Pop Corn
Steve Jobs, da zero a mito
Prematuro biopic sul genio della Apple
sabato 16 novembre 2013
10.54
«L'unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l'avrete davanti. E, come le grandi storie d'amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi. Siate affamati. Siate folli».
Ottobre 2001. Viene presentato l'iPod, lettore di musica digitale, rivoluzione tecnologica annunciata dallo stesso Steve Jobs in una riunione dello staff della Apple Inc. Da questo punto di arrivo si torna indietro, nell'anno 1971, per raccontare la storia edulcoratamente biografica del genio della Apple: prima come giovane hippy spiantato che abbandona gli studi, poi l'avvio dal sogno chiamato "Apple" con l'amico Steve Wozniak nel garage di casa a Palo Alto, California, e infine il destino della sua azienda informatica, dai primi inaspettati successi alla definitiva consacrazione nel mercato mondiale.
Diretto da Joshua Michael Stern e scritto da Matt Whiteley, il film intitolato semplicemente Jobs sintetizza la storia del noto inventore statunitense attraverso alcuni punti cardine della sua biografia. A dare viso e corpo a Steve Jobs è l'attore statunitense Ashton Kutcher, che seppur dotato di una impressionante somiglianza fisica al fondatore della Apple, non riesce a distaccarsi da una mera riproposizione quasi macchiettistica delle movenze e delle espressioni tipiche di Jobs. Al di fuori di qualche nome ben noto (come James Woods e J.K. Simmons), anche il resto del cast, privo di eccellenze, estremamente somiglianti ai loro reali modelli, è un omaggio visivo a tutti i principali personaggi che hanno costellato la vita di Jobs.
Se il risultato può entusiasmare qualche buon appassionato di retrocomputing, che si divertirà sicuramente a riconoscere storici modelli di computer (come il primo Macintosh o l'innovativo iMac G3) e vecchi giochi della Atari, il film risulta un prematuro biopic troppo influenzato dalle ancora vive celebrazioni per il genio scomparso solo due anni fa. Nulla più di quanto la TV ci ha raccontato sull'imprenditore californiano all'indomani della sua morte, o di quanto si può scoprire con una rapida consultazione di Wikipedia.
Come ogni grande personaggio rivoluzionario passato alla storia, tanto geniale quanto contradditorio, tanto visionario quanto egoista, la figura di Steve Jobs ha segnato un'epoca storica, la nostra, quella delle tecnologie veloci e all'avanguardia: con le sue luci e le sue ombre, è simbolo di una generazione difficile da inquadrare, ma infinitamente ricca di possibilità. Un'operazione cinematografica del genere risulta purtroppo parziale e affrettata, e rischia di restituirci un quadro monocorde dell'uomo Jobs, già consacrato alla storia, già esaltato per la sua controversa e folle genialità. Il film non è adatto a chi non conosce Steve Jobs, o a chi lo conosce troppo bene: vuole desacralizzare il mito e al contempo esaltarne la natura geniale, ma procedendo a balzi troppo rapidi e accontentandosi di tracciare solo qualche pennellata degli appassionanti anni dei duelli per l'innovazione nell'ambito informatico tra giganti della tecnologia.
Ne rimane la restituzione a corpo del simbolo chiamato Steve Jobs e la riproposizione del suo illuminante citazionismo, che non ha mai abbandonato la sua parola più ricorrente, la parola "cuore", che non è così distante dalla tecnologia come si può erroneamente credere.
Ottobre 2001. Viene presentato l'iPod, lettore di musica digitale, rivoluzione tecnologica annunciata dallo stesso Steve Jobs in una riunione dello staff della Apple Inc. Da questo punto di arrivo si torna indietro, nell'anno 1971, per raccontare la storia edulcoratamente biografica del genio della Apple: prima come giovane hippy spiantato che abbandona gli studi, poi l'avvio dal sogno chiamato "Apple" con l'amico Steve Wozniak nel garage di casa a Palo Alto, California, e infine il destino della sua azienda informatica, dai primi inaspettati successi alla definitiva consacrazione nel mercato mondiale.
Diretto da Joshua Michael Stern e scritto da Matt Whiteley, il film intitolato semplicemente Jobs sintetizza la storia del noto inventore statunitense attraverso alcuni punti cardine della sua biografia. A dare viso e corpo a Steve Jobs è l'attore statunitense Ashton Kutcher, che seppur dotato di una impressionante somiglianza fisica al fondatore della Apple, non riesce a distaccarsi da una mera riproposizione quasi macchiettistica delle movenze e delle espressioni tipiche di Jobs. Al di fuori di qualche nome ben noto (come James Woods e J.K. Simmons), anche il resto del cast, privo di eccellenze, estremamente somiglianti ai loro reali modelli, è un omaggio visivo a tutti i principali personaggi che hanno costellato la vita di Jobs.
Se il risultato può entusiasmare qualche buon appassionato di retrocomputing, che si divertirà sicuramente a riconoscere storici modelli di computer (come il primo Macintosh o l'innovativo iMac G3) e vecchi giochi della Atari, il film risulta un prematuro biopic troppo influenzato dalle ancora vive celebrazioni per il genio scomparso solo due anni fa. Nulla più di quanto la TV ci ha raccontato sull'imprenditore californiano all'indomani della sua morte, o di quanto si può scoprire con una rapida consultazione di Wikipedia.
Come ogni grande personaggio rivoluzionario passato alla storia, tanto geniale quanto contradditorio, tanto visionario quanto egoista, la figura di Steve Jobs ha segnato un'epoca storica, la nostra, quella delle tecnologie veloci e all'avanguardia: con le sue luci e le sue ombre, è simbolo di una generazione difficile da inquadrare, ma infinitamente ricca di possibilità. Un'operazione cinematografica del genere risulta purtroppo parziale e affrettata, e rischia di restituirci un quadro monocorde dell'uomo Jobs, già consacrato alla storia, già esaltato per la sua controversa e folle genialità. Il film non è adatto a chi non conosce Steve Jobs, o a chi lo conosce troppo bene: vuole desacralizzare il mito e al contempo esaltarne la natura geniale, ma procedendo a balzi troppo rapidi e accontentandosi di tracciare solo qualche pennellata degli appassionanti anni dei duelli per l'innovazione nell'ambito informatico tra giganti della tecnologia.
Ne rimane la restituzione a corpo del simbolo chiamato Steve Jobs e la riproposizione del suo illuminante citazionismo, che non ha mai abbandonato la sua parola più ricorrente, la parola "cuore", che non è così distante dalla tecnologia come si può erroneamente credere.