La città
Due ragazze barlettane e quel viaggio insolito chiamato India
"First Stop: India", il racconto fotografico dell’India d’oggi in una mostra fotografica
Barletta - giovedì 14 maggio 2015
Bisogna dirlo: l'India non ha mai perso il suo fascino. Certo non rappresenta più quella meta mainstream inseguita dagli artisti beat, dai musicisti e dalla gioventù idealista degli anni '60 e '70, ma per chi la visita resta sempre un'esperienza unica e di grande impatto. Angela Cilli e Ninny Ruscino sono due ragazze intrepide che un giorno si sono guardate negli occhi e hanno maturato, quasi inconsapevolmente, di voler realizzare un viaggio diverso dagli altri, di provare insomma quell'esperienza unica che solo una meta come l'India può darti; e lo hanno fatto con uno zaino in spalla e una fotocamera in mano. Noi le abbiamo incontrate per scoprire qualcosa in più del loro viaggio e del racconto fotografico intitolato FIRST STOP: INDIA che si terrà sabato 23 maggio presso il circolo Arci Le Ture.
In questa mostra c'è tutto il vostro viaggio e il vostro racconto dell'India, ma se doveste condensare in una sola immagine l'impatto che vi ha dato questa terra?
«Sono troppe le immagini nella nostra testa e la nostra mostra lo fa vedere, ma sicuramente potremmo condensare l'animo dell'India nei sorrisi dei bambini per strada e negli sguardi profondi degli anziani. Questi sono infatti i due soggetti che contraddistinguono anche i nostri scatti».
Com'è nato questo viaggio?
«Ma guarda in modo molto naturale. Eravamo a bere qualcosa insieme e nel parlare del più e del meno abbiamo deciso di progettare un viaggio; un viaggio però che non fosse meta turistica e che fosse diverso dagli altri e così è venuto fuori il nome India. Quando lo abbiamo ufficializzato molti ci hanno chiesto cosa andassimo a fare in un posto così sporco e pericoloso, e a dir la verità non possiamo nascondere di aver avuto un po' di timore, ma la voglia di vedere quello che non siamo abituati a vedere era troppa».
Ci raccontate un episodio significativo o qualcosa che vi è capitato?
«Un giorno ci siamo fatte lasciare dall'autista in un villaggio ed è stato l'unico momento in cui ci siamo ritrovate sole in India. Naturalmente il nostro essere diverse: il nostro modo di vestire, il colore della pelle, persino i tessuti dei nostri vestiti rappresentavano qualcosa di strano e curioso per gli abitanti del posto, i quali hanno cominciato a seguirci, soprattutto i bambini. Ci avevano già detto che saremmo state seguite da sciami di ragazzini e così ci eravamo preparate a portar loro qualcosa in dono, che non fossero soldi, perché da quelle parti i bambini vengono picchiati o minacciati se guadagnano dei soldi e non li consegnano ai loro genitori; così portammo dei colori e dei fogli, ma la cosa strana fu che dovemmo spiegare ai bambini come si usavano…carta e colori sono materiali pregiati. E' stato un momento commovente, un'emozione che difficilmente riusciamo a spiegare».
Cosa vi aspettavate di trovare in India e cosa avete effettivamente trovato?
«Sapevamo di trovare molta povertà, ma vederla con i propri occhi è totalmente diverso. La povertà per noi è un tabù, non se ne parla, non la si vuole far vedere, eppure anche in occidente ce n'è tanta. Lì la povertà è la cosa più concreta che tu possa vedere, la senti sulla pelle, ma non ti spaventa perché è solo una questione materiale. Quella gente ha una ricchezza di spirito unica, nessuno ti nega mai un sorriso, perché infondo è l'unica cosa che ha da offrire. Sapevamo anche di trovare un paese multietnico e credevamo che le varie etnie vi convivessero pacificamente, ma così non è. Ci sono zone, come Varanasi ad esempio, in cui ci sono scontri violenti, soprattutto per la convivenza con l'etnia musulmana e addirittura non si possono fare foto. Diciamo in generale che non abbiamo avuto vita facile per fotografare, perché durante certi riti o durante certe manifestazioni è categorico il divieto di fare scatti».
Immagino che un'esperienza così vi abbia comunicato tanto, in termini di emozioni e non solo…
«A dir la verità non siamo riuscite fino ad ora a fare un discorso sull'India, insomma a parlarne in modo completo e forse la fotografia riuscirà a colmare queste mancanze. Emotivamente è stata un'esperienza scioccante che ha risvegliato la nostra percezione sensoriale e mentale e infatti la nostra mostra usa i cinque sensi per ricostruire in parte questa esperienza. L'India ci ha mostrato, nei suoi limiti di risorse materiali, quante vie si aprono alla vita e all'uomo, insomma lì si apprezza il lavoro manuale, l'agricoltura, i doni della terra, si fa esperienza della povertà per occuparsi della cura del proprio spirito. E noi abbiamo fatto esperienza delle fortune che possediamo che sono immense, soprattutto perché abbiamo la facoltà di scelta».
In questa mostra c'è tutto il vostro viaggio e il vostro racconto dell'India, ma se doveste condensare in una sola immagine l'impatto che vi ha dato questa terra?
«Sono troppe le immagini nella nostra testa e la nostra mostra lo fa vedere, ma sicuramente potremmo condensare l'animo dell'India nei sorrisi dei bambini per strada e negli sguardi profondi degli anziani. Questi sono infatti i due soggetti che contraddistinguono anche i nostri scatti».
Com'è nato questo viaggio?
«Ma guarda in modo molto naturale. Eravamo a bere qualcosa insieme e nel parlare del più e del meno abbiamo deciso di progettare un viaggio; un viaggio però che non fosse meta turistica e che fosse diverso dagli altri e così è venuto fuori il nome India. Quando lo abbiamo ufficializzato molti ci hanno chiesto cosa andassimo a fare in un posto così sporco e pericoloso, e a dir la verità non possiamo nascondere di aver avuto un po' di timore, ma la voglia di vedere quello che non siamo abituati a vedere era troppa».
Ci raccontate un episodio significativo o qualcosa che vi è capitato?
«Un giorno ci siamo fatte lasciare dall'autista in un villaggio ed è stato l'unico momento in cui ci siamo ritrovate sole in India. Naturalmente il nostro essere diverse: il nostro modo di vestire, il colore della pelle, persino i tessuti dei nostri vestiti rappresentavano qualcosa di strano e curioso per gli abitanti del posto, i quali hanno cominciato a seguirci, soprattutto i bambini. Ci avevano già detto che saremmo state seguite da sciami di ragazzini e così ci eravamo preparate a portar loro qualcosa in dono, che non fossero soldi, perché da quelle parti i bambini vengono picchiati o minacciati se guadagnano dei soldi e non li consegnano ai loro genitori; così portammo dei colori e dei fogli, ma la cosa strana fu che dovemmo spiegare ai bambini come si usavano…carta e colori sono materiali pregiati. E' stato un momento commovente, un'emozione che difficilmente riusciamo a spiegare».
Cosa vi aspettavate di trovare in India e cosa avete effettivamente trovato?
«Sapevamo di trovare molta povertà, ma vederla con i propri occhi è totalmente diverso. La povertà per noi è un tabù, non se ne parla, non la si vuole far vedere, eppure anche in occidente ce n'è tanta. Lì la povertà è la cosa più concreta che tu possa vedere, la senti sulla pelle, ma non ti spaventa perché è solo una questione materiale. Quella gente ha una ricchezza di spirito unica, nessuno ti nega mai un sorriso, perché infondo è l'unica cosa che ha da offrire. Sapevamo anche di trovare un paese multietnico e credevamo che le varie etnie vi convivessero pacificamente, ma così non è. Ci sono zone, come Varanasi ad esempio, in cui ci sono scontri violenti, soprattutto per la convivenza con l'etnia musulmana e addirittura non si possono fare foto. Diciamo in generale che non abbiamo avuto vita facile per fotografare, perché durante certi riti o durante certe manifestazioni è categorico il divieto di fare scatti».
Immagino che un'esperienza così vi abbia comunicato tanto, in termini di emozioni e non solo…
«A dir la verità non siamo riuscite fino ad ora a fare un discorso sull'India, insomma a parlarne in modo completo e forse la fotografia riuscirà a colmare queste mancanze. Emotivamente è stata un'esperienza scioccante che ha risvegliato la nostra percezione sensoriale e mentale e infatti la nostra mostra usa i cinque sensi per ricostruire in parte questa esperienza. L'India ci ha mostrato, nei suoi limiti di risorse materiali, quante vie si aprono alla vita e all'uomo, insomma lì si apprezza il lavoro manuale, l'agricoltura, i doni della terra, si fa esperienza della povertà per occuparsi della cura del proprio spirito. E noi abbiamo fatto esperienza delle fortune che possediamo che sono immense, soprattutto perché abbiamo la facoltà di scelta».