Calcio
Barletta-Palmese, ovvero, quando i nodi (purtroppo) vengono al pettine
Biancorossi fischiati e contestati in un clima da resa dei conti tra società e ambiente che forse covava da mesi
Barletta - venerdì 3 novembre 2023
Lo spettacolo visto mercoledì in campo tra Barletta e Palmese è stato forse tra quelli più desolanti degli ultimi anni.
Desolante dal punto di vista tecnico, con un Barletta che dopo i notevoli progressi dal punto di vista del gioco messi in mostra dopo i tre schiaffoni presi in casa del Nardò, nelle ultime due gare sembra essere tornato quello opaco e inconcludente di inizio stagione.
Desolante dal punto di vista dell'arbitraggio, con il rigore forse troppo generoso concesso per fallo su Schelotto (anche se nella stessa azione ci sarebbe da valutare un eventuale tocco con un braccio del difensore rossonero Peluso), e soprattutto con il colossale abbaglio del signor Marchetti di L'Aquila che ammonisce fisicamente per due volte Silvestri, di cui la prima per proteste annotando però sul cartellino il numero cinque del vicino Bramati, anziché il numero trentatre del sanzionato Silvestri. Una topica clamorosa che ha evitato Silvestri una doccia anticipata, e al Barletta quasi un tempo e mezzo in inferiorità numerica contro una Palmese ultima in classifica, che però è scesa al "Puttilli" per giocarsela alla pari, strameritando alla fine il punto conquistato all'ultimo respiro.
E poi i fischi, la contestazione, lo scazzo di Ezequiel Schelotto (tra l'altro già un pò freddino anche dopo aver realizzato il controverso rigore)con parte del pubblico, le parole nel dopo partita di un avvilito Ciro Ginestra che in questa fase sta forse scontando colpe in gran parte non sue, in un latente clima di malcontento e resa dei conti di cui l'occasione del due a zero fallita in pieno recupero da Antonio Caputo (al netto dell'errore, forse l'unico a calciare nello specchio della porta nelle ultime due partite), e ancor più la rasoiata di Potenza hanno contribuito, hanno fatto solo da detonatore.
Già, perché i fischi di Barletta-Palmese non nascono certo mercoledì pomeriggio per un pari con l'ultima in classifica (l'anno della promozione in B si perse in casa con il Benevento fanalino di coda dopo che non si vinceva da un mese e non ci fu neanche mezzo fischio), ma da una situazione che, cosa ormai evidente a tutti, si trascina sin dalle ultime battute della passata stagione.
Il fatto che, come cantano i ragazzi della Nord, "passano gli anni, i giocatori e i presidenti" ma il Barletta resta è un dato di fatto acclarato e incontrovertibile. Tuttavia, a prescindere dalle ragioni che solo i diretti interessati e pochi altri conoscono, troppi sono i "detto e non detto"sulle modalità di certi addii, ed è chiaro che se da una parte i protagonisti hanno il sacrosanto diritto alla riservatezza, e che non ringrazieremo mai abbastanza questa società per aver portato fuori il Barletta dalle secche dell'Eccellenza, dall'altro è normale, se proprio non fisiologico, che il tifoso che la domenica viene allo stadio ipotizzi gli scenari più disparati e che si abbandoni ai più reconditi retropensieri.
A ciò si aggiunga un'estate 2003 iniziata con l'arrivo di dirigenti con un brillante passato remoto alle spallelasciatisi andare a roboanti e particolarmente bellicosi avvisi alla concorrenza, proseguita poi con un decisamente più prudente "vogliamo essere la mina vagante del girone", e culminata infine con piccate disquisizioni sull'uso della lingua italiana, prima dell'improvviso e non certo straziante addio al Barletta, ai suoi tifosi, e soprattutto a quei fastidiosissimi commentatori e scribi (che certe scene le hanno già vissute, con tanto di epilogo non certo da ricordare) che da qualche anno ne narrano splendori e miserie.
E poi c'è un parco giocatori praticamente ricostruito da cima a fondo, eccezion fatta per gli "anziani" Cafagna, Russo, Milella e Di Piazza. Una rosa che, viste le premesse, non sta nemmeno così sfigurando come la veemente salva di fischi piovutale addosso al fischio finale del match contro la Palmese potrebbe indurre a pensare. Una rosa che può solo crescere come qualità e fluidità di gioco e che gioca assieme da poco più di due mesi.
Una rosa con quattro attaccanti che, spiace evidenziarlo una volta ancora, lo scorso anno, messi tutti insieme, a stento hanno raggiunto la doppia cifra, e questo purtroppo non poteva non influire negativamente nella produzione offensiva di una squadra completamente rinnovata e con meccanismi d'assieme ancora da oliare. Non è pregiudizio il nostro, così come crediamo non lo sia quello dei 5mila del Puttilli. Specialmente i meno giovani tra questi sicuramente ricorderanno che una cosa molto simile successe anche il primo anno di Serie B, quando un Barletta desolatamente ultimo in classifica, rivoltato come un calzino rispetto alla meravigliosa stagione 1986/87, dopo tredici partite aveva segnato la miseria di tre reti, di cui una sola all'allora "Comunale", giunta per altro solo alla dodicesima giornata.
Una rosa per la quale si è scelto come capitano e leader tecnico un ragazzo argentino certamente al tramonto della carriera, ma la cui professionalità, serietà e dedizione alla causa mostrata fino ad oggi non è minimamente in discussione e che purtroppo, alla luce dello sfogo di mercoledì a fine partita, si trova a pagare anche più del dovuto molti pregiudizi dovuti più che altro al comportamento tenuto in passato a Barletta da altre ex stelle della nobile arte pedatoria, arrivate nella città della Disfida tra mille aspettative ma poi distintesi nella sicuramente meno nobile arte di spaccare unospogliatoio potenzialmente da primato per poi fuggire a gambe levate alla prima finestra di mercato. Tutte vicende che negli anni hanno profondamente segnato l'animo del tifoso barlettano. Di qui lo scetticismo, la diffidenza e purtroppo il costante calo di entusiasmo di una tifoseria che soprattutto nei decenni post Serie Bdavvero ne ha viste troppe per esaltarsi di fronte a un "saremo la mina vagante" qualsiasi, con mister Ginestra nel frattempo li inascoltato a parlare di rosa incompleta,mentre chi di dovere magari era impegnato a edurci sul come usare congiuntivo e condizionale.
Tutto ciò, mese dopo mese, partita dopo partita, non ha fatto altro che accrescere scetticismo, delusione e disincanto in una tifoseria che comunque anche quest'anno ha risposto "presente". Una miscela esplosiva di emozioni negative che, come già detto, la staffilata di Potenza ha fatto deflagrare. Tuttavia nel calcio non sono rari i casi in cui da feroci contestazioni sono maturati anche grandi successi sportivi. Che questo sia d'auspicio per il presidente Mario Dimiccoli, per mister Ginestra, per la squadra e l'ambiente Barletta in toto affinchè si chiuda una volta per sempre con il recente e bellissimo passato e si sotterri una volta per tutte l'ascia di guerra dello scetticismo e della rassegnazione. Dopo tutto, ripetiamo, il Barletta fischiato e contestato di mercoledì, pur con uno dei peggiori reparti offensivi del girone H, dopo nove gare ha solo due punti in meno rispetto al Barletta dello scorso anno che ancora viaggiava sulle ali dell'entusiasmo da triplete, in un campionato dove peraltro non c'è ancora una "Cavese" o un "Brindisi" di turno.
Desolante dal punto di vista tecnico, con un Barletta che dopo i notevoli progressi dal punto di vista del gioco messi in mostra dopo i tre schiaffoni presi in casa del Nardò, nelle ultime due gare sembra essere tornato quello opaco e inconcludente di inizio stagione.
Desolante dal punto di vista dell'arbitraggio, con il rigore forse troppo generoso concesso per fallo su Schelotto (anche se nella stessa azione ci sarebbe da valutare un eventuale tocco con un braccio del difensore rossonero Peluso), e soprattutto con il colossale abbaglio del signor Marchetti di L'Aquila che ammonisce fisicamente per due volte Silvestri, di cui la prima per proteste annotando però sul cartellino il numero cinque del vicino Bramati, anziché il numero trentatre del sanzionato Silvestri. Una topica clamorosa che ha evitato Silvestri una doccia anticipata, e al Barletta quasi un tempo e mezzo in inferiorità numerica contro una Palmese ultima in classifica, che però è scesa al "Puttilli" per giocarsela alla pari, strameritando alla fine il punto conquistato all'ultimo respiro.
E poi i fischi, la contestazione, lo scazzo di Ezequiel Schelotto (tra l'altro già un pò freddino anche dopo aver realizzato il controverso rigore)con parte del pubblico, le parole nel dopo partita di un avvilito Ciro Ginestra che in questa fase sta forse scontando colpe in gran parte non sue, in un latente clima di malcontento e resa dei conti di cui l'occasione del due a zero fallita in pieno recupero da Antonio Caputo (al netto dell'errore, forse l'unico a calciare nello specchio della porta nelle ultime due partite), e ancor più la rasoiata di Potenza hanno contribuito, hanno fatto solo da detonatore.
Già, perché i fischi di Barletta-Palmese non nascono certo mercoledì pomeriggio per un pari con l'ultima in classifica (l'anno della promozione in B si perse in casa con il Benevento fanalino di coda dopo che non si vinceva da un mese e non ci fu neanche mezzo fischio), ma da una situazione che, cosa ormai evidente a tutti, si trascina sin dalle ultime battute della passata stagione.
Il fatto che, come cantano i ragazzi della Nord, "passano gli anni, i giocatori e i presidenti" ma il Barletta resta è un dato di fatto acclarato e incontrovertibile. Tuttavia, a prescindere dalle ragioni che solo i diretti interessati e pochi altri conoscono, troppi sono i "detto e non detto"sulle modalità di certi addii, ed è chiaro che se da una parte i protagonisti hanno il sacrosanto diritto alla riservatezza, e che non ringrazieremo mai abbastanza questa società per aver portato fuori il Barletta dalle secche dell'Eccellenza, dall'altro è normale, se proprio non fisiologico, che il tifoso che la domenica viene allo stadio ipotizzi gli scenari più disparati e che si abbandoni ai più reconditi retropensieri.
A ciò si aggiunga un'estate 2003 iniziata con l'arrivo di dirigenti con un brillante passato remoto alle spallelasciatisi andare a roboanti e particolarmente bellicosi avvisi alla concorrenza, proseguita poi con un decisamente più prudente "vogliamo essere la mina vagante del girone", e culminata infine con piccate disquisizioni sull'uso della lingua italiana, prima dell'improvviso e non certo straziante addio al Barletta, ai suoi tifosi, e soprattutto a quei fastidiosissimi commentatori e scribi (che certe scene le hanno già vissute, con tanto di epilogo non certo da ricordare) che da qualche anno ne narrano splendori e miserie.
E poi c'è un parco giocatori praticamente ricostruito da cima a fondo, eccezion fatta per gli "anziani" Cafagna, Russo, Milella e Di Piazza. Una rosa che, viste le premesse, non sta nemmeno così sfigurando come la veemente salva di fischi piovutale addosso al fischio finale del match contro la Palmese potrebbe indurre a pensare. Una rosa che può solo crescere come qualità e fluidità di gioco e che gioca assieme da poco più di due mesi.
Una rosa con quattro attaccanti che, spiace evidenziarlo una volta ancora, lo scorso anno, messi tutti insieme, a stento hanno raggiunto la doppia cifra, e questo purtroppo non poteva non influire negativamente nella produzione offensiva di una squadra completamente rinnovata e con meccanismi d'assieme ancora da oliare. Non è pregiudizio il nostro, così come crediamo non lo sia quello dei 5mila del Puttilli. Specialmente i meno giovani tra questi sicuramente ricorderanno che una cosa molto simile successe anche il primo anno di Serie B, quando un Barletta desolatamente ultimo in classifica, rivoltato come un calzino rispetto alla meravigliosa stagione 1986/87, dopo tredici partite aveva segnato la miseria di tre reti, di cui una sola all'allora "Comunale", giunta per altro solo alla dodicesima giornata.
Una rosa per la quale si è scelto come capitano e leader tecnico un ragazzo argentino certamente al tramonto della carriera, ma la cui professionalità, serietà e dedizione alla causa mostrata fino ad oggi non è minimamente in discussione e che purtroppo, alla luce dello sfogo di mercoledì a fine partita, si trova a pagare anche più del dovuto molti pregiudizi dovuti più che altro al comportamento tenuto in passato a Barletta da altre ex stelle della nobile arte pedatoria, arrivate nella città della Disfida tra mille aspettative ma poi distintesi nella sicuramente meno nobile arte di spaccare unospogliatoio potenzialmente da primato per poi fuggire a gambe levate alla prima finestra di mercato. Tutte vicende che negli anni hanno profondamente segnato l'animo del tifoso barlettano. Di qui lo scetticismo, la diffidenza e purtroppo il costante calo di entusiasmo di una tifoseria che soprattutto nei decenni post Serie Bdavvero ne ha viste troppe per esaltarsi di fronte a un "saremo la mina vagante" qualsiasi, con mister Ginestra nel frattempo li inascoltato a parlare di rosa incompleta,mentre chi di dovere magari era impegnato a edurci sul come usare congiuntivo e condizionale.
Tutto ciò, mese dopo mese, partita dopo partita, non ha fatto altro che accrescere scetticismo, delusione e disincanto in una tifoseria che comunque anche quest'anno ha risposto "presente". Una miscela esplosiva di emozioni negative che, come già detto, la staffilata di Potenza ha fatto deflagrare. Tuttavia nel calcio non sono rari i casi in cui da feroci contestazioni sono maturati anche grandi successi sportivi. Che questo sia d'auspicio per il presidente Mario Dimiccoli, per mister Ginestra, per la squadra e l'ambiente Barletta in toto affinchè si chiuda una volta per sempre con il recente e bellissimo passato e si sotterri una volta per tutte l'ascia di guerra dello scetticismo e della rassegnazione. Dopo tutto, ripetiamo, il Barletta fischiato e contestato di mercoledì, pur con uno dei peggiori reparti offensivi del girone H, dopo nove gare ha solo due punti in meno rispetto al Barletta dello scorso anno che ancora viaggiava sulle ali dell'entusiasmo da triplete, in un campionato dove peraltro non c'è ancora una "Cavese" o un "Brindisi" di turno.