Ottavio Marzocca
Ottavio Marzocca
Territorio

Ex Distilleria: alcune considerazioni sulla legge regionale per l’archeologia industriale

Intervista al prof. Marzocca sul nuovo strumento legislativo

Qualche giorno fa abbiamo riferito dell'approvazione di una legge regionale sull'archeologia industriale, che rende la Puglia prima regione del Mezzogiorno a dotarsene, una legge già annunciata qualche tempo fa dall'assessore regionale alla Qualità del Territorio Angela Barbanente. Per alcune considerazioni in più, abbiamo intervistato Ottavio Marzocca, professore di filosofia etico-politica dell'Università di Bari ed esponente della Società dei Territorialisti.

Le politiche della Regione Puglia hanno dato risultati considerevoli in questi anni, ma più in certi settori che in altri: qual è il suo giudizio?
«L'approvazione della legge regionale per l'archeologia industriale, insieme a quella riguardante i trabucchi, è un'altra testimonianza della buona prova amministrativa che ha saputo dare in questi anni l'assessorato regionale alla qualità del territorio, soprattutto portando a compimento l'iter per l'approvazione del piano paesaggistico. Purtroppo, non è possibile esprimere analoghi apprezzamenti su altri ambiti di intervento del governo regionale guidato da Nichi Vendola nell'ultimo decennio. Credo siano addirittura allarmanti, in particolare, i risultati delle politiche per il ciclo dei rifiuti. Basti pensare alle varie discariche in stato di emergenza ambientale e giudiziaria (si vedano i casi di Trani e di Conversano), alla problematica presenza sul territorio di diversi impianti di termovalorizzazione (fra i quali va annoverato quello della cementeria di Barletta, oltre quelli che fanno capo al gruppo Marcegaglia), agli scarsi risultati della raccolta differenziata (a parte le eccezioni, discutibili quanto si vuole, ma certamente positive come quella della stessa Barletta). Tutto questo rischia davvero di vanificare i passi avanti che si sono fatti e si potrebbero ancora fare nella tutela dell'ambiente e del territorio con i nuovi strumenti normativi riguardanti il paesaggio e il patrimonio storico-industriale, che ovviamente sono anch'essi parte fondamentale del nostro ambiente».

La nuova legge per l'archeologia industriale, recentemente approvata all'unanimità del Consiglio regionale, è sicuramente uno strumento utile, ma soprattutto un 'riconoscimento' importante a livello regionale per tale disciplina.
«Questa legge appare finalizzata a promuovere interventi per il recupero, la valorizzazione e la conoscenza a scopi culturali, sociali, turistici eccetera, del ricco patrimonio di complessi industriali storici della Puglia. In particolare, la Regione si impegna ad includere la valorizzazione di questi complessi nella propria programmazione riguardante i beni culturali (legge regionale 17/2013, titolo II); inoltre essa mette a disposizione per lo stesso scopo gli strumenti legislativi, le opportunità e le risorse destinate a due obiettivi: la qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio (legge regionale 14/2008) e la rigenerazione urbana (legge regionale 21/2008); la Regione infine si impegna a svolgere in tempi rapidi un'ampia ricognizione dei siti archeologico-industriali presenti in Puglia».

Il pensiero corre, ovviamente, al caso dell'ex distilleria di Barletta, che versa in condizioni penose, non diversamente da molti altri complessi simili sparsi su tutto il territorio regionale e nazionale. Come pensa che l'Amministrazione comunale debba comportarsi?
«Non è noto quali siano gli attuali orientamenti in merito dell'amministrazione comunale barlettana che pure si era impegnata a intervenire in tempi brevi per la messa in sicurezza del complesso, oltre che ad attivare finanziamenti dormienti, in attesa di mettere in campo interventi più organici. Comunque sia, non credo che ora l'amministrazione possa avere più esitazioni, se non vuole perdere le opportunità create dalla nuova legge. La prima cosa da fare sarebbe quella di aumentare e di usare concretamente i fondi destinati alla messa in sicurezza e alla conservazione del complesso, a partire dai tetti, nella previsione di continuare su questa strada con l'appoggio regionale. In molte discussioni pubbliche recenti è emerso del tutto chiaramente che finora gli interventi per il Recupero Urbano, per i Contratti di quartiere e altre cose simili – interventi in cui le amministrazioni degli anni passati hanno voluto includere formalmente l'ex distilleria – sono serviti in gran parte a promuovere operazioni piuttosto dubbie a favore dell'edilizia privata, producendo scarsissimi benefici per lo storico complesso. In quegli interventi ovviamente furono coinvolti dei soggetti privati, ma se i loro interessi furono certamente soddisfatti, quelli dell'ex distilleria rimasero piuttosto privi di soddisfazione. Non è affatto casuale perciò che l'antica fabbrica oggi si trovi nello stato in cui è. Io credo che ora sia il Comune che la cittadinanza attenta alla tutela del patrimonio storico-ambientale debbano cogliere lo stimolo offerto dalla Regione. Il Comune in particolare non ha più la possibilità – come si è fatto in passato – di raccontare la storia del recupero dell'ex distilleria, mentre cerca finanziamenti per parcheggi sotterranei o alloggi da lasciare occupare ai primi che arrivano...».

L'archeologia industriale è una disciplina che finora non ha trovato grandi riconoscimenti né sul piano normativo né sul piano politico in Italia.
«In realtà, nonostante tutto, esiste ormai tutto un campionario di esperienze di recupero di siti di archeologia industriale, che andrebbero studiati per trarne ispirazione. Gli specialisti della materia, inoltre, basta solo cercarli per trovarli. Comunque, per parlare solo di luoghi vicini a noi, si possono citare i casi di recupero dell'ex Fadda di San Vito dei Normanni, delle manifatture Knos e delle concerie di Lecce, dell'ex Macello di Bari e dei Cantieri della Zisa di Palermo. Guardando appena più lontano, si può vedere inoltre che persino nella 'sfortunata' Atene esiste un'ex centrale del Gas, trasformata in Museo e centro polifunzionale, comprendente teatro, spazi espositivi e impianti produttivi d'epoca. In nessuno di questi luoghi forse si è raggiunta la perfezione, ma comunque qualcosa di entusiasmante è successo. Viene da dire dunque: "Barlettani, ancora uno sforzo…"».

Anche i privati possono contribuire alla valorizzazione dei beni culturali?
«Dei soggetti privati, dai quali ci si aspetta sempre che vengano a liberarci miracolosamente dalle angustie finanziarie degli enti pubblici, direi che oggi essi non hanno più molti alibi. Infatti, fra i pochissimi provvedimenti apprezzabili dell'attuale governo nazionale, c'è quello fatto approvare nel luglio scorso dal ministro Franceschini (Art Bonus), che consente la deducibilità fiscale addirittura del 65% delle donazioni per il restauro dei beni culturali e per altri scopi simili. Questo mette i privati nelle condizioni di fare davvero il 'bene comune' senza cercare tornaconti, oltre il beneficio fiscale. Ciò che oggi manca infatti sono soprattutto soggetti privati animati da un sano spirito mecenatesco. In questo senso, comunque, tutti siamo potenziali 'mecenati'; tutti potremmo dare il nostro contributo anche minimo per la salvezza del patrimonio storico-culturale delle nostre città, esercitando magari un attento controllo da cittadini consapevoli sull'uso delle risorse. Naturalmente, per essere dei cittadini consapevoli non è affatto necessario pagare preventivamente un 'pedaggio'. Basterebbe impegnarsi sinceramente per la promozione e la protezione dei beni comuni, uscendo dal tunnel della produzione a getto continuo di invettive fini a se stesse, sarcasmi e volgarità che non costa nulla pubblicare nei commenti dei social network o dei giornali on line».
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