
Calcio
Marinacci: «Orgoglioso di aver giocato a Barletta, la Lega Pro di oggi meno competitiva di 20 anni fa»
L'ex portiere sui trascorsi in biancorosso
Barletta - martedì 2 giugno 2015
20 anni tra i pali, avviati a tinte biancorosse con numerose partite in C1 all'attivo: nato ad Andria il 2 marzo 1969, a 46 anni suonati l'ex portiere Vincenzo Marinacci reca ancora nel cuore il ricordo di Barletta, nonostante la carriera l'abbia poi portato a indossare tra le altre le maglie di Turris, Taranto e Fidelis Andria disputando numerose partite nella terza categoria del calcio italiano, prima di chiudere tra Audace Cerignola e Real Barletta. A 20 anni dai fasti del "Puttilli", è lui il protagonista dell'intervista-amarcord di BarlettaViva.it, tra i trascorsi in biancorosso e la Lega Pro di oggi:
Vincenzo Marinacci, cosa significa per lei il Barletta Calcio?
«E' un onore per me sentire il mio nome legato a quello del Barletta: ho un ricordo bello, positivo e mi piace ricordare come è nata la storia con il Barletta Calcio. Avevo 14 anni e un amico di mio padre mi portò a vedere Barletta-Bari 2-1, un derby molto sentito. Allora giocavo nell'Us Castello di Andria, e la buon'anima del segretario Italia, del quale oggi rimpiango la mancanza, iniziò a seguirmi: mi acquistarono per un milione e 200mila lire, e allora ho iniziato la trafila nel settore giovanile».
Di lì una lunga storia in biancorosso.
«Sì, lì è iniziata la mia storia in biancorosso: abbiamo superato con la Primavera squadre importanti come il Napoli e il Lecce. Poi con mister Tobia in panchina ho iniziato a fare da dodicesimo: in quella squadra c'erano elementi del calibro di Doto, Petruzzelli e Sciannimanico, per citarne alcuni».
Arriviamo poi all'annata 1992/1993.
«E' stata la prima stagione da titolare: con Franco Di Cosola alla presidenza, una persona che ha dato molto al Barletta e ha portato in biancorosso grandi giocatori come Magnocavallo, Beccalossi, Nardini, Di Gennaro, eravamo al primo anno di ridimensionamento con una squadra molto giovane. C'eravamo io, Vincenzo Lanotte, Andrea Deflorio, per citarne alcuni, ed eravamo una rosa baby. Affrontavamo una C1 di elevato valore, con calciatori di gran calibro, e lì dimostrammo tutti di essere all'altezza della situazione, disputando un ottimo campionato: personalmente ebbi la soddisfazione di essere citato tra i tre migliori portieri dal Guerin Sportivo, con Mazzantini a Perugia e Toldo a Ravenna».
Che rapporto ha avuto con la piazza?
«Barletta è sempre stata una tifoseria calda, composta da persone di diverse età: questa era la caratteristica più bella, un tifo trasversale e sempre pronto a starti accanto. Denotava un attaccamento ai colori sociali assolutamente particolare».
Come si tiene in contatto con i vecchi compagni?
«Facebook mi ha permesso di fare incontri che non pensavo avrei potuto fare: ho rivisto recentemente due miei amici, Sandro Criscioni e Donato Montenegro. Non li vedevo da 26 anni, e potersi reincontrare è stato splendido. Con altri, come Antonio Di Gennaro, ogni tanto ci vediamo. Ho incontrato Matticari a Narni qualche giorno fa: ci siamo abbracciati a lungo, è stato un bellissimo viaggio emotivo nel passato, in cui abbiamo condiviso momenti belli e meno belli. Devo dire un grazie grande a Margiotta, che oggi vive un momento particolare di salute, a Sebastiano Lavecchia, Espartero Piacentini che mi ha instradato alla professione di portiere, e tutti gli allenatori che sono passati, come Bianchetti e Mei».
Della Lega Pro di oggi che idea ha Vincenzo Marinacci?
«Credo che i giovani oggi sono fortunati. Quando io ho iniziato a giocare nel Barletta, non c'erano agevolazioni dalla Lega per l'impiego degli Under. Credo che il livello medio si sia abbassato: manca forse anche un pizzico di gerarchia negli spogliatoi e molti calciatori a 20 anni si sentono delle star. Quando io ero in Prima Squadra, per rispetto dei più grandi, mi cambiavo nello spogliatoio della Primavera».
Che messaggio vuole dare alla piazza barlettana?
«A volte è brutto accettare la verità, però ci sono momenti in cui la verità prevale sull'entusiasmo. Io da ex calciatore e tifoso del Barletta, piazza alla quale sarò eternamente grato, posso solo dire ai tifosi e alla piazza di Barletta di restare vicini a questi colori. Purtroppo in questi giorni leggiamo di calcio sporco, di situazioni oscure: proprio perché questo lato inquinato esiste, bisogna avere il coraggio di dire no e di giocare sempre ad armi pari. Vale per tutto il calcio italiano e per lo sport».
(Twitter: @GuerraLuca88)
Vincenzo Marinacci, cosa significa per lei il Barletta Calcio?
«E' un onore per me sentire il mio nome legato a quello del Barletta: ho un ricordo bello, positivo e mi piace ricordare come è nata la storia con il Barletta Calcio. Avevo 14 anni e un amico di mio padre mi portò a vedere Barletta-Bari 2-1, un derby molto sentito. Allora giocavo nell'Us Castello di Andria, e la buon'anima del segretario Italia, del quale oggi rimpiango la mancanza, iniziò a seguirmi: mi acquistarono per un milione e 200mila lire, e allora ho iniziato la trafila nel settore giovanile».
Di lì una lunga storia in biancorosso.
«Sì, lì è iniziata la mia storia in biancorosso: abbiamo superato con la Primavera squadre importanti come il Napoli e il Lecce. Poi con mister Tobia in panchina ho iniziato a fare da dodicesimo: in quella squadra c'erano elementi del calibro di Doto, Petruzzelli e Sciannimanico, per citarne alcuni».
Arriviamo poi all'annata 1992/1993.
«E' stata la prima stagione da titolare: con Franco Di Cosola alla presidenza, una persona che ha dato molto al Barletta e ha portato in biancorosso grandi giocatori come Magnocavallo, Beccalossi, Nardini, Di Gennaro, eravamo al primo anno di ridimensionamento con una squadra molto giovane. C'eravamo io, Vincenzo Lanotte, Andrea Deflorio, per citarne alcuni, ed eravamo una rosa baby. Affrontavamo una C1 di elevato valore, con calciatori di gran calibro, e lì dimostrammo tutti di essere all'altezza della situazione, disputando un ottimo campionato: personalmente ebbi la soddisfazione di essere citato tra i tre migliori portieri dal Guerin Sportivo, con Mazzantini a Perugia e Toldo a Ravenna».
Che rapporto ha avuto con la piazza?
«Barletta è sempre stata una tifoseria calda, composta da persone di diverse età: questa era la caratteristica più bella, un tifo trasversale e sempre pronto a starti accanto. Denotava un attaccamento ai colori sociali assolutamente particolare».
Come si tiene in contatto con i vecchi compagni?
«Facebook mi ha permesso di fare incontri che non pensavo avrei potuto fare: ho rivisto recentemente due miei amici, Sandro Criscioni e Donato Montenegro. Non li vedevo da 26 anni, e potersi reincontrare è stato splendido. Con altri, come Antonio Di Gennaro, ogni tanto ci vediamo. Ho incontrato Matticari a Narni qualche giorno fa: ci siamo abbracciati a lungo, è stato un bellissimo viaggio emotivo nel passato, in cui abbiamo condiviso momenti belli e meno belli. Devo dire un grazie grande a Margiotta, che oggi vive un momento particolare di salute, a Sebastiano Lavecchia, Espartero Piacentini che mi ha instradato alla professione di portiere, e tutti gli allenatori che sono passati, come Bianchetti e Mei».
Della Lega Pro di oggi che idea ha Vincenzo Marinacci?
«Credo che i giovani oggi sono fortunati. Quando io ho iniziato a giocare nel Barletta, non c'erano agevolazioni dalla Lega per l'impiego degli Under. Credo che il livello medio si sia abbassato: manca forse anche un pizzico di gerarchia negli spogliatoi e molti calciatori a 20 anni si sentono delle star. Quando io ero in Prima Squadra, per rispetto dei più grandi, mi cambiavo nello spogliatoio della Primavera».
Che messaggio vuole dare alla piazza barlettana?
«A volte è brutto accettare la verità, però ci sono momenti in cui la verità prevale sull'entusiasmo. Io da ex calciatore e tifoso del Barletta, piazza alla quale sarò eternamente grato, posso solo dire ai tifosi e alla piazza di Barletta di restare vicini a questi colori. Purtroppo in questi giorni leggiamo di calcio sporco, di situazioni oscure: proprio perché questo lato inquinato esiste, bisogna avere il coraggio di dire no e di giocare sempre ad armi pari. Vale per tutto il calcio italiano e per lo sport».
(Twitter: @GuerraLuca88)
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