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Cafierolife e i suoi tutor: il confronto con la professoressa Abbate
Prima intervista delle praticanti: risposte a cuore aperto
Barletta - martedì 18 febbraio 2014
11.14
Non si arresta il progetto Cafierolife. Questa interessante iniziativa è un'opportunità che viene offerta agli studenti del liceo scientifico "Carlo Cafiero" e che ha il fine di creare un ponte tra i banchi di scuola e il mondo del lavoro, attraverso la redazione giornalistica di Barlettalife. A tal proposito abbiamo intervistato le professoresse Chiara Abbate e Renata Lanciano, tutor e sostenitrici del progetto "Alternanza Scuola-Lavoro", ricavando informazioni non solo relative al progetto, ma anche alla loro personale esperienza come insegnanti. Cominciamo oggi con l'intervento della professoressa Abbate, in attesa di pubblicare le successive interviste nei prossimi giorni.
Claudia Lomuscio: «Sappiamo che lei non ama Facebook e in generale i social network. Come mai?»
Prof.ssa Abbate: «La ragione è ascrivibile al fatto che io tengo alle relazioni personali, non virtuali. Sui social network, generalmente, si è quello che si vuole essere ma non quello che si è. Quello che si è, si percepisce dalla comunicazione verbale. Inoltre è uno strumento che diventa a volte pericoloso, perciò preferisco evitarlo».
Angela Rizzi: «Con il progetto alternanza scuola lavoro ci siamo allontanati dall'ambito scolastico, avvicinandoci a qualcosa di diverso, ma comunque formativo. Cosa ne pensa?»
Prof.ssa Abbate: «Avevate bisogno di una forte motivazione, perciò ho insistito affinché voi, classe terza H, partecipaste al progetto come parte integrante, che ne foste l'anima. Perché nelle cose che si fanno, e nello studio, ci vuole motivazione, e voi non ne avevate. Mi auguro che voi stiate capendo che per raggiungere i propri obiettivi bisogna formarsi e che è fondamentale amare quello che si fa».
Viviana Cafagna: «Ha mai pensato che avrebbe rilasciato un'intervista come insegnante?»
Prof.ssa Abbate: «No. Io non amo essere ripresa, né fotografata, né tantomeno raccontarmi. La vita è la vostra, non dovete vivere nell'ombra delle mie esperienze».
Simona Antonucci: «Qual è la cosa che più odia del suo lavoro?»
Prof.ssa Abbate: «Mettere i voti. Perché significa, in alcuni casi, entrare nella stima e nell'autostima del ragazzo. Quando si mette un voto basso, lo si fa per punire il ragazzo, ma anche per aiutarlo. Tuttavia, per il fatto di essere immaturo, lui lo vive esclusivamente come un momento infelice, come una punizione. Perciò io vorrei che la valutazione non fosse un numero, ma un discorso, un giudizio. Io non amo mettere i voti, è la cosa che mi piace di meno».
Stefania Ricatti: «Ha sempre desiderato fare l'insegnante o aveva, e ha ancora, un sogno nel cassetto?»
Prof.ssa Abbate: «Da quando avevo dieci anni, da quando giocavo con le bambole, il mio sogno è sempre stato insegnare. Perché si ha la relazione umana costante con gli altri: ogni giorno storie e persone che si avvicendano nella mia vita. Poiché non riesco a vivere senza questo contatto, non ho mai pensato di fare altro. Non per presunzione di saper insegnare, ma per bisogno. Io non penso di sapere, penso invece di avere bisogno che gli altri insegnino a me. E gli alunni riescono sempre ad insegnarmi qualcosa, in questo scambio generazionale».
Carmela Caporusso: «Quale settore del progetto preferisce?»
Prof.ssa Abbate: «Il settore comunicazione, quindi l'esperienza giornalistica e il montaggio video sono quelli che mi piacciono di più, poiché abbracciano tante possibilità. L'attività svolta negli uffici del Comune è diversa, forse più impiegatizia, ma comunque utile alla comunità».
Antonella Tatò: «Per questo progetto è stata scelta una classe del liceo linguistico. Pensa che sia importante la conoscenza delle lingue?»
Prof.ssa Abbate: «Sì, io penso sia molto importante. Personalmente non conosco nessuna lingua straniera, ma penso che sia fondamentale per conoscere le altre culture. La cultura italiana rappresenta la nostra identità, ma non è la più bella del mondo. Conoscere la lingua francese, spagnola, inglese, ovvero le lingue previste dall'offerta formativa di questa scuola e, come probabilmente avverrà in futuro, anche la lingua tedesca o cinese, significa conoscere altre culture, sconosciute ma affascinanti».
Mario Sculco: «Abbiamo condiviso, alla stessa età di queste ragazze, i banchi di scuola, e questo mi fa pensare ad un'età (non troppo lontana per fortuna) ed un periodo bellissimi. Queste ragazze hanno uno sguardo molto vivo, ed è la prima cosa che ho notato appena entrato nella loro classe. Probabilmente si sono avvicinate a questo progetto con molta voglia di fare. Sei la loro docente, pensi che la vita per loro sarà sempre così bella e interessante?»
Prof.ssa Abbate: «Io sono giunta alla deduzione che la felicita è uno stato mentale: non ti capitano le cose che ti fanno essere felice ma bisogna cogliere in ciò che ci accade la chiave della felicità. Se loro mantengono sempre il loro entusiasmo in ciò che fanno saranno felici. Un insegnante prova molte delusioni perché non vede quasi mai i frutti della sua semina. In genere, nel mio lavoro, semino per poi raccogliere, forse, dopo molti anni. Però, se loro mantengono l'entusiasmo che hanno oggi e si impegnano a mantenerlo, potranno essere felici. È vero che a loro la vita offre meno possibilità, probabilmente anche a noi non ne offriva molte, ma loro devono sapersi guadagnare il loro spazio, con l'etica del saperselo guadagnare. E poi bisogna accontentarsi di quello che si ha, per essere felici».
Claudia Lomuscio: «Sappiamo che lei non ama Facebook e in generale i social network. Come mai?»
Prof.ssa Abbate: «La ragione è ascrivibile al fatto che io tengo alle relazioni personali, non virtuali. Sui social network, generalmente, si è quello che si vuole essere ma non quello che si è. Quello che si è, si percepisce dalla comunicazione verbale. Inoltre è uno strumento che diventa a volte pericoloso, perciò preferisco evitarlo».
Angela Rizzi: «Con il progetto alternanza scuola lavoro ci siamo allontanati dall'ambito scolastico, avvicinandoci a qualcosa di diverso, ma comunque formativo. Cosa ne pensa?»
Prof.ssa Abbate: «Avevate bisogno di una forte motivazione, perciò ho insistito affinché voi, classe terza H, partecipaste al progetto come parte integrante, che ne foste l'anima. Perché nelle cose che si fanno, e nello studio, ci vuole motivazione, e voi non ne avevate. Mi auguro che voi stiate capendo che per raggiungere i propri obiettivi bisogna formarsi e che è fondamentale amare quello che si fa».
Viviana Cafagna: «Ha mai pensato che avrebbe rilasciato un'intervista come insegnante?»
Prof.ssa Abbate: «No. Io non amo essere ripresa, né fotografata, né tantomeno raccontarmi. La vita è la vostra, non dovete vivere nell'ombra delle mie esperienze».
Simona Antonucci: «Qual è la cosa che più odia del suo lavoro?»
Prof.ssa Abbate: «Mettere i voti. Perché significa, in alcuni casi, entrare nella stima e nell'autostima del ragazzo. Quando si mette un voto basso, lo si fa per punire il ragazzo, ma anche per aiutarlo. Tuttavia, per il fatto di essere immaturo, lui lo vive esclusivamente come un momento infelice, come una punizione. Perciò io vorrei che la valutazione non fosse un numero, ma un discorso, un giudizio. Io non amo mettere i voti, è la cosa che mi piace di meno».
Stefania Ricatti: «Ha sempre desiderato fare l'insegnante o aveva, e ha ancora, un sogno nel cassetto?»
Prof.ssa Abbate: «Da quando avevo dieci anni, da quando giocavo con le bambole, il mio sogno è sempre stato insegnare. Perché si ha la relazione umana costante con gli altri: ogni giorno storie e persone che si avvicendano nella mia vita. Poiché non riesco a vivere senza questo contatto, non ho mai pensato di fare altro. Non per presunzione di saper insegnare, ma per bisogno. Io non penso di sapere, penso invece di avere bisogno che gli altri insegnino a me. E gli alunni riescono sempre ad insegnarmi qualcosa, in questo scambio generazionale».
Carmela Caporusso: «Quale settore del progetto preferisce?»
Prof.ssa Abbate: «Il settore comunicazione, quindi l'esperienza giornalistica e il montaggio video sono quelli che mi piacciono di più, poiché abbracciano tante possibilità. L'attività svolta negli uffici del Comune è diversa, forse più impiegatizia, ma comunque utile alla comunità».
Antonella Tatò: «Per questo progetto è stata scelta una classe del liceo linguistico. Pensa che sia importante la conoscenza delle lingue?»
Prof.ssa Abbate: «Sì, io penso sia molto importante. Personalmente non conosco nessuna lingua straniera, ma penso che sia fondamentale per conoscere le altre culture. La cultura italiana rappresenta la nostra identità, ma non è la più bella del mondo. Conoscere la lingua francese, spagnola, inglese, ovvero le lingue previste dall'offerta formativa di questa scuola e, come probabilmente avverrà in futuro, anche la lingua tedesca o cinese, significa conoscere altre culture, sconosciute ma affascinanti».
Mario Sculco: «Abbiamo condiviso, alla stessa età di queste ragazze, i banchi di scuola, e questo mi fa pensare ad un'età (non troppo lontana per fortuna) ed un periodo bellissimi. Queste ragazze hanno uno sguardo molto vivo, ed è la prima cosa che ho notato appena entrato nella loro classe. Probabilmente si sono avvicinate a questo progetto con molta voglia di fare. Sei la loro docente, pensi che la vita per loro sarà sempre così bella e interessante?»
Prof.ssa Abbate: «Io sono giunta alla deduzione che la felicita è uno stato mentale: non ti capitano le cose che ti fanno essere felice ma bisogna cogliere in ciò che ci accade la chiave della felicità. Se loro mantengono sempre il loro entusiasmo in ciò che fanno saranno felici. Un insegnante prova molte delusioni perché non vede quasi mai i frutti della sua semina. In genere, nel mio lavoro, semino per poi raccogliere, forse, dopo molti anni. Però, se loro mantengono l'entusiasmo che hanno oggi e si impegnano a mantenerlo, potranno essere felici. È vero che a loro la vita offre meno possibilità, probabilmente anche a noi non ne offriva molte, ma loro devono sapersi guadagnare il loro spazio, con l'etica del saperselo guadagnare. E poi bisogna accontentarsi di quello che si ha, per essere felici».