Pop Corn
Quel "Quo vado?" che ci ha portati tutti al cinema
Checco Zalone campione d'incassi, ma è già dibattito
lunedì 11 gennaio 2016
A poco più di una settimana dall'uscita di Quo vado?, quarta commedia con cui il comico pugliese è tornato sul grande schermo, non si fa che parlare di lui in strada, a casa, nei bar, ovunque: Luca Medici, in arte Checco Zalone - dal nome che è già tutto un programma - e le sue note de "La prima Repubblica", quella che non si scorda mai per intenderci e che sembra quasi un secondo inno nazionale canticchiata da grandi e bambini, rimangono l'argomento cult della prima settimana dell'anno. Così è tornato sul grande schermo il re della risata dei nostri giorni, come l'hanno definito alcuni, battendo ogni record con una storia accattivante sin dalle prime battute, dalla verve ironica e mai scontata, che ha trascinato milioni di spettatori - premier Renzi compreso, per citare uno dei più famosi - nelle sale di tutta Italia riscuotendo un clamoroso (e alquanto annunciato) successo di pubblico.
La trama è piuttosto semplice: è l'epopea di un impiegato statale che sino all'età di 40 anni ha trascorso la propria esistenza di scapolo senza alcuna voglia di sposarsi a far timbri all'ufficio caccia del proprio paese, comodamente assiso dietro la propria scrivania e omaggiato di quaglie e prodotti culinari di ogni tipo. A interrompere l'idilliaca esistenza è la Riforma amministrativa che prevede il taglio delle province e dunque, pur di rimanere ancorato all'agognato posto fisso, mito a cui è stato educato sin dall'infanzia da suo padre, appare disposto girovagare per l'Italia nelle sedi più disagiate e scomode arrivando sino al Polo Nord. Ma sarà in Norvegia, paese dalla grande civiltà in cui culmina il suo giro per il mondo, che il protagonista interpretato da Zalone sarà iniziato ad una civiltà dai sapori nuovi, più improntata all'integrazione e ad una maggiore apertura. A irrompere prepotentemente sulla scena è il Festival di San Remo con Albano e Romina che lo riporta alla realtà. Una "nostalgia canaglia" di Italia, di macchine parcheggiate in seconda fila e clacson strombazzanti allo scattare del verde al semaforo si impadronisce di lui. Gli manca la sua Italia che è poi la nostra Italia e dunque quella nostalgia di quotidianità disvela una parte a noi tanto familiare e criticata al contempo e per questo ci fa sorridere.
La verità - al di là di ogni snobismo - è che Checco Zalone agli italiani piace, altrimenti non si spiegherebbero i grandi numeri al botteghino. Piace perché ha fotografato ciò che stato sotto i nostri occhi negli anni dominati da una mentalità assistenzialista, piace perché senza troppe pretese servendosi della sola arma dell'ironia mostra sui grandi schermi scene di viva quotidianità che muovono le proprie trame tra conformismo e anarchia. Piace perché incarna la comicità antica alla Sordi nel tentativo di ridisegnare la storia di un italiano qualunque ma anche moderno e post moderno. In questo quarto appuntamento poi, sembra aver alzato l'asticella di intenti e riferimenti specie nella prima parte quando accenna al problema della Tav, ai centri di accoglienza, ai "privilegi" del posto fisso - dalla tredicesima alla mobilità – per poi cedere il passo nella seconda parte ad un puro e generoso lieto fine, certamente meno politico e polemico.
Che abbia convinto la critica o meno poco importa perché ha regalato più di un sorriso al pubblico. Il suo segreto? Probabilmente la fisionomia, la spontaneità e l'assenza di eccessive pretese pedagogiche. Certo è che fa un racconto del nostro tempo in continua tensione tra l'ansiosa aspirazione alla certezza, alla stabilità e l'incertezza a cui ci costringono anni difficili come questi e quando l'ex molleggiato Adriano Celentano ha definito la sua comicità un toccasana di cui dovrebbero esser fornite le farmacie del nostro paese, senza dubbio non gli si può dar torto.
La trama è piuttosto semplice: è l'epopea di un impiegato statale che sino all'età di 40 anni ha trascorso la propria esistenza di scapolo senza alcuna voglia di sposarsi a far timbri all'ufficio caccia del proprio paese, comodamente assiso dietro la propria scrivania e omaggiato di quaglie e prodotti culinari di ogni tipo. A interrompere l'idilliaca esistenza è la Riforma amministrativa che prevede il taglio delle province e dunque, pur di rimanere ancorato all'agognato posto fisso, mito a cui è stato educato sin dall'infanzia da suo padre, appare disposto girovagare per l'Italia nelle sedi più disagiate e scomode arrivando sino al Polo Nord. Ma sarà in Norvegia, paese dalla grande civiltà in cui culmina il suo giro per il mondo, che il protagonista interpretato da Zalone sarà iniziato ad una civiltà dai sapori nuovi, più improntata all'integrazione e ad una maggiore apertura. A irrompere prepotentemente sulla scena è il Festival di San Remo con Albano e Romina che lo riporta alla realtà. Una "nostalgia canaglia" di Italia, di macchine parcheggiate in seconda fila e clacson strombazzanti allo scattare del verde al semaforo si impadronisce di lui. Gli manca la sua Italia che è poi la nostra Italia e dunque quella nostalgia di quotidianità disvela una parte a noi tanto familiare e criticata al contempo e per questo ci fa sorridere.
La verità - al di là di ogni snobismo - è che Checco Zalone agli italiani piace, altrimenti non si spiegherebbero i grandi numeri al botteghino. Piace perché ha fotografato ciò che stato sotto i nostri occhi negli anni dominati da una mentalità assistenzialista, piace perché senza troppe pretese servendosi della sola arma dell'ironia mostra sui grandi schermi scene di viva quotidianità che muovono le proprie trame tra conformismo e anarchia. Piace perché incarna la comicità antica alla Sordi nel tentativo di ridisegnare la storia di un italiano qualunque ma anche moderno e post moderno. In questo quarto appuntamento poi, sembra aver alzato l'asticella di intenti e riferimenti specie nella prima parte quando accenna al problema della Tav, ai centri di accoglienza, ai "privilegi" del posto fisso - dalla tredicesima alla mobilità – per poi cedere il passo nella seconda parte ad un puro e generoso lieto fine, certamente meno politico e polemico.
Che abbia convinto la critica o meno poco importa perché ha regalato più di un sorriso al pubblico. Il suo segreto? Probabilmente la fisionomia, la spontaneità e l'assenza di eccessive pretese pedagogiche. Certo è che fa un racconto del nostro tempo in continua tensione tra l'ansiosa aspirazione alla certezza, alla stabilità e l'incertezza a cui ci costringono anni difficili come questi e quando l'ex molleggiato Adriano Celentano ha definito la sua comicità un toccasana di cui dovrebbero esser fornite le farmacie del nostro paese, senza dubbio non gli si può dar torto.