Territorio
“Antiche ricette”, eterno sapere: le voci di chi promuove la nostra terra
«Il Bio è un brand, necessaria una carta dei vini di Puglia»
Barletta - venerdì 29 agosto 2014
21.22
Tornare alle origini per ricercare l'innovazione. D'altronde Feuerbach con la massima "l'uomo è ciò che mangia" e Van Gogh con la tela "i mangiatori di patate" sono stati estremamente innovativi nel guardare alle radici terrose come le ali dell'uomo moderno. Ed è proprio per rientrare nel tubero sotterrato delle nostre tradizioni che il 30 e il 31 agosto i cancelli della Villa Bonelli di Barletta saranno aperti dalle ore 19 alle 24, per la preparazione e degustazione di piatti tipici della regione Puglia. Chi segue la rubrica di Barlettaviva Sapori&Saperi già ne saprà qualcosa, ma per capire cosa effettivamente bolle in pentola, abbiamo incontrato il Presidente di Cuorepuglia.it Giuseppe Gammarrota, l'organizzatore dell'evento-in collaborazione con l'assessorato alla Cultura del Comune di Barletta- Giacinto Damato e il Presidente di Acp Bat (Associazione cuochi e pasticceri) Michele Cocco. Un coro a tre voci, denso di competenze, cosciente del territorio e collaborativo sul piano della produzione, ristorazione e promozione.
Com'è nata l'idea di raccogliere le ricette nostrane in un libro?
«Da sempre, Cuorepuglia e Acp Bat lavorano sinergicamente per organizzare una serie di eventi, atti alla promozione della cucina locale; l'ultimo esempio lo abbiamo avuto con la "Food&Run sotto le stelle". L'evento di Villa Bonelli, sotto la cura e l'organizzazione di Acp Bat, vuole valorizzare i piatti e i vini prodotti esclusivamente in questo territorio e lo farà tramite due canali: uno diretto, che riguarda la preparazione istantanea dei piatti; un altro-e qui entra in gioco Cuorepuglia-di dialogo tra la gente che potrà proporre nuove ricette e noi che potremo pubblicarle e presentarle su larga scala».
Quindi il libro che presenterete domani e domenica è una forma embrionale di un progetto più ampio?
«Sì, noi distribuiremo un primo ricettario, che sarà ampliato sotto Natale con alcune ricette rivisitate. Questo sarà possibile grazie alle proposte che ci verranno fatte dalla gente che parteciperà attivamente a questa iniziativa. Inoltre, stiamo organizzando dei laboratori dal basso per chi ama mangiare, cucinare, fare la spesa, degustare, per chi è alla ricerca degli antichi sapori e per chi vuole scoprirne di nuovi».
In quali condizioni si trova il nostro comparto agro-alimentare?
«Le nostre aziende sono aziende di eccellenza, che da sempre operano nel settore con grandi risultati. La mission è quella di creare una sinergia di pensiero e azione tra le varie branche della gastronomia, dell'enologia e della ristorazione a tutto tondo. Ad oggi, si fa fatica a portare avanti una filosofia agricola che tenga conto della qualità e dei costi dei prodotti. Le istituzioni ci stanno vicine, ma rispetto a quello che ci offre la nostra terra c'è ancora tanto da fare. Bisogna sacrificarsi, fare attenzione alle variabili in gioco. Le aziende sono diffidenti a ragion veduta, perché il loro investimento potrebbe rivelarsi un costo e, di conseguenza, una perdita. E' un rischio grande, ma se crediamo nel valore di quello che abbiamo, possiamo trarne beneficio, anche se a lungo termine».
Cinese, giapponese e indiano. Cosa ne pensate del cibo globalizzato? C'è da difendersi? E come?
«E' difficile sfuggire alla globalizzazione, ma la pubblicazione di ricettari come questi e la divulgazione dei cosiddetti "localismi" può aiutarci a difendere il nostro cibo da quello estero, orientale. Non è che ci sia proprio da difenderci, ma per evitare di essere schiacciati dal mercato che predilige le catene alimentari e il cibo industrializzato, abbiamo bisogno che almeno il barlettano, prima di prenotare una cena al giapponese, conosca a menadito qual è la cucina di sua nonna. Noi siamo i primi mangiatori di pesce crudo, ma il sushi è di moda. A questo punto, ci viene da pensare che se le melanzane sott'olio fossero arrivate da Tokio, sarebbero state molto meno snobbate e più considerate. Non mettiamo freni a nessuno, la cucina è bella perché non sa nulla dei confini mondiali; a noi il compito di coltivare bene il nostro orto, prima di desiderare quello degli altri».
La cucina pugliese può essere testimonial del patrimonio umanitario della dieta mediterranea?
«Certamente sì, e questo vantaggio lo dobbiamo alle nostre materie prime. Grazie a loro, la Puglia riesce a presentare piatti squisiti anche con due ingredienti. I pomodori, le olive, il grano e l'uva insieme fanno di uno spaghetto aglio, olio e peperoncino, accompagnato da un buon vino, una cena deliziosa».
Artigianato Vs Industria, Barletta può vantare grande qualità in merito
«E' vero, e all'evento di sabato e domenica, i laboratori saranno dedicati proprio al recupero della manualità in cucina. Si faranno le orecchiette a mano, si potrà assistere alla preparazione di tutti i tipi di conserve, alla produzione di taralli, mozzarelle e formaggi dei nostri caseifici. In seguito, se le risorse lo permetteranno, implementeremo dei corsi di cucina per insegnare agli appassionati e alle appassionate come si fanno le orecchiette, come si prepara una buona composta, quali sono i segreti delle nonne per la riuscita dei piatti con cui siamo cresciuti».
Dal produttore al consumatore. Quali i consigli per la spesa?
«E' importante incentivare i cittadini a regalare e a consumare i prodotti tipici. Molte volte, ciò che c'è di più desiderabile è vicino a noi e non ci pensiamo neanche. E' vitale, per la sopravvivenza delle nostre aziende, che si acquisti merce autoctona e che la si faccia conoscere in Italia e nel mondo. Se abbiamo parenti o amici all'estero, la cosa migliore è regalare un po' di Barletta all'estero. Dobbiamo essere noi i veicoli pubblicitari di quello che mangiamo e ambasciatori di quello che produciamo. Nei supermercati, prima di vedere le offerte e catapultarci alla cassa, leggiamo l'etichetta, il luogo di produzione e non di distribuzione. Molte volte, il prezzo non è direttamente proporzionale alla qualità: un buon prodotto può costare poco perché non ha generato spese di trasporto, così come un prodotto scadente può costare tanto perché c'è dietro una grande industria produttrice. Chiaramente, bisogna sempre diffidare dei prezzi eccessivamente bassi».
Perché Villa Bonelli?
«La location non è a caso. Abbiamo scelto Villa Bonelli perché si trova in un quartiere storico della città, dove si conservano ancora i costumi contadini di Barletta. Avremmo potuto organizzare l'evento nei giardini del castello, ma avrebbe cozzato con l'intento rurale dell'evento stesso. E' nel quartiere Borgovilla, al di là della ferrovia, che si concentrano sapienza e abilità dell'arte culinaria tradizionale, dove ci sono ancora persone che fanno la salsa, le conserve ed è da questa gente che è nata la prima haccp, attraverso il processo della bollitura. I metodi naturali delle nostre nonne non sono niente di diverso delle teorie chimico-biologiche di cui sentiamo parlare adesso. Villa Bonelli è una bellissima villa, storica, che ha bisogno di essere valorizzata e di tornare allo splendore di un tempo; speriamo che l'illuminazione precaria ci assisti fino alle 24».
Cake design, Finger food, Fast food, Street food, Slow food: qual è il futuro dell'arte culinaria?
«Il futuro è un incontro tra buone memorie. La cucina è in grande evoluzione, ma tutto torna, tutto è ciclico. La nostra bruschetta racchiude tutte e tre le tipologie di cibo che lei ha elencato: si mangia con le mani, è da strada perché non ha bisogno del piatto e si prepara in un minuto. Ancora una volta, bastano ottimi ingredienti per preparare cibi eccellenti. Una bruschetta fatta con un buon pane, pomodori freschi e olio autentico è un fast food squisito. Non c'è bisogno del wurstel o dell'hamburger per mangiare veloce e a poco prezzo. Noi abbiamo maestri agricoltori e aziende molto coraggiose nell'agro-alimentare; se si riuscisse a sfidare la banalità e a progredire in questo senso, si creerebbe occupazione, attrazione turistica e orgoglio internazionale».
Il biologico sta esplodendo sul mercato. C'è da fidarsi?
«Il Bio è un brand, è una voce dietro la quale può nascondersi una meschina strategia di marketing per elevare il prezzo sul mercato. Noi vorremmo costituirci parte civile per la tragedia di Andria perché il danno che ha arrecato al settore agro-alimentare, anche solo a livello di immagine, è gravissimo. Noi conosciamo buyers inglesi che, prima di acquistare la nostra merce, mandano i loro tecnologi per effettuare le analisi bio-chimiche e rilevare eventuali contaminazioni alimentari sui nostri prodotti. C'è da dire, però, che questo è un settore dove ci sono controlli serrati; il fatto di scovare truffe come quelle di Andria, non vuol dire che ce ne sono tante, anzi è esattamente il contrario. L'Italia può vantare dei sistemi di controllo e garanzia molto buoni e affidabili, così come l'Asl Bat è molto attenta in tal senso. La questione biologica è molto delicata, il dibattito è acceso: sicuramente è una pratica agricola che difendiamo, ma il disciplinare e le normative a cui deve rispondere un prodotto biologico devono essere note a tutti; non basta leggere "biologico" per acquistare un prodotto verde. Bisogna fare attenzione alla produzione e a non utilizzare sistemi che snaturano la qualità del prodotto. Biologico non deve essere un marchio, ma una certificazione di qualità. Gli imprenditori agricoli sono i motori principali di questo sistema: sono loro che devono fare attenzione all'uso di fitofarmaci e al rispetto del quaderno di campagna. Purtroppo, le esigenze commerciali molte volte obbligano gli imprenditori a rivolgersi alle farmacie agricole sempre più frequentemente. Si deve fare molto di più in tal senso».
Su cosa vi indirizzerete prossimamente?
«Abbiamo contattato le aziende agro-alimentari e i caseifici della Bat per chiedere la disponibilità ad effettuare visite interne senza preavviso, giusto per vedere effettivamente come funziona la produzione degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Abbiamo l'ok già di tre aziende, della Cantina sociale per osservare il ciclo produttivo del vino e stiamo aspettando le risposte di altre. Questo significa che nel nostro territorio c'è chi opera con massima trasparenza, igiene e passione nel settore. Ci piacerebbe portare anche le scuole in visita, l'educazione alimentare è la grande assente della nostra didattica. La soddisfazione sarà massima quando vedremo stilata una carta dei vini di Puglia, in cui saranno presenti il nostro Rosso Barletta, il Montepulciano, il Sangiovese e tanti altri vini di cui ancora non c'è traccia, né nei nostri ristoranti, né in quelli settentrionali».
Com'è nata l'idea di raccogliere le ricette nostrane in un libro?
«Da sempre, Cuorepuglia e Acp Bat lavorano sinergicamente per organizzare una serie di eventi, atti alla promozione della cucina locale; l'ultimo esempio lo abbiamo avuto con la "Food&Run sotto le stelle". L'evento di Villa Bonelli, sotto la cura e l'organizzazione di Acp Bat, vuole valorizzare i piatti e i vini prodotti esclusivamente in questo territorio e lo farà tramite due canali: uno diretto, che riguarda la preparazione istantanea dei piatti; un altro-e qui entra in gioco Cuorepuglia-di dialogo tra la gente che potrà proporre nuove ricette e noi che potremo pubblicarle e presentarle su larga scala».
Quindi il libro che presenterete domani e domenica è una forma embrionale di un progetto più ampio?
«Sì, noi distribuiremo un primo ricettario, che sarà ampliato sotto Natale con alcune ricette rivisitate. Questo sarà possibile grazie alle proposte che ci verranno fatte dalla gente che parteciperà attivamente a questa iniziativa. Inoltre, stiamo organizzando dei laboratori dal basso per chi ama mangiare, cucinare, fare la spesa, degustare, per chi è alla ricerca degli antichi sapori e per chi vuole scoprirne di nuovi».
In quali condizioni si trova il nostro comparto agro-alimentare?
«Le nostre aziende sono aziende di eccellenza, che da sempre operano nel settore con grandi risultati. La mission è quella di creare una sinergia di pensiero e azione tra le varie branche della gastronomia, dell'enologia e della ristorazione a tutto tondo. Ad oggi, si fa fatica a portare avanti una filosofia agricola che tenga conto della qualità e dei costi dei prodotti. Le istituzioni ci stanno vicine, ma rispetto a quello che ci offre la nostra terra c'è ancora tanto da fare. Bisogna sacrificarsi, fare attenzione alle variabili in gioco. Le aziende sono diffidenti a ragion veduta, perché il loro investimento potrebbe rivelarsi un costo e, di conseguenza, una perdita. E' un rischio grande, ma se crediamo nel valore di quello che abbiamo, possiamo trarne beneficio, anche se a lungo termine».
Cinese, giapponese e indiano. Cosa ne pensate del cibo globalizzato? C'è da difendersi? E come?
«E' difficile sfuggire alla globalizzazione, ma la pubblicazione di ricettari come questi e la divulgazione dei cosiddetti "localismi" può aiutarci a difendere il nostro cibo da quello estero, orientale. Non è che ci sia proprio da difenderci, ma per evitare di essere schiacciati dal mercato che predilige le catene alimentari e il cibo industrializzato, abbiamo bisogno che almeno il barlettano, prima di prenotare una cena al giapponese, conosca a menadito qual è la cucina di sua nonna. Noi siamo i primi mangiatori di pesce crudo, ma il sushi è di moda. A questo punto, ci viene da pensare che se le melanzane sott'olio fossero arrivate da Tokio, sarebbero state molto meno snobbate e più considerate. Non mettiamo freni a nessuno, la cucina è bella perché non sa nulla dei confini mondiali; a noi il compito di coltivare bene il nostro orto, prima di desiderare quello degli altri».
La cucina pugliese può essere testimonial del patrimonio umanitario della dieta mediterranea?
«Certamente sì, e questo vantaggio lo dobbiamo alle nostre materie prime. Grazie a loro, la Puglia riesce a presentare piatti squisiti anche con due ingredienti. I pomodori, le olive, il grano e l'uva insieme fanno di uno spaghetto aglio, olio e peperoncino, accompagnato da un buon vino, una cena deliziosa».
Artigianato Vs Industria, Barletta può vantare grande qualità in merito
«E' vero, e all'evento di sabato e domenica, i laboratori saranno dedicati proprio al recupero della manualità in cucina. Si faranno le orecchiette a mano, si potrà assistere alla preparazione di tutti i tipi di conserve, alla produzione di taralli, mozzarelle e formaggi dei nostri caseifici. In seguito, se le risorse lo permetteranno, implementeremo dei corsi di cucina per insegnare agli appassionati e alle appassionate come si fanno le orecchiette, come si prepara una buona composta, quali sono i segreti delle nonne per la riuscita dei piatti con cui siamo cresciuti».
Dal produttore al consumatore. Quali i consigli per la spesa?
«E' importante incentivare i cittadini a regalare e a consumare i prodotti tipici. Molte volte, ciò che c'è di più desiderabile è vicino a noi e non ci pensiamo neanche. E' vitale, per la sopravvivenza delle nostre aziende, che si acquisti merce autoctona e che la si faccia conoscere in Italia e nel mondo. Se abbiamo parenti o amici all'estero, la cosa migliore è regalare un po' di Barletta all'estero. Dobbiamo essere noi i veicoli pubblicitari di quello che mangiamo e ambasciatori di quello che produciamo. Nei supermercati, prima di vedere le offerte e catapultarci alla cassa, leggiamo l'etichetta, il luogo di produzione e non di distribuzione. Molte volte, il prezzo non è direttamente proporzionale alla qualità: un buon prodotto può costare poco perché non ha generato spese di trasporto, così come un prodotto scadente può costare tanto perché c'è dietro una grande industria produttrice. Chiaramente, bisogna sempre diffidare dei prezzi eccessivamente bassi».
Perché Villa Bonelli?
«La location non è a caso. Abbiamo scelto Villa Bonelli perché si trova in un quartiere storico della città, dove si conservano ancora i costumi contadini di Barletta. Avremmo potuto organizzare l'evento nei giardini del castello, ma avrebbe cozzato con l'intento rurale dell'evento stesso. E' nel quartiere Borgovilla, al di là della ferrovia, che si concentrano sapienza e abilità dell'arte culinaria tradizionale, dove ci sono ancora persone che fanno la salsa, le conserve ed è da questa gente che è nata la prima haccp, attraverso il processo della bollitura. I metodi naturali delle nostre nonne non sono niente di diverso delle teorie chimico-biologiche di cui sentiamo parlare adesso. Villa Bonelli è una bellissima villa, storica, che ha bisogno di essere valorizzata e di tornare allo splendore di un tempo; speriamo che l'illuminazione precaria ci assisti fino alle 24».
Cake design, Finger food, Fast food, Street food, Slow food: qual è il futuro dell'arte culinaria?
«Il futuro è un incontro tra buone memorie. La cucina è in grande evoluzione, ma tutto torna, tutto è ciclico. La nostra bruschetta racchiude tutte e tre le tipologie di cibo che lei ha elencato: si mangia con le mani, è da strada perché non ha bisogno del piatto e si prepara in un minuto. Ancora una volta, bastano ottimi ingredienti per preparare cibi eccellenti. Una bruschetta fatta con un buon pane, pomodori freschi e olio autentico è un fast food squisito. Non c'è bisogno del wurstel o dell'hamburger per mangiare veloce e a poco prezzo. Noi abbiamo maestri agricoltori e aziende molto coraggiose nell'agro-alimentare; se si riuscisse a sfidare la banalità e a progredire in questo senso, si creerebbe occupazione, attrazione turistica e orgoglio internazionale».
Il biologico sta esplodendo sul mercato. C'è da fidarsi?
«Il Bio è un brand, è una voce dietro la quale può nascondersi una meschina strategia di marketing per elevare il prezzo sul mercato. Noi vorremmo costituirci parte civile per la tragedia di Andria perché il danno che ha arrecato al settore agro-alimentare, anche solo a livello di immagine, è gravissimo. Noi conosciamo buyers inglesi che, prima di acquistare la nostra merce, mandano i loro tecnologi per effettuare le analisi bio-chimiche e rilevare eventuali contaminazioni alimentari sui nostri prodotti. C'è da dire, però, che questo è un settore dove ci sono controlli serrati; il fatto di scovare truffe come quelle di Andria, non vuol dire che ce ne sono tante, anzi è esattamente il contrario. L'Italia può vantare dei sistemi di controllo e garanzia molto buoni e affidabili, così come l'Asl Bat è molto attenta in tal senso. La questione biologica è molto delicata, il dibattito è acceso: sicuramente è una pratica agricola che difendiamo, ma il disciplinare e le normative a cui deve rispondere un prodotto biologico devono essere note a tutti; non basta leggere "biologico" per acquistare un prodotto verde. Bisogna fare attenzione alla produzione e a non utilizzare sistemi che snaturano la qualità del prodotto. Biologico non deve essere un marchio, ma una certificazione di qualità. Gli imprenditori agricoli sono i motori principali di questo sistema: sono loro che devono fare attenzione all'uso di fitofarmaci e al rispetto del quaderno di campagna. Purtroppo, le esigenze commerciali molte volte obbligano gli imprenditori a rivolgersi alle farmacie agricole sempre più frequentemente. Si deve fare molto di più in tal senso».
Su cosa vi indirizzerete prossimamente?
«Abbiamo contattato le aziende agro-alimentari e i caseifici della Bat per chiedere la disponibilità ad effettuare visite interne senza preavviso, giusto per vedere effettivamente come funziona la produzione degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Abbiamo l'ok già di tre aziende, della Cantina sociale per osservare il ciclo produttivo del vino e stiamo aspettando le risposte di altre. Questo significa che nel nostro territorio c'è chi opera con massima trasparenza, igiene e passione nel settore. Ci piacerebbe portare anche le scuole in visita, l'educazione alimentare è la grande assente della nostra didattica. La soddisfazione sarà massima quando vedremo stilata una carta dei vini di Puglia, in cui saranno presenti il nostro Rosso Barletta, il Montepulciano, il Sangiovese e tanti altri vini di cui ancora non c'è traccia, né nei nostri ristoranti, né in quelli settentrionali».