Cronaca
Donne rumene considerate "bagagli", 12 ordinanze per prostituzione, droga, riduzione in schiavitù
Gli sviluppi dell'operazione "Transilvania"
Barletta - mercoledì 12 marzo 2014
12.30
Sono 12 i soggetti colpiti da un'ordinanza di custodia cautelare, nell'ambito dell'operazione "Transilvania", condotta dalle fiamme gialle della Tenenza di Molfetta contro un gruppo criminale, composto da nove rumeni e tre italiani, dedito alla commissione di efferati reati nel territorio di Terlizzi (Ba) e Bisceglie (Bt). All'operazione ha partecipato anche la Guardia Di Finanza di Barletta, il Nucleo PT di Potenza, il Gruppo Pronto Impiego di Bari, le Compagnie di Trani e Lauria (Pz) e della Tenenza di Andria. Le indagini si sono svolte sotto il coordinamento del Sostituto Procuratore dott. Giuseppe Gatti, della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Bari.
Questa mattina si è tenuta una conferenza stampa, presso la caserma della Guardia di Finanza di Barletta in Piazza Marina, durante la quale, il Comandante provinciale Generale Vincenzo Papuli, il Comandante Giuseppe Cardellicchio del Gruppo di Barletta e il Tenente Giuseppe Parisi del Gruppo di Molfetta, hanno illustrato i dettagli dell'operazione.
Le indagini, durate circa un anno, sono partite da una denuncia telefonica al 117 da parte di due prostitute rumene, e hanno svelato le attività criminali di un gruppo di soggetti di nazionalità rumena i quali riducevano e mantenevano in uno stato di soggezione continuativa alcune ragazze rumene, costringendole a prostituirsi per strada nel tratto della S.P. 231 nel territorio di Terlizzi, sfruttando ed agevolando lo svolgimento di tali remunerative attività. E' emerso inoltre che gli stessi soggetti, unitamente ad altre persone indagate, erano dediti ad attività connesse allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Per entrambi i filoni investigativi è risultato di fondamentale importanza il supporto di più di 40mila intercettazioni telefoniche, il cui contenuto risultava sovente connotato di particolari agghiaccianti a testimonianza dell'elevata efferatezza degli indagati. Per la ricostruzione delle conversazioni le forze dell'ordine si sono avvalse della collaborazioni di 2 interpreti rumeni. Numerose sono le conversazioni tra le ragazze costrette alla prostituzione ed i loro padroni/sfruttatori che documentano l'assoggettamento totale delle giovani donne, il loro metodico, quotidiano sfruttamento che garantiva significativi introiti parassitari ai prevenuti. Quando parlavano tra loro, gli indagati, si riferivano alle ragazze rumene definendole spesso come "bagagli", manifestando, in tal modo, tutto il loro disprezzo per la dignità personale delle vittime.
Le indagini hanno fatto luce sulla sconcertante vita quotidiana di queste giovanissime ragazze, sfruttate dai loro connazionali, portate in Italia con false promesse di matrimonio e comunque di una vita migliore e poi private dei documenti ed avviate al meretricio sotto il costante controllo dei loro sfruttatori e di altri soggetti che con loro collaboravano, con compiti svariati, nell'attività illecita. Le giovani rumene, che non disponevano di documenti, si trovavano, infatti, costrette a svolgere il meretricio in una evidente condizione di schiavitù o comunque di asservimento e di soggezione continuativa imposta dal loro "capo".
E' stato appurato che gli arrestati avevano in precedenza acquistato "a tempo" le ragazze dai loro precedenti padroni e le avevano introdotte in Italia mediante l'inganno (promesse di lavoro o di matrimonio) con lo specifico obiettivo di farle lavorare per 4-5 mesi come prostitute per ricavare proventi economici da investire per acquisti immobiliari, per poi, dopo averle "spremute" al massimo, permutarle con l'acquisto di altre ragazze "più fresche".
Gli sfruttatori riscuotevano la quasi totalità dei proventi del meretricio, imponendo alle giovani donne gli orari di lavoro, le tariffe da richiedere ai clienti e gli incassi giornalieri da conseguire per poter tornare a casa senza essere picchiate, cosa che, in realtà, avveniva invece di sovente. Sulla strada non erano ammessi ritardi, non erano consentite pause né tantomeno era possibile, per le ragazze rumene, abbandonare, anche solo temporaneamente, il luogo di lavoro o perdere troppo tempo con i singoli clienti. Per ogni minima esigenza personale, le giovani dovevano chiedere ed ottenere il permesso dal loro padrone, come ad esempio, per effettuare una semplice ricarica al telefono cellulare. Erano costanti le minacce finalizzate a tenere le giovani costantemente sotto pressione, nella prospettiva di potenziare la loro produttività lavorativa. Era inammissibile ogni forma di lamentela e, se si rientrava a casa lasciando il lavoro prima del previsto, si veniva accolte con esplicite minacce all'incolumità fisica, stessa cosa se non si guadagnava abbastanza.
Lo spazio di autodeterminazione delle ragazze veniva negato anche quando si trattava, come in un caso, di scelte delicate, come quelle di portare o meno a termine un'eventuale gravidanza.
Questa mattina si è tenuta una conferenza stampa, presso la caserma della Guardia di Finanza di Barletta in Piazza Marina, durante la quale, il Comandante provinciale Generale Vincenzo Papuli, il Comandante Giuseppe Cardellicchio del Gruppo di Barletta e il Tenente Giuseppe Parisi del Gruppo di Molfetta, hanno illustrato i dettagli dell'operazione.
Le indagini, durate circa un anno, sono partite da una denuncia telefonica al 117 da parte di due prostitute rumene, e hanno svelato le attività criminali di un gruppo di soggetti di nazionalità rumena i quali riducevano e mantenevano in uno stato di soggezione continuativa alcune ragazze rumene, costringendole a prostituirsi per strada nel tratto della S.P. 231 nel territorio di Terlizzi, sfruttando ed agevolando lo svolgimento di tali remunerative attività. E' emerso inoltre che gli stessi soggetti, unitamente ad altre persone indagate, erano dediti ad attività connesse allo spaccio di sostanze stupefacenti.
Per entrambi i filoni investigativi è risultato di fondamentale importanza il supporto di più di 40mila intercettazioni telefoniche, il cui contenuto risultava sovente connotato di particolari agghiaccianti a testimonianza dell'elevata efferatezza degli indagati. Per la ricostruzione delle conversazioni le forze dell'ordine si sono avvalse della collaborazioni di 2 interpreti rumeni. Numerose sono le conversazioni tra le ragazze costrette alla prostituzione ed i loro padroni/sfruttatori che documentano l'assoggettamento totale delle giovani donne, il loro metodico, quotidiano sfruttamento che garantiva significativi introiti parassitari ai prevenuti. Quando parlavano tra loro, gli indagati, si riferivano alle ragazze rumene definendole spesso come "bagagli", manifestando, in tal modo, tutto il loro disprezzo per la dignità personale delle vittime.
Le indagini hanno fatto luce sulla sconcertante vita quotidiana di queste giovanissime ragazze, sfruttate dai loro connazionali, portate in Italia con false promesse di matrimonio e comunque di una vita migliore e poi private dei documenti ed avviate al meretricio sotto il costante controllo dei loro sfruttatori e di altri soggetti che con loro collaboravano, con compiti svariati, nell'attività illecita. Le giovani rumene, che non disponevano di documenti, si trovavano, infatti, costrette a svolgere il meretricio in una evidente condizione di schiavitù o comunque di asservimento e di soggezione continuativa imposta dal loro "capo".
E' stato appurato che gli arrestati avevano in precedenza acquistato "a tempo" le ragazze dai loro precedenti padroni e le avevano introdotte in Italia mediante l'inganno (promesse di lavoro o di matrimonio) con lo specifico obiettivo di farle lavorare per 4-5 mesi come prostitute per ricavare proventi economici da investire per acquisti immobiliari, per poi, dopo averle "spremute" al massimo, permutarle con l'acquisto di altre ragazze "più fresche".
Gli sfruttatori riscuotevano la quasi totalità dei proventi del meretricio, imponendo alle giovani donne gli orari di lavoro, le tariffe da richiedere ai clienti e gli incassi giornalieri da conseguire per poter tornare a casa senza essere picchiate, cosa che, in realtà, avveniva invece di sovente. Sulla strada non erano ammessi ritardi, non erano consentite pause né tantomeno era possibile, per le ragazze rumene, abbandonare, anche solo temporaneamente, il luogo di lavoro o perdere troppo tempo con i singoli clienti. Per ogni minima esigenza personale, le giovani dovevano chiedere ed ottenere il permesso dal loro padrone, come ad esempio, per effettuare una semplice ricarica al telefono cellulare. Erano costanti le minacce finalizzate a tenere le giovani costantemente sotto pressione, nella prospettiva di potenziare la loro produttività lavorativa. Era inammissibile ogni forma di lamentela e, se si rientrava a casa lasciando il lavoro prima del previsto, si veniva accolte con esplicite minacce all'incolumità fisica, stessa cosa se non si guadagnava abbastanza.
Lo spazio di autodeterminazione delle ragazze veniva negato anche quando si trattava, come in un caso, di scelte delicate, come quelle di portare o meno a termine un'eventuale gravidanza.