostri ragazzi, quanto piuttosto il fatto che negli ultimi tempi tale fonte illecita di guadagno sembra essere diventata una delle principali a fonti di reddito di tanti giovani, quando non addirittura di molte famiglie. Per approfondire tutto questo è però necessaria una breve analisi dell'attuale contesto socioeconomico barlettano. Un quadro caratterizzato da lavori precari e mal pagati, dal cervellotico obbligo scolastico fino ai 16 anni che ha causato la quasi estinzione tra le giovani generazioni del lavoro artigianale, fino alla quasi totale sparizione del TAC (tessile, abbigliamento e calzaturiero), un tempo rifugio occupazionale di tanti lavoratori a bassa qualifica, e fagocitato oggi dalla spietata e quasi ottocentesca concorrenza asiatica. Senza contare poi la situazione di chi ha oggi una partita IVA e che già era molto difficile prima del Covid.
Proprio l'attuale situazione dei lavoratori autonomi sembra smentire tragicamente quelli che "legalizziamo la marijuana, così togliamo il business alle mafie". Proviamo infatti ad immedesimarci in un sedicenne che fa serata ancora con la paghetta dei genitori e che per "stare bene" deve comprare la cosiddetta "maria". Secondo voi da chi va? O meglio, da chi gli conviene andare? Dal coffee shop (o chi per lui) che oltre alla "materia prima" dovrà presumibilmente pagare fitti, utenze, contributi, imposte e possibilmente mettere un piatto di pasta a tavola? Oppure dal pusher, magari suo amico, che non ha altre spese oltre alle "cipolline"?
Quel che però più inquieta in merito all'ultradecennale dibattito sul "legalizzare" o meno determinate sostanze è che non solo la propaganda (in un senso o nell'altro) è stata inversamente proporzionale alle proposte normative presentate in Parlamento, ma ci si è limitati piuttosto ad "alleggerire" sempre più le pene per questa fattispecie di reati, da cui il luogo comune (ma neanche tanto) in bocca a tanti cittadini: "Tanto quando li beccano sono fuori dopo mezz'ora".
Quasi come se il legislatore, legalizzando le cosiddette droghe leggere, temesse non tanto la reazione delle "mafie" private del loro business (eventualità sulla quale, oltre a noi scribi sfigati di provincia, nutriva serissimi dubbi anche un certo Paolo Borsellino), quanto di perdere, in tempo di crisi strutturale e disoccupazione giovanile galoppante, un tanto tacito quanto efficace strumento di controllo sociale su tanta gente impegnata a "guadagnarsi" la pagnotta lontano da "occhi indiscreti". Infatti a differenza del classico pusher dei giorni nostri, un negoziante di marijuana legalizzata costretto magari alla chiusura dalla crisi economica (oltre che da i venditori - tutt'altro che spariti, come nelle intenzioni dei più ingenui - di "roba non ufficiale", quindi a basso costo) non ha necessità di nascondersi dalle forze dell'ordine ed è quindi libero di esternare tutto il suo malcontento.
Quindi a prescindere se sia giusto o meno legalizzare la cannabis e derivati, quel che sommessamente ci chiediamo è se la cosiddetta "detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti" resta un reato da combattere oppure è divenuto un tacito ammortizzatore/anestetico sociale ipocritamente mascherato da reato?
E mentre ansiosi attendiamo risposta a questo inquietante quesito che speriamo sia solo frutto di una nostra paranoia da depressione post natalizia, come barlettani e come italiani ci tocca purtroppo con cadenza quasi giornaliera assistere a fermi di polizia di ragazzi che in età sempre più bassa intraprendono la strada del cosiddetto "guadagno facile".
Non siamo medici e non sappiamo quanto la cannabis sia deleteria (ammesso che lo sia) per la salute dei nostri giovani. E nonostante la nostra riflessione iniziale possiamo anche discutere degli effetti sul business del crimine organizzato di una eventuale legalizzazione della marijuana. Quel che però continua ad inquietarci è l'assoluta mancanza di prospettive per intere generazioni di adolescenti che in numero sempre maggiore preferiscono sporcarsi la fedina penale piuttosto che provare ad imparare un mestiere. E questo, legalizzazione o meno, era e resta forse il più grande allarme sociale degli ultimi anni.
Quel che si è sembrato piuttosto interessante è invece la discussione animatasi sui social sul tema del rapporto tra giovani e droghe cosiddette leggere, con al centro dell'attenzione il sempiterno tema della legalizzazione o meno di determinate sostanze stupefacenti.
Premesso che non è nostra intenzione giudicare nessuno, ci preme analizzare non tanto il perché tali sostanze siano ormai diventate di uso comune tra i nostri ragazzi, quanto piuttosto il fatto che negli ultimi tempi tale fonte illecita di guadagno sembra essere diventata una delle principali a fonti di reddito di tanti giovani, quando non addirittura di molte famiglie. Per approfondire tutto questo è però necessaria una breve analisi dell'attuale contesto socioeconomico barlettano. Un quadro caratterizzato da lavori precari e mal pagati, dal cervellotico obbligo scolastico fino ai 16 anni che ha causato la quasi estinzione tra le giovani generazioni del lavoro artigianale, fino alla quasi totale sparizione del TAC (tessile, abbigliamento e calzaturiero), un tempo rifugio occupazionale di tanti lavoratori a bassa qualifica, e fagocitato oggi dalla spietata e quasi ottocentesca concorrenza asiatica. Senza contare poi la situazione di chi ha oggi una partita IVA e che già era molto difficile prima del Covid.
Proprio l'attuale situazione dei lavoratori autonomi sembra smentire tragicamente quelli che "legalizziamo la marijuana, così togliamo il business alle mafie". Proviamo infatti ad immedesimarci in un sedicenne che fa serata ancora con la paghetta dei genitori e che per "stare bene" deve comprare la cosiddetta "maria". Secondo voi da chi va? O meglio, da chi gli conviene andare? Dal coffee shop (o chi per lui) che oltre alla "materia prima" dovrà presumibilmente pagare fitti, utenze, contributi, imposte e possibilmente mettere un piatto di pasta a tavola? Oppure dal pusher, magari suo amico, che non ha altre spese oltre alle "cipolline"?
Quel che però più inquieta in merito all'ultradecennale dibattito sul "legalizzare" o meno determinate sostanze è che non solo la propaganda (in un senso o nell'altro) è stata inversamente proporzionale alle proposte normative presentate in Parlamento, ma ci si è limitati piuttosto ad "alleggerire" sempre più le pene per questa fattispecie di reati, da cui il luogo comune (ma neanche tanto) in bocca a tanti cittadini: "Tanto quando li beccano sono fuori dopo mezz'ora".
Quasi come se il legislatore, legalizzando le cosiddette droghe leggere, temesse non tanto la reazione delle "mafie" private del loro business (eventualità sulla quale, oltre a noi scribi sfigati di provincia, nutriva serissimi dubbi anche un certo Paolo Borsellino), quanto di perdere, in tempo di crisi strutturale e disoccupazione giovanile galoppante, un tanto tacito quanto efficace strumento di controllo sociale su tanta gente impegnata a "guadagnarsi" la pagnotta lontano da "occhi indiscreti". Infatti a differenza del classico pusher dei giorni nostri, un negoziante di marijuana legalizzata costretto magari alla chiusura dalla crisi economica (oltre che da i venditori - tutt'altro che spariti, come nelle intenzioni dei più ingenui - di "roba non ufficiale", quindi a basso costo) non ha necessità di nascondersi dalle forze dell'ordine ed è quindi libero di esternare tutto il suo malcontento.
Quindi a prescindere se sia giusto o meno legalizzare la cannabis e derivati, quel che sommessamente ci chiediamo è se la cosiddetta "detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti" resta un reato da combattere oppure è divenuto un tacito ammortizzatore/anestetico sociale ipocritamente mascherato da reato?
E mentre ansiosi attendiamo risposta a questo inquietante quesito che speriamo sia solo frutto di una nostra paranoia da depressione post natalizia, come barlettani e come italiani ci tocca purtroppo con cadenza quasi giornaliera assistere a fermi di polizia di ragazzi che in età sempre più bassa intraprendono la strada del cosiddetto "guadagno facile".
Non siamo medici e non sappiamo quanto la cannabis sia deleteria (ammesso che lo sia) per la salute dei nostri giovani. E nonostante la nostra riflessione iniziale possiamo anche discutere degli effetti sul business del crimine organizzato di una eventuale legalizzazione della marijuana. Quel che però continua ad inquietarci è l'assoluta mancanza di prospettive per intere generazioni di adolescenti che in numero sempre maggiore preferiscono sporcarsi la fedina penale piuttosto che provare ad imparare un mestiere. E questo, legalizzazione o meno, era e resta forse il più grande allarme sociale degli ultimi anni.