Politica
Dopo l'otto marzo. La riflessione di Stella Mele
«L'otto marzo di Barletta è già accaduto ad ottobre». Ancora troppi superficiali pregiudizi sulle donne, in politica e non solo
Barletta - sabato 10 marzo 2012
Il ruolo della donna nella società e nella politica è uno di quei temi che ogni tanto ritornano nel dibattito politico e non, e quasi sempre in occasione dell'8 Marzo. Proviamo,"a freddo", a fare di questa data un'occasione per fare il punto sulla situazione della Donna. Si chiama festa delle donne, ma in realtà è la commemorazione di una data tragica per le donne e i loro diritti. L'8 Marzo a New York 129 donne che protestavano per i propri diritti trovarono la morte a causa di un incendio che divampò nella fabbrica dove lavoravano. E', quindi, una data simbolica che, da troppi anni però, è diventata (ahinoi!) un misto di romantici doni di mimose e ipocrite parole femministe.
Negli anni si è infatti ridotta la questione del ruolo della donna (almeno in politica) ad una logica di numeri. Poche le donne ai posti alti della società, poche le donne in politica, trovando una facile soluzione nella dinamica delle quote, che è stata autorevolmente paragonata ad una logica da oasi protetta. Semplificando il ragionamento con un assioma, è come se si dicesse "le donne in politica sono poche, facciamo una legge che crei per loro una sorta di riserva indiana che ne obblighi la partecipazione". Trovo da sempre questa logica offensiva nel principio e potenzialmente inefficace nella prassi. La perfetta contraddizione dell'uguaglianza! Una discriminazione ("positiva"???) che parte da un'analisi malata e un po' offensiva nei confronti delle donne. Sembra, infatti, dire: "siccome non siamo in grado di guadagnarci da sole degli spazi, pretendiamo degli spazi che siano soltanto nostri". Il mondo è pieno, da destra a sinistra, di storie di donne che non ebbero bisogno di quote rosa per avere la loro quota di storia! E' vero, le difficoltà che si frappongono fra l'essere donna e il realizzare le proprie ambizioni sono tantissime, ma il problema è, piuttosto, tutto culturale. Non mi risulta che in Italia e in Europa ci siano leggi che impediscano alle donne di accedere alle più alte cariche pubbliche, che ne limitino l'accesso al lavoro, che impongano condizioni di inferiorità nei rapporti familiari, ma, nonostante questo, ancora manca molto per una effettiva parità di genere.
Allora, la prima battaglia culturale da vincere è quella di iniziare a considerare le donne non sulla base di giudizi superficiali come spesso capita di sentire. Io non ho mai sentito giudicare un uomo politico secondo la propria bellezza o eleganza. Una donna merita di avere ruoli e funzioni perché capace, non perché donna, né perché più o meno appariscente. Una seconda battaglia culturale riguarda la nostra capacità di capire che per ottenere le cose si deve combattere e agire. Troppe volte vedo donne che rinunciano, che preferiscono non combattere, non stringere i denti, non organizzare la propria vita anche secondo le proprie ambizioni.
Ecco, proviamo a cambiare l'impostazione, forti della consapevolezza che il nostro punto di vista, nella logica della complementarietà, è indispensabile in una migliore e più completa gestione della cosa pubblica. Noi donne, per tradizione, per formazione antica, per struttura mentale abbiamo la capacità di trovare una soluzione ai problemi, magari meno astrusa e contorta. Si dice: se vuoi che qualcosa venga detta dilla ad un uomo, se vuoi che venga fatta dilla ad una donna. Il brocardo non è perfettamente valido, esistono donne fumose e chiacchierone ed uomini con forte senso pratico. Ma dà l'idea di un differente approccio ai problemi. Questa può e deve essere la nostra forza. Con questo non voglio negare l'esistenza delle difficoltà che possano esistere per farlo, ma sono difficoltà logistiche e pratiche, che possono nascere dal nostro essere madri e mogli. Consentire alle donne di lavorare liberamente, di far carriera, di concentrarsi sulle proprie ambizioni, e per farlo è necessario dotarle di tutti quelli strumenti che alleggeriscano il peso del lavoro familiare. Asili nidi, scuole a tempo pieno, tutte cose che possano essere al passo con i tempi e che non costringano le donne a dover fare la dolorosa scelta fra la famiglia e la carriera.
E' solo su questo che dovrebbe essere concentrata la battaglia politica "delle donne dell'8 Marzo" e non su sterili rivendicazioni insensate. Lo dico con grande fermezza, perché l' "8 Marzo" a Barletta è accaduto ad Ottobre, con il crollo della palazzina in via Roma, quel 3 Ottobre in cui persero la vita cinque giovani donne nostre concittadine. Tina, Giovanna, Antonella, Matilde e la piccola Maria sono morte di lavoro nero, sono morte di insicurezza. Credo, al di là del caso specifico, che cittadini ed istituzioni debbano interrogarsi sul perché ancora oggi, nella nostra Città, ma anche in tanti altri posti d'Italia, siano ancora le donne a dover fare lavori nascosti o quelli pagati di meno. Barletta è stata segnata da una tragedia che ha colpito cinque donne, ma al tempo stesso tutte le donne. Potrebbe essere questa l'occasione per partire da noi, per essere un po' meno insensatamente femministe e un po' più unite per un'autentica battaglia di diritti».
Negli anni si è infatti ridotta la questione del ruolo della donna (almeno in politica) ad una logica di numeri. Poche le donne ai posti alti della società, poche le donne in politica, trovando una facile soluzione nella dinamica delle quote, che è stata autorevolmente paragonata ad una logica da oasi protetta. Semplificando il ragionamento con un assioma, è come se si dicesse "le donne in politica sono poche, facciamo una legge che crei per loro una sorta di riserva indiana che ne obblighi la partecipazione". Trovo da sempre questa logica offensiva nel principio e potenzialmente inefficace nella prassi. La perfetta contraddizione dell'uguaglianza! Una discriminazione ("positiva"???) che parte da un'analisi malata e un po' offensiva nei confronti delle donne. Sembra, infatti, dire: "siccome non siamo in grado di guadagnarci da sole degli spazi, pretendiamo degli spazi che siano soltanto nostri". Il mondo è pieno, da destra a sinistra, di storie di donne che non ebbero bisogno di quote rosa per avere la loro quota di storia! E' vero, le difficoltà che si frappongono fra l'essere donna e il realizzare le proprie ambizioni sono tantissime, ma il problema è, piuttosto, tutto culturale. Non mi risulta che in Italia e in Europa ci siano leggi che impediscano alle donne di accedere alle più alte cariche pubbliche, che ne limitino l'accesso al lavoro, che impongano condizioni di inferiorità nei rapporti familiari, ma, nonostante questo, ancora manca molto per una effettiva parità di genere.
Allora, la prima battaglia culturale da vincere è quella di iniziare a considerare le donne non sulla base di giudizi superficiali come spesso capita di sentire. Io non ho mai sentito giudicare un uomo politico secondo la propria bellezza o eleganza. Una donna merita di avere ruoli e funzioni perché capace, non perché donna, né perché più o meno appariscente. Una seconda battaglia culturale riguarda la nostra capacità di capire che per ottenere le cose si deve combattere e agire. Troppe volte vedo donne che rinunciano, che preferiscono non combattere, non stringere i denti, non organizzare la propria vita anche secondo le proprie ambizioni.
Ecco, proviamo a cambiare l'impostazione, forti della consapevolezza che il nostro punto di vista, nella logica della complementarietà, è indispensabile in una migliore e più completa gestione della cosa pubblica. Noi donne, per tradizione, per formazione antica, per struttura mentale abbiamo la capacità di trovare una soluzione ai problemi, magari meno astrusa e contorta. Si dice: se vuoi che qualcosa venga detta dilla ad un uomo, se vuoi che venga fatta dilla ad una donna. Il brocardo non è perfettamente valido, esistono donne fumose e chiacchierone ed uomini con forte senso pratico. Ma dà l'idea di un differente approccio ai problemi. Questa può e deve essere la nostra forza. Con questo non voglio negare l'esistenza delle difficoltà che possano esistere per farlo, ma sono difficoltà logistiche e pratiche, che possono nascere dal nostro essere madri e mogli. Consentire alle donne di lavorare liberamente, di far carriera, di concentrarsi sulle proprie ambizioni, e per farlo è necessario dotarle di tutti quelli strumenti che alleggeriscano il peso del lavoro familiare. Asili nidi, scuole a tempo pieno, tutte cose che possano essere al passo con i tempi e che non costringano le donne a dover fare la dolorosa scelta fra la famiglia e la carriera.
E' solo su questo che dovrebbe essere concentrata la battaglia politica "delle donne dell'8 Marzo" e non su sterili rivendicazioni insensate. Lo dico con grande fermezza, perché l' "8 Marzo" a Barletta è accaduto ad Ottobre, con il crollo della palazzina in via Roma, quel 3 Ottobre in cui persero la vita cinque giovani donne nostre concittadine. Tina, Giovanna, Antonella, Matilde e la piccola Maria sono morte di lavoro nero, sono morte di insicurezza. Credo, al di là del caso specifico, che cittadini ed istituzioni debbano interrogarsi sul perché ancora oggi, nella nostra Città, ma anche in tanti altri posti d'Italia, siano ancora le donne a dover fare lavori nascosti o quelli pagati di meno. Barletta è stata segnata da una tragedia che ha colpito cinque donne, ma al tempo stesso tutte le donne. Potrebbe essere questa l'occasione per partire da noi, per essere un po' meno insensatamente femministe e un po' più unite per un'autentica battaglia di diritti».