La città
Don Filippo Salvo: «Non cediamo al mercato dei voti comprati»
Intervista al vicario episcopale di Barletta. «La città ha bisogno di quel largo respiro, attualmente mortificato»
Barletta - venerdì 22 marzo 2013
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Le elezioni amministrative di maggio si avvicinano. Tante sono le questioni aperte nella nostra città. Tra queste vi è il grave problema della compravendita dei voti, che mina alla base l'esercizio di questo diritto e dovere civico, e che è già stato al centro nel periodo delle elezioni amministrative del 2011. Barlettalife ha perciò lanciato la campagna di sensibilizzazione S.O.S IO VOTO LIBERO. Abbiamo intervistato don Filippo Salvo, vicario episcopale di Barletta, sul tema, e sulle iniziative che la Chiesa intraprenderà a riguardo.
Tra due mesi Barletta sarà chiamata ad eleggere sindaco e consiglio comunale. Basterà il vostro appello di inizio anno per invitare ad una migliore politica e ad un voto consapevole?
«Il nostro è stato un appello etico, rivolto alla coscienze, non soltanto della città, ma soprattutto alle coscienze di coloro che saranno chiamati ad amministrare questa città. Un appello etico, nel senso più bello del termine, perché ci rifacciamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che ci ricorda come qui sia in gioco il bene comune di tutte le parti. Il nostro appello è scaturito dopo una discussione fatta in seno al Consiglio Pastorale zonale, composto di laici, che rappresentano tutte le realtà ecclesiali della città e non, e sulla base di più incontri di Clero, con l'approvazione dell'Arcivescovo. Una necessità che abbiamo sentito di rivolgerci ed interloquire con la città, per sentire realmente questo bisogno di riprendere temi caldi. Mai come oggi il termometro della situazione le parrocchie ce l'hanno in maniera molto forte: vuoi perché la gente è priva di speranze, vuoi perché è il lavoro che manca, vuoi il futuro generazionale, la necessità educativa. E qui entra in gioco anche il voto di scambio, il voto controllato, i pacchetti di voti già pronti. Vi è un'etica educativa che deve essere salvaguardata, ponendoci la domanda: che tipo di città io voglio? Che tipo di realtà desidero costruire, proprio partendo dal voto?».
Avete prossime iniziative in programma?
«Dopo l'appello di inizio anno, seguirà un secondo appello, che sarà congiunto alle altre città della Diocesi che avranno come noi le elezioni amministrative, e che credo pubblicheremo in aprile».
Ci saranno confronti con i candidati sindaco, come si sono svolti due anni fa in alcune parrocchie?
«No, non ci saranno confronti. Non ospiteremo confronti, perché il confronto si pone sulla equidistanza. Noi non siamo un'agenzia chiamata a fare politica nel senso partitico, il nostro è un fare politica nel senso greco del termine, vogliamo fare il bene della polis, della città. Il confronto sarà sull'ampia o non ampia gamma di personaggi che saranno chiamati ad esprimere il volto di chi dovrà essere votato. Su quello ci sarà un confronto, non a livello pubblico, ma di una realtà ecclesiale che dovrà chiedersi quale di questi candidati esprime o salvaguardia quelli che sono valori non negoziabili ai quali teniamo: la vita, la famiglia, il lavoro, il bene per tutti. Altrimenti dobbiamo fare ancora una volta il mea culpa e continuare a dire che non è la scelta su un'ampia gamma, ma è la scelta del politico che voglio seguire, cosa che non è possibile fare».
Anche nei temi del Sinodo Diocesano c'è il rapporto con e le aspettative verso la politica. Che risposte si attendono?
«Già la parola Sinodo significa camminare insieme, e poi dobbiamo anche dirci che il rapporto tra realtà ecclesiale e politica è un rapporto da sempre. Una volta chiarito che la politica è l'ampio raggio di un interesse per la città e per il bene comune, bisogna dire che da sempre la Chiesa è inserita in un discorso politico, di amore per le realtà per cui vale la pena spendersi. Noi non vogliamo assolutamente né schieramenti di parte, né personaggi a cui legarci, né sentirci bacini dai quali attingere unicamente voti. Noi vogliamo sentirci parte integrante della città, che collabora perché si possa parlare delle città, come luoghi educativi e di crescita, cosa di cui attualmente io dubito si possa parlare. Ecco perché dico che la Chiesa da sempre ha fatto politica, ha fatto un'opera educativa, legata ai momenti storici. Vorrei che si lavorasse un po' di più sul riappropriarci dei nostri ruoli, dei nostri spazi reali di ingresso nella società, dove non servono le condizioni puritane ("io non ci sono perché non voglio sporcarmi le mani"), ma dove rientriamo in una logica passata, dove la Chiesa non ha soltanto garantito il culto, ma ha anche scandito la vita del popolo, con la forza etica e morale».
Le parrocchie hanno gli anticorpi etici e morali per respingere azioni di propaganda politica al loro interno?
«Certo che ce li hanno. Basta soltanto essere certi che il politicante di turno che ti arriva in sacrestia e che considera me parroco come interlocutore privilegiato in quel momento, a me non da credibilità, non posso legarmi a quella situazione. Io direi alla persone che viene in sacrestia (ecco gli anticorpi): hai un programma su cui confrontarci? Hai un'idea? Confrontiamoci su quella. Poi spetterà alla mia coscienza il voto, il no voto. Io programmi attualmente non ne vedo ancora in giro. Questo è il lavoro che noi parrocchie faremo, senza assicurare a nessuno nulla che possa essere la minima presunzione di voto».
Le parrocchie sono e saranno in grado di veicolare quegli anticorpi etici e morali per riconoscere l'importanza del voto?
«Credo che questa domanda apra due fronti. Il primo è, da parte nostra, convincere le persone su alcuni valori: se sei cristiano, lo sei fino in fondo, con valori non negoziabili; non cedere a quel mercato di voti comprati, già preparati a tavolino, per cui si governa la città imprigionandola; non dire alla gente chi votare, ma dire che il voto è importante come espressione di una corresponsabilità, non siamo chiamati ad esprimere preferenze, ma ad esprimere la convinzione che nel voto, non il voto di protesta, non il voto che vuole essere quasi la mortificazione ancora di ideali per questa città, ma il voto cosciente, qualunque esso sia. Dall'altra parte credo che si apra un altro spiraglio: quello di invitare chi amministrerà la nostra città a rendersi conto che c'è bisogno di un largo respiro. Questo largo respiro attualmente è stato mortificato, per tante situazioni. Per esempio: il pullulare della delinquenza. La gente non ha sicurezza. La città che si rinchiude su se stessa. Barletta che negli anni ottanta ha vissuto un'opulenza, dovuta agli opifici, alle piccole iniziative economiche personali, oggi per tanti versi tutte queste cose sono finite. C'è da ridare anche a chi vorrà amministrare quel coraggio, quella forza, quel battito d'ali in più, perché veramente ci sia il coraggio di riprendere in mano una città».
Tra due mesi Barletta sarà chiamata ad eleggere sindaco e consiglio comunale. Basterà il vostro appello di inizio anno per invitare ad una migliore politica e ad un voto consapevole?
«Il nostro è stato un appello etico, rivolto alla coscienze, non soltanto della città, ma soprattutto alle coscienze di coloro che saranno chiamati ad amministrare questa città. Un appello etico, nel senso più bello del termine, perché ci rifacciamo alla Dottrina Sociale della Chiesa, che ci ricorda come qui sia in gioco il bene comune di tutte le parti. Il nostro appello è scaturito dopo una discussione fatta in seno al Consiglio Pastorale zonale, composto di laici, che rappresentano tutte le realtà ecclesiali della città e non, e sulla base di più incontri di Clero, con l'approvazione dell'Arcivescovo. Una necessità che abbiamo sentito di rivolgerci ed interloquire con la città, per sentire realmente questo bisogno di riprendere temi caldi. Mai come oggi il termometro della situazione le parrocchie ce l'hanno in maniera molto forte: vuoi perché la gente è priva di speranze, vuoi perché è il lavoro che manca, vuoi il futuro generazionale, la necessità educativa. E qui entra in gioco anche il voto di scambio, il voto controllato, i pacchetti di voti già pronti. Vi è un'etica educativa che deve essere salvaguardata, ponendoci la domanda: che tipo di città io voglio? Che tipo di realtà desidero costruire, proprio partendo dal voto?».
Avete prossime iniziative in programma?
«Dopo l'appello di inizio anno, seguirà un secondo appello, che sarà congiunto alle altre città della Diocesi che avranno come noi le elezioni amministrative, e che credo pubblicheremo in aprile».
Ci saranno confronti con i candidati sindaco, come si sono svolti due anni fa in alcune parrocchie?
«No, non ci saranno confronti. Non ospiteremo confronti, perché il confronto si pone sulla equidistanza. Noi non siamo un'agenzia chiamata a fare politica nel senso partitico, il nostro è un fare politica nel senso greco del termine, vogliamo fare il bene della polis, della città. Il confronto sarà sull'ampia o non ampia gamma di personaggi che saranno chiamati ad esprimere il volto di chi dovrà essere votato. Su quello ci sarà un confronto, non a livello pubblico, ma di una realtà ecclesiale che dovrà chiedersi quale di questi candidati esprime o salvaguardia quelli che sono valori non negoziabili ai quali teniamo: la vita, la famiglia, il lavoro, il bene per tutti. Altrimenti dobbiamo fare ancora una volta il mea culpa e continuare a dire che non è la scelta su un'ampia gamma, ma è la scelta del politico che voglio seguire, cosa che non è possibile fare».
Anche nei temi del Sinodo Diocesano c'è il rapporto con e le aspettative verso la politica. Che risposte si attendono?
«Già la parola Sinodo significa camminare insieme, e poi dobbiamo anche dirci che il rapporto tra realtà ecclesiale e politica è un rapporto da sempre. Una volta chiarito che la politica è l'ampio raggio di un interesse per la città e per il bene comune, bisogna dire che da sempre la Chiesa è inserita in un discorso politico, di amore per le realtà per cui vale la pena spendersi. Noi non vogliamo assolutamente né schieramenti di parte, né personaggi a cui legarci, né sentirci bacini dai quali attingere unicamente voti. Noi vogliamo sentirci parte integrante della città, che collabora perché si possa parlare delle città, come luoghi educativi e di crescita, cosa di cui attualmente io dubito si possa parlare. Ecco perché dico che la Chiesa da sempre ha fatto politica, ha fatto un'opera educativa, legata ai momenti storici. Vorrei che si lavorasse un po' di più sul riappropriarci dei nostri ruoli, dei nostri spazi reali di ingresso nella società, dove non servono le condizioni puritane ("io non ci sono perché non voglio sporcarmi le mani"), ma dove rientriamo in una logica passata, dove la Chiesa non ha soltanto garantito il culto, ma ha anche scandito la vita del popolo, con la forza etica e morale».
Le parrocchie hanno gli anticorpi etici e morali per respingere azioni di propaganda politica al loro interno?
«Certo che ce li hanno. Basta soltanto essere certi che il politicante di turno che ti arriva in sacrestia e che considera me parroco come interlocutore privilegiato in quel momento, a me non da credibilità, non posso legarmi a quella situazione. Io direi alla persone che viene in sacrestia (ecco gli anticorpi): hai un programma su cui confrontarci? Hai un'idea? Confrontiamoci su quella. Poi spetterà alla mia coscienza il voto, il no voto. Io programmi attualmente non ne vedo ancora in giro. Questo è il lavoro che noi parrocchie faremo, senza assicurare a nessuno nulla che possa essere la minima presunzione di voto».
Le parrocchie sono e saranno in grado di veicolare quegli anticorpi etici e morali per riconoscere l'importanza del voto?
«Credo che questa domanda apra due fronti. Il primo è, da parte nostra, convincere le persone su alcuni valori: se sei cristiano, lo sei fino in fondo, con valori non negoziabili; non cedere a quel mercato di voti comprati, già preparati a tavolino, per cui si governa la città imprigionandola; non dire alla gente chi votare, ma dire che il voto è importante come espressione di una corresponsabilità, non siamo chiamati ad esprimere preferenze, ma ad esprimere la convinzione che nel voto, non il voto di protesta, non il voto che vuole essere quasi la mortificazione ancora di ideali per questa città, ma il voto cosciente, qualunque esso sia. Dall'altra parte credo che si apra un altro spiraglio: quello di invitare chi amministrerà la nostra città a rendersi conto che c'è bisogno di un largo respiro. Questo largo respiro attualmente è stato mortificato, per tante situazioni. Per esempio: il pullulare della delinquenza. La gente non ha sicurezza. La città che si rinchiude su se stessa. Barletta che negli anni ottanta ha vissuto un'opulenza, dovuta agli opifici, alle piccole iniziative economiche personali, oggi per tanti versi tutte queste cose sono finite. C'è da ridare anche a chi vorrà amministrare quel coraggio, quella forza, quel battito d'ali in più, perché veramente ci sia il coraggio di riprendere in mano una città».